Quello del cardinale Gérald C. Lacroix è un nome importante nel pontificato di Francesco. Il 66enne arcivescovo canadese, infatti, è membro del Consiglio dei cardinali nominato dal Papa per farsi aiutare nel governo della Chiesa. La carriera ecclesiastica in rampa di lancio di questo ex missionario ha subìto una brusca frenata a fine gennaio con la notizia di un’accusa contro di lui nell’ambito di una class action di presunte vittime di abusi del Québec per mano di sacerdoti cattolici. Secondo quest’accusa, Lacroix si sarebbe reso responsabile di molestie sessuali ai danni di una 17 enne tra il 1987 ed il 1988. Il cardinale, che nel frattempo si è autosospeso dai suoi incarichi, compreso quello di arcivescovo metropolita di Québec, ha proclamato la sua innocenza.
Scagionato dalla Santa Sede
Martedì scorso la Sala Stampa della Santa Sede ha emesso un comunicato in cui veniva rivelato che lo scorso 8 febbraio il Papa aveva affidato ad André Denis, giudice della Corte Superiore del Québec in pensione, un’indagine canonica preliminare per chiarire la situazione del suo collaboratore. La nota, inoltre, ha fatto sapere che “il rapporto dell’indagine canonica preliminare effettuata dal giudice è stato portato a termine il 6 maggio 2024 e consegnato al Santo Padre nei giorni successivi” e che “alla luce dei fatti esaminati dal giudice, il rapporto non consente di identificare alcuna azione che si configuri come cattiva condotta o abuso da parte del Cardinale Gérald C. Lacroix. Di conseguenza, non è prevista una procedura canonica più approfondita”. Per la Santa Sede, quindi, il cardinale è innocente e l’accusa non dimostrabile.
La presunta vittima
Il comunicato ha informato, inoltre, che il Papa ha dato il permesso al giudice Denis di presentare il suo rapporto alla stampa. Cosa che è avvenuta in una conferenza nel corso della quale, secondo Valérie Gaudreau di Le Soleil, il giudice avrebbe ammesso che “il suo rapporto è incompleto”. Il problema è che il giudice non ha potuto incontrare la presunta vittima che, al di là della class action contro l’arcidiocesi del Québec, non intende sporgere denuncia penale. Come ha commentato la giornalista Gaudreau, questa circostanza fa sì che Lacroix, nonostante la presa di posizione della Santa Sede, resti in una specie di limbo. Non a caso, dopo il comunicato scagionatorio del Vaticano, il cardinale ha comunque confermato la decisione di rimanere sospeso dal suo incarico ed ha invitato la presunta vittima a fare denuncia penale contro di lui.
Il clima in Canada
Nella class action, Lacroix non è l’unico cardinale tirato in ballo. C’era, infatti, anche il nome del suo predecessore Marc Ouellet accusato da due donne di molestie che sarebbero avvenute tra il 2008 ed il 2010. Anche in questo caso la Santa Sede aveva aperto un’indagine canonica preliminare affidata a padre Jacques Servais il quale avrebbe appurato che “non sussistono elementi sufficienti ad aprire un’indagine canonica per aggressione sessuale”.
Queste accuse arrivano in un territorio come quello del Québec considerato a lungo la roccaforte cattolica in Canada e dove da qualche anno viene denunciata una forte secolarizzazione, con proposte di legge che addirittura volevano vietare ai dipendenti pubblici di indossare simboli religiosi.
In generale il clima in Canada non è molto favorevole alla Chiesa cattolica durante la presidenza di Justin Trudeau che però si proclama cattolico. In questi anni si è assistito ad un’imponente campagna su quello che è stato chiamato lo scandalo degli abusi che sarebbero stati commessi nelle scuole residenziali cattoliche ai danni dei piccoli indigeni. Secondo quest’accusa, sotto le scuole cattoliche sarebbero stati sepolti ben 215 bambini indigeni scomparsi. Nonostante lo stanziamento del Governo federale di 7,9 milioni di dollari per indagare su questo caso, nessun corpo è stato scoperto. Una sconfessione della linea aggressiva tenuta su questa vicenda dal presidente Trudeau che aveva parlato di “capitolo vergognoso” ed aveva invitato la Chiesa cattolica ad “assumersi le responsabilità” minacciando di prendere “misure dure“.
Approcci diversi
Nel caso del cardinale Lacroix, la Santa Sede si è mossa tempestivamente con un’indagine preliminare ed ha dato prova di garantismo, riabilitando pubblicamente il prelato che siede nel C9 una volta appurato l’impossibilità ad accertare la sua colpevolezza. Non sempre è andata così, però, in casi simili. La vicenda più ecclatante è probabilmente quella di monsignor Michel Aupetit che nel novembre del 2021, dopo che il settimanale Le Point aveva riferito di una sua presunta relazione con una parrocchiana considerata soggetto vulnerabile nel 2012 appresa tramite uno scambio di mail. A seguito dello scandalo, il presule – considerato un conservatore – si era dimesso da arcivescovo di Parigi. Parlando alla stampa sul volo di ritorno da Atene, il Papa aveva rivendicato la scelta di accettare quelle dimissioni e, facendo confusione tra la donna delle mail e la segretaria dell’arcivescovo, aveva sostenuto di aver preso quella decisione “non sull’altare della verità ma sull’altare dell’ipocrisia” perchè “il chiacchiericcio” aveva tolto ad Aupetit “la fama pubblicamente”. Sulla questione la giustizia francese aveva aperto un’indagine per violenza sessuale che si è conclusa il 23 agosto 2023 con l’archiviazione perchè il reato non sussiste. Nel frattempo, però, il presule è diventato un “pensionato” prima ancora dei canonici 75 anni. Sempre nel 2021 Francesco aveva invece respinto le dimissioni da arcivescovo di Amburgo di monsignor Stefan Heße, incaricato speciale per i rifugiati della Conferenza episcopale tedesca, sul quale un report relativo alla gestione abusi nell’arcidiocesi di Colonia curato dallo studio legale Gercke & Wollschläger aveva messo in luce delle presunte responsabilità di omissione risalenti al periodo in cui era vicario generale.
Garantismo, dunque, ma non sempre. Anche quando non si parla di abusi.
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