di Ambrosini Alessandro – Torniamo nel 2017. Emiliano Fittipaldi, allora giornalista dell’Espresso, pubblica il libro: Gli impostori. Tra gli argomenti trattati, il caso di Emanuela Orlandi è il “piatto forte”. In esclusiva, presenta una lettera composta da cinque fogli, datata marzo ’98. La missiva è un rendiconto finanziario scritto, verosimilmente dall’allora capo dell’Apsa( Amministrazione patrimonio sede apostolica), il cardinale Lorenzo Antonetti ai monsignori Giovanni Battista Re e Jean-Louis Tauran. Come tutti sanno, non è un rendiconto finanziario normale o una nota spese di qualche missione all’estero. E’ la sintesi delle spese sostenute per “l’allontanamento domiciliare e delle fasi successive della cittadina Emanuela Orlandi”. Cinque pagine che raccontano, o che vorrebbero raccontare, le fasi di preparazione, attuazione e mantenimento della ragazza a Londra. Raccontano, leggendo le voci del report, del coinvolgimento di una ginecologa di fama, della presenza del cardinale Ugo Poletti e di altri soggetti che avevano ruoli definiti nell’organigramma della Santa Sede.
Se nella forma ci sono dei refusi nella struttura della lettera, nella sostanza questi cinque fogli sommano fatti, personaggi e circostanze che hanno delle rispondenze certe nella realtà . Tranne uno.
Se le voci sul presunto soggiorno obbligato di Emanuela le tratteremo in seguito, direttamente dalle parole del “postino”, è interessante soffermarsi sulla terza pagina. Sulla nota che riporta: “Attività gestione Stampa coordinata Dottor Teofilo Benotti, L. 5.000.000”. Come scritto anche da Fittipaldi, la figura di Benotti non è mai stata di primo piano. Nelle ricerche effettuate dal giornalista, non si trovano riscontri come appartenente all’ufficio stampa del Vaticano e nemmeno come collaboratore del giornalista dell’Opus Dei Joaquin Navarro-Valls, che ha guidato la comunicazione per la Santa Sede dal 1984 al 2006. Ha collaborato con l’”Osservatore romano” e, da quanto si dice era “persona ascoltata da Giovanni Paolo II”.
Fittipaldi trova invece tracce nitide di Teofilo Benotti nell’archivio del Quirinale, come insignito del titolo di “Commendatore” nel 1977 e, vent’anni, dopo di “Grande ufficiale al merito della Repubblica italiana”.Tutto si ferma a queste informazioni.
Questa figura enigmatica, inserita dentro al contesto dei “cinque fogli”, rappresenta un punto di domanda che abbiamo cercato di capire con l’aiuto di Antonio Parisi, un giornalista di lungo corso che lavora a Roma da sempre. E da sempre, molto vicino agli ambienti monarchici e vaticani. Ci ha rilasciato una lunga dichiarazione audio esclusiva, molto specifica e interessante, che vi presentiamo in forma scritta per facilitare la comprensione dei passaggi salienti. Passaggi che analizzeremo alla fine.
CHI E’ ANTONIO PARISI
Antonio Parisi è nato in provincia di Taranto e vive a Roma. Ha diretto, succedendo a Ruggero Orlando, l’emittente nazionale Rete Mia e, per due anni, il quotidiano “Il Meridiano”. Ha firmato diversi scoop sui più importanti settimanali italiani, ritrovando tra gli altri i documenti inediti in cui Pio XII difendeva gli ebrei durante la persecuzione nazista. Ha seguito per anni il caso della morte di Edoardo Agnelli, ed è stato al centro della clamorosa puntata de “La Storia siamo noi” sulla vicenda ( I misteri di casa Agnelli. Aliberti editore). E’ considerato un esperto della storia delle grandi dinastie che hanno regnato e regnano tuttora in Europa e nel mondo.
“Quando furono pubblicati i contenuti dei fogli della rendicontazione sulle presunte spese sostenute dal Vaticano, sul presunto mantenimento di Emanuela Orlandi a Londra, emerse il nome di Teofilo Benotti il qualeera un collaboratore dell’Osservatore Romano e si sarebbe occupato, per 5 milioni delle vecchie lire, di gestire in qualche modo i rapporti con i giornali sulla vicenda della scomparsa della ragazza. Un po’ tutti si chiedevano chi fosse Benotti, io forse ne sapevo qualcosa. Conobbi Teofilo Benotti nel 1982, all’epoca ero stato assunto al Ministero del Tesoro e, forse perché figlio di un grande invalido di guerra, ero stato mandato alla Direzione generale delle pensioni di guerra il cui direttore generale era l’ex potente di Stato Felice Ruggero, il cui nome era stato inserito nella lista P2 e perciò inviato, per punizione, al poco importante incarico alle pensioni di guerra. L’ufficio era in Via Casilina n.3, oggi lo stabile è occupato dalla compagnia dei trasporti ferroviari Italo. In questi uffici del Ministero del Tesoro, ve ne era uno curioso: Il Comitato di liquidazione delle pensioni di guerra che, pur inserito nella struttura del tesoro, per qualche mistero burocratico era ufficio dipendente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. In questa struttura lavorava per l’appunto Benotti. Dopo un mese dalla mia assunzione, io monarchico divenuto segretario nazionale del fronte monarchico giovanile dell’unione monarchica italiana, venni avvicinato da Benotti. Mi apparve come uno strano uomo che sembrava in realtà un sacerdote di alto rango, parlava con tono basso e parole misurate. Un po’ mellifluo.
Benotti si presentò quale giornalista pubblicista, impiegato appunto presso il comitato di liquidazione delle pensioni di guerra e mi suggerì caldamente di non parlare della mia fede monarchica. Era pericoloso, mi disse, perché ero già stato segnalato. Infatti, secondo Benotti, in ogni direzione generale del ministero, vi erano impiegati che percepivano dalle trecento alle cinquecentomila lire al mese, da parte dei servizi segreti, per riferire e rapportare su quanto accadeva all’interno delle stesse direzioni generali. Benotti disse che però lui poteva proteggermi, che ero sotto la sua ala protettiva e che, in cambio, mi avrebbe chiesto un “favore” da parte della real casa di Savoia, cosa questa che mi infastidì moltissimo. Il Benotti, ogni giorno, era solito lasciare il Ministero alle 9.30, prendere l’autobus davanti al Ministero stesso e recarsi nella Basilica di S. Maria Maggiore dove, mi aveva confidato di avere un importante incarico.
Nei giorni successivi al nostro primo incontro, Benotti con mia grande perplessità, mi chiese di uscire dall’ufficio per accompagnarlo a S. Maria Maggiore. Non voleva che segnalassi la cosa al mio dirigente, cosa che infatti non feci e chiesi un regolare permesso di lavoro. Quindi con Benotti prendemmo l’autobus e l’accompagnai alla Basilica di S. Maria Maggiore. Lì mi mostrò tutte le parti interessanti di una delle quattro Basiliche Maggiori romane e con mia curiosità gli chiesi come facesse a lasciare il posto di lavoro tutti i giorni senza che il Ministero fiatasse. Lui mi disse che non c’era assolutamente problema, che lui aveva un incarico delicato e che mi doveva bastare sapere questo.
Fu proprio nell’occasione di questa visita a S. Maria Maggiore che Benotti mi chiese il favore di cui aveva bisogno da casa Savoia: Benotti voleva ottenere un provvedimento nobiliare per diventare Conte da parte di Umberto II di Savoia, aggiungendo “se te ne occuperai, otterrai un successo, ti ricompenserò in maniera molto proficua e adeguata”. Una richiesta per me quasi impossibile, sapevo che il sovrano, in esilio, non accontentava facilmente questo genere di richieste. Confermava quasi esclusivamente la vecchia nobiltà piemontese o chi aveva prestato dei grandi servigi all’Italia durante il periodo monarchico, o magari anche dopo. Benotti mi sollecitò in ogni modo ad intervenire, sapeva che era una questione anche abbastanza delicata. Che re Umberto era molto malato e che poteva spegnersi da un momento all’altro e quindi, secondo lui, bisognava fare presto. Non mi lasciai convincere e rifiutai di svolgere questo incarico per lui. Aggiunsi che, se proprio voleva, poteva provare a parlare o con il segretario generale dell’unione monarchica Sergio Boschiero oppure, molto meglio, con Falcone Lucifero che era l’uomo che si occupava di queste questioni. Aggiunsi pure che Falcone Lucifero, ministro della real casa, in realtà era enormemente ben introdotto in Vaticano con grandi amicizie nella segreteria di stato. Se lui voleva, poteva ben chiedere a Lucifero. Benotti cambiò quasi di espressione, sembrava un serpente che non aveva potuto ingoiare la sua preda. Benotti ammutolì al mio infastidito rifiuto e a me non restò che raccontare il tutto a Sergio Boschiero, segretario generale, il quale mi disse di riferire immediatamente a Lucifero.
Riferii a Lucifero il quale mi disse di essere stato molto bravo ad aver declinato la richiesta di Benotti e, sibillinamente, Lucifero – uomo che secondo l’Espresso era enormemente potente, molto legato a Licio Gelli – mi chiese dove mi fosse stata fatta la richiesta da parte di Benotti, se all’interno della Basilica di Santa Maria Maggiore o fuori delle mura della Basilica. Gli risposi che me lo aveva chiesto nella Basilica e lui mi rispose: “capisco, la Basilica è territorio extra-territoriale”. Chiesi al ministro quale fosse la differenza e mi disse: “Eh la differenza la conosco io”.
Dopo pochi mesi da quel colloquio con il ministro della real casa e dopo aver declinato la richiesta di Benotti , Re Umberto, che aveva una grave malattia, il 18 di marzo del 1983 morì.
Tre mesi dopo Emanuela Orlandi sparì, inghiottita in un buio da cui non si riesce ancora oggi a fare luce.
Tempo fa, emerse una voce secondo cui i resti di Emanuela Orlandi sarebbero stati occultati dentro S. Maria Maggiore, guarda caso il luogo in cui Benotti, prestava non sappiamo che tipo di servizio. “
ANALISI DI UN’ANOMALIA
Questa testimonianza diretta, ci dice chiaramente che Teofilo Benotti non era un semplice impiegato statale. Non e’ stato solo uno scrittore di testi come: “L’azione politica cristiana”. O “uomo ascoltato” da ben quattro pontefici . Ci tratteggia una persona che lavorava per il Ministero del Tesoro e per qualche organismo interno al Vaticano. Non un doppio lavoro, un doppio incarico. Dettaglio che porta a pensare a una collaborazione tra la Santa Sede e lo Stato italiano, su qualche aspetto che non doveva essere di dominio pubblico.
Ci dice che lui era a conoscenza di chi collaborava con i servizi segreti, in modalità di controllo. Li conosceva, e poteva “proteggere” Parisi dai loro report. Si può dedurre, quindi, che lui avesse dei rapporti con questi “collaboratori dei servizi”. Rapporti non subalterni. Rapporti che fanno pensare che lui stesso fosse un “collaboratore dei servizi”. Di un livello superiore.
Il fatto che sia stato inserito dentro ai “cinque fogli”, ora ha un senso. Il suo “secondo incarico”, che non era certamente alla luce del sole, giustifica la sua presenza in quella rendicontazione e apre una serie di domande sulla veridicità dei contenuti. Ritenuti, da quasi tutti, un depistaggio. Una “verità” che noi abbiamo sempre contestato, non volendo ritenere pregiudiziale l’architettura della lettera. La figura di Benotti, nei “cinque fogli”, è stata sempre considerata una delle anomalie rispetto al resto dei personaggi citati. Ora molto meno. Se la domanda era: perché è stato inserito un nome come quello di Teofilo Benotti, qualche risposta possiamo darla, ora. Come leggerete, e ben sapete, questa è una matassa che va sciolta un po’ alla volta. Senza trascurare i dettagli che, sebbene piccoli, sono importanti.
(SEGUE PARTE 4)