“Scimmiette da castigare” e “prede da catturare”. Vengono apprezzate per la loro docilità, anche se qualcuno si lamenta che sono troppo “consumate” o brutte. Nessun problema: ci sono le “pretty”, o “perle”, ragazze giovani, dalla pelle più chiara e dai tratti più occidentali. Qualcuno avanza l’ipotesi: “Le prede siamo noi, che ai loro occhi siamo degli scemi con scritto ATM in testa”, qualcun altro si lamenta dei viaggiatori “del terzo mondo”, che hanno rovinato la qualità delle ragazze: non è più come dieci, vent’anni fa. Qualcuno consiglia di “infilzarle alla brutta da dietro”, anche mentre dormono: non si lamenteranno. Nessuno fa notare che quello non è sesso, nemmeno a pagamento, ma stupro.
Esaminare lo scambio di informazioni su un forum di turismo sessuale metterebbe alla prova anche la persona più cinica e disincantata. Non che ci si possa aspettare chissà quali ossequi da siti che raccolgono dettagliate recensioni su escort, night club e servizi sessuali, ma l’impressione è che gli utenti siano mossi soltanto dalla peggior misoginia. Non si contano le lamentele nei confronti delle connazionali, che non “la danno”, anche dopo aver preteso cene pagate e regali: è per disperazione che questi gentiluomini spendono le loro vacanze in Paesi in via di sviluppo per consumare rapporti a 10 euro l’ora con delle adolescenti. Anche le stesse sex worker vengono insultate, perché sono arroganti, o perché sembrano poco coinvolte, o perché pretendono di essere pagate la cifra pattuita anche in caso di un rapporto non soddisfacente. Molti insulti sono anche di stampo razzista, specialmente nelle aree del sito dedicate ai viaggi in Africa: le donne vengono chiamate “gazzelle” con “la faccia da babbuini”. Sono cattive e bugiarde “come tutte le africane”.
Siti come questo sono solo la punta dell’iceberg di tutto il traffico online generato dal turismo sessuale: sono centinaia i forum, i canali YouTube, i siti porno dedicati a questa pratica che si mantengono sul filo della legalità. Se in alcuni Paesi la prostituzione è legale, in molti altri casi gli utenti si scambiano consigli su come sfuggire alla polizia. Di frequente però i reati sono più gravi del mero sfruttamento della prostituzione. Quasi nessuno fa esplicito riferimento al fatto che molte di queste ragazze (e ragazzi) siano spesso bambine (e bambini): adolescenti o pronte per le elementari, nei casi peggiori per l’asilo. Secondo l’Ecpat – End Child Prostitution in Asian Tourism, ogni anno tre milioni di persone viaggiano per turismo sessuale. Circa 250mila sono in cerca di vittime minorenni il cui sfruttamento genera un mercato da 20 miliardi di dollari – e il fenomeno è sottostimato. Il triste primato, con 80mila partenze l’anno, va agli italiani.
Si tratta di una piaga così diffusa che le schede di molti Paesi sul sito della Farnesina Viaggiare Sicuri si preoccupano di mettere bene in evidenza le pene previste per chi sfrutta la prostituzione minorile. “In alcune strade dell’Africa non è difficile trovare sulla strada cartelli che intimano di non toccare i bambini, scritti in italiano”, denuncia Giorgia Butera, presidente di Mete Onlus. L’associazione, in collaborazione con l’Ecpat, lo scorso anno aveva presentato in Senato il progetto Stop Sexual Tourism, campagna che nel 2016 aveva fatto affiggere in 57 aeroporti italiani un manifesto informativo per scoraggiare le partenze. Tra le mete principali c’è l’Asia con Paesi come la Cina, il Giappone, la Corea e la Thailandia, che hanno visto crescere significativamente anche il turismo per lavoro, spesso strettamente e tristemente collegato allo sfruttamento della prostituzione minorile: il dossier parla dell’usanza sempre più diffusa di intrattenere clienti e manager in visita dall’estero con escort, alcool e droghe per saldare relazioni di lavoro. Zone di confine come il Myanmar, il Vietnam e la Cambogia (dove il mercato delle vergini è particolarmente sviluppato), vengono invece scelte perché più economiche. Poi ci sono i Paesi latino-americani, che soffrono anche situazioni di grande povertà infantile, associata a droga e corruzione. L’Africa sub-sahariana è la meta emergente, con Ghana, Kenya, Sudfrica e Zambia ai primi posti.
La pedofilia, intesa come condizione clinica, c’entra poco. Secondo l’Ecpat, solo il 5% degli sfruttatori di prostituzione minorile è pedofilo, mentre il 95% è in cerca di “un’esperienza trasgressiva”. Il 60% di chi parte lo fa in modo occasionale e il 35% in modo abituale e non manca chi, pur essendo in viaggio per svago, usufruisce di servizi sessuali qualora gliene si presenti l’occasione. Il fenomeno coinvolge persone mediamente giovani (l’età media è di 27 anni), e non soltanto uomini. In percentuale nettamente inferiore, anche le donne cercano prestazioni sessuali, anche se in questo caso l’età media delle vittime si alza, con una prevalenza di adolescenti nei Paesi caraibici e africani. In quest’ultimo caso, poi, alla pratica criminale si aggiunge anche un certo lassismo nel condannarla, a causa del radicato pregiudizio secondo cui le donne non sarebbero in grado di perpetrare abusi sessuali. Lo scorso maggio, ad esempio, una servizio de Le Iene raccontava in modo goliardico il viaggio di due donne italiane in Kenya “Alla ricerca del Big Bamboo”, parlando di “turismo romantico” con tono scherzoso e indugiando sulle allusioni razziste delle intervistate. Se la puntata avesse mostrato sessantenni in cerca di ragazzine in Thailandia, il mood sarebbe certamente cambiato.
Il problema si è imposto all’opinione pubblica mondiale grazie alla firma, nel 1989, della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza che all’art. 34 prevede che “Gli Stati parti si impegnino a proteggere il fanciullo contro ogni forma di sfruttamento sessuale e di violenza sessuale”. Il nostro ordinamento prevede la reclusione da uno a sei anni e multe fino a 6mila euro per chiunque recluta, induce, sfrutta o favorisce la prostituzione minorile, senza contare che il turista sessuale deve rispondere anche alle leggi del Paese in cui ha commesso il reato.
tta della prostituzione provenienti dall’est Europa e dall’Africa, molto spesso minorenni. Nella sola provincia di Roma, interessata dal famoso caso delle “baby squillo” (termine da tabloid che sminuisce la gravità del crimine commesso) tra il 2012 e il 2014 c’è stato un aumento del 516% dei processi per crimini relativi allo sfruttamento dei minori.
L’aumento di questi abusi è accostato dall’Ecpat all’incremento del turismo (soprattutto se legato a grandi eventi, come hanno dimostrato le Olimpiadi a Rio, dove si è registrato un boom di prostituzione minorile) e alla diffusione di internet, che facilita lo scambio di informazioni e molto spesso permette allo sfruttatore di mettersi direttamente in contatto con la vittima, o con la sua famiglia. Nel 2013 la Ong Terres des Hommes aveva condotto un esperimento, documentato su YouTube, infiltrandosi in chat room pubbliche con l’identità fittizia di una bambina filippina di dieci anni. In dieci settimane, 20.172 persone avevano contattato il profilo chiedendo performance sessuali a pagamento tramite webcam. Secondo Najat M’jid Maalla, relatore delle Nazioni Unite sulla compravendita di bambini, prostituzione minorile e pedopornografia, almeno 75mila persone sono online in qualsiasi momento in cerca di cam show con soggetti minorenni, ma sono soltanto sei le condanne pronunciate per questo reato in tutto il mondo.
Il turismo sessuale è una piaga che per essere debellata va considerata nell’ottica del colonialismo. All’estero, nei Paesi “esotici”, gli occidentali si sentono svincolati dalle norme sociali che rispetterebbero nei propri Paesi di origine: questo spiega perché i pedofili siano solo una minoranza e perché la maggior parte di chi parte lo faccia per provare “un’esperienza trasgressiva”. Chi va in cerca di soggetti fragili si sente impunito, se non addirittura legittimato, spesso agendo nella convinzione che questi Paesi permettano se non addirittura incoraggino questo sfruttamento. È un approccio di stampo colonialista, che si basa sull’idea che i Paesi del Sud del mondo siano culturalmente meno avanzati, estranei alle nostre salde consuetudini morali, quindi a disposizione del ricco uomo bianco che può acquistare tutto ciò che desidera in cambio di denaro: cibo, alcool, droghe e, ovviamente, corpi. Anche il linguaggio usato sui forum di turismo sessuale lo segnala: si parla con gergo militare, ci si riferisce a cacciatori e prede, bandiere da piantare, nome italiano da tenere alto. Non vi è alcun rispetto o empatia per le vittime, ma spesso solo disprezzo e ripugnanza accompagnati dalla pretesa che queste donne e bambine accolgano i propri clienti con sorrisi, affetto e moine.
Negli anni del fascismo la pratica di avere schiave sessuali bambine nelle colonie africane si chiamava madamato, ed era una consuetudine talmente diffusa che ancora nel 1986 Indro Montanelli difendeva in tv il suo diritto ad aver avuto rapporti sessuali con una dodicenne, che definiva un “animalino docile”. Oggi le colonie non esistono più, ma il nostro Paese non ha ancora fatto i conti con il suo passato coloniale e il madamato si è trasformato in turismo sessuale. Cambia il nome, ma la matrice è la stessa: esercitare il dominio, che sia economico, razziale o più semplicemente patriarcale, senza il minimo riguardo nei confronti delle persone sfruttate. Persone che in questi casi non ricorrono alla prostituzione per loro libera scelta, ma perché costrette dalle circostanze, dalla famiglia, dalla criminalità organizzata. A maggior ragione, se parliamo di minori e di bambini la scelta non è mai libera.
Gli effetti sulle vittime della tratta sessuale sono devastanti, anche perché solo una piccola percentuale riesce a uscirne e, anche una volta sottrattasi, spesso non esiste alcun tipo di supporto psicologico, sociale ed economico. Se a chi abusa basterà rientrare in Italia, magari dai propri figli della stessa età delle vittime degli abusi commessi in Kenya o Tailandia, per tornare alla vita normale, alle vittime della prostituzione minorile non basterà una vita intera.
http://thevision.com/attualita/turismo-sessuale-minorile/
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