di Diego La Matina – La vicenda di padre Aleksander Iwaszczonek, sacerdote teatino accusato di violenza sessuale e maltrattamenti, rappresenta uno dei tanti drammatici capitoli della crisi degli abusi all’interno della Chiesa cattolica italiana. Una storia che ha inizio a Napoli, dove il giovane sacerdote polacco operava celebrando messe secondo il rito antico in latino nella basilica di San Paolo Maggiore nel centro storico della città. È qui che incontra Mirco, nome di fantasia di un ragazzo che cerca rifugio spirituale in un momento di profonda fragilità.
L’incontro fatale: quando la vulnerabilità incontra il potere
La pandemia ha lasciato cicatrici profonde nella vita di molti giovani. Per Mirco, all’epoca ventenne, l’isolamento forzato si è sommato agli studi interrotti e alla difficoltà di accettare la propria omosessualità in un contesto familiare poco accogliente. In quel periodo buio, il ragazzo arriva a considerare il proprio orientamento sessuale come una malattia da cui guarire. È in questo stato di estrema vulnerabilità che si aggrappa alla Chiesa.
Deluso dalla modernità della liturgia contemporanea, Mirco inizia a frequentare le messe in rito antico celebrate da padre Aleksander Iwaszczonek nella basilica napoletana. È novembre 2022. Dietro l’altare c’è questo sacerdote polacco dei Teatini, ordinato da uno degli arcivescovi più vicini a Benedetto XVI, del quale è profondo ammiratore. Un dettaglio significativo: padre Aleksander avrebbe ricevuto in dono lo zucchetto dello stesso Ratzinger, un privilegio considerato unico.
L’avvicinamento è graduale, quasi studiato. Prima l’invito a partecipare con maggiore assiduità alle celebrazioni, poi le cene con la comunità, infine la proposta che cambierà tutto: restare “a tempo indeterminato” nel convento teatino di Napoli, giorno e notte. Mirco accetta. È fragile, dilaniato dal senso di colpa, terrorizzato dal giudizio altrui. I Teatini diventano la sua nuova famiglia.
Gli otto mesi dell’orrore: abusi tra le mura sacre
Quello che doveva essere un luogo di protezione e crescita spirituale si trasforma in una prigione psicologica. Per otto mesi, Mirco vive all’interno del monastero napoletano il suo periodo di iniziazione alla vita religiosa. Padre Aleksander è il suo riferimento principale, la guida per tutti i giovani novizi. Ma dietro la facciata dell’autorità spirituale si nasconde una dinamica di manipolazione e sopraffazione.
Il rapporto tra i due si fonda su un’alternanza devastante tra rassicurazioni e umiliazioni. Padre Aleksander sembra pienamente consapevole del potere che esercita sul ragazzo, della sua capacità di plagiarlo attraverso una figura quasi idealizzata. Mirco – che non aveva mai avuto relazioni prima di allora – fatica a distinguere cosa sia giusto da cosa sia sbagliato, cosa sia consenso autentico da cosa sia sottomissione.
Secondo quanto emerso dalle indagini e dalle testimonianze, gli abusi sessuali avverrebbero nella camera del sacerdote. Mirco sostiene che il suo consenso veniva spesso estorto, che dipendeva dalla condizione di totale sottomissione in cui si trovava. La manipolazione psicologica si intreccia con quella fisica, creando una spirale da cui il giovane non riesce a liberarsi.
Dopo diversi mesi di questo inferno, Mirco entra in una crisi profonda. Arriva a pensare al suicidio. Solo dopo aver lasciato la comunità, nel novembre 2023, e dopo aver iniziato un percorso con uno psicologo, trova il coraggio di denunciare. La sua denuncia dà il via a un’indagine della Procura di Napoli che porta al rinvio a giudizio di padre Aleksander Iwaszczonek per violenza sessuale tramite abuso della debolezza della vittima e maltrattamenti psicologici.
Il processo a Napoli: la giustizia in azione
Il 17 settembre 2025 si è tenuta un’udienza cruciale del processo davanti al Tribunale di Napoli. L’avvocato Massimo Calò, difensore di Mirco costituitosi parte civile, conferma: “Tra le accuse ci sono la violenza sessuale, abusando delle condizioni di fragilità del ragazzo, e i maltrattamenti psicologici avvenuti durante il periodo di formazione”. Il processo è in fase dibattimentale, iniziato nell’autunno del 2024.
La difesa di padre Aleksander – che insieme al suo avvocato ha preferito non rilasciare dichiarazioni trattandosi di un processo in corso – presumibilmente continuerà a sostenere la tesi del consenso da parte della vittima. Una linea difensiva che ignora completamente la dinamica di potere, la condizione di fragilità psicologica del giovane e il ruolo di autorità spirituale del sacerdote.
Nel frattempo, l’ordine dei Teatini, per bocca del suo provinciale, il padre Adam Marek Kowalczykowski, ha rilasciato una dichiarazione che suona come una difesa d’ufficio: “Nella comunità teatina padre Aleksander è indicato da sempre, per la sua onestà, la sua integrità e la sua rettitudine, come persona al di sopra di ogni sospetto. Non comprendiamo le ragioni che hanno spinto la sedicente vittima alla denuncia penale”.
L’uso dell’espressione “sedicente vittima” è già di per sé significativo e rappresenta un pattern ricorrente nelle risposte ecclesiastiche di fronte alle denunce di abuso.
La promozione paradossale: premiato mentre è sotto processo
Quello che rende questa vicenda ancora più sconcertante è quanto accaduto durante le indagini e dopo il rinvio a giudizio. Invece di sospendere padre Aleksander da ogni incarico, i vertici dell’ordine dei Teatini hanno deciso di trasferirlo in una sede del Nord Italia. Qui ha continuato tranquillamente a celebrare l’eucarestia e gli altri sacramenti, “con l’obbligo di adottare particolare prudenza con giovani e bambini”.
Un obbligo che suona beffardo: un sacerdote accusato di abusi sessuali su un giovane viene semplicemente invitato ad essere “prudente” con i potenziali nuovi giovani che incontra. Nella nuova sede gli è stato persino concesso di continuare gli studi religiosi e tenere lezioni online con i novizi della sua famiglia religiosa.
Ma il culmine dell’incredulità arriva a luglio 2025. In pieno processo penale, il governo provinciale dell’ordine dei Chierici Regolari Teatini d’Italia elegge padre Aleksander Iwaszczonek tra le figure al vertice per il triennio 2025-2028. Una sorta di promozione che lascia attoniti: un sacerdote sotto processo per violenza sessuale viene elevato ai vertici del suo ordine.
Solo dopo che la vicenda è stata portata all’attenzione dei media, il 18 settembre 2025, il nuovo preposito provinciale padre Adam Marek Kowalczykowski è stato costretto a emettere un comunicato ufficiale sospendendo padre Aleksander da qualsiasi incarico. Nel comunicato si legge una giustificazione che appare contraddittoria: da un lato si rivendica il principio della presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva, dall’altro si ammette che la diffusione della notizia alla stampa rende necessaria la sospensione per tutelare “la dignità di tutti i soggetti coinvolti” e “la incolumità personale” dello stesso padre Aleksander.
In sostanza, l’ordine ammette implicitamente che la sospensione è dovuta più alla pressione mediatica che a una reale presa di coscienza della gravità delle accuse.
Un sistema malato: i numeri dell’orrore
Il caso di padre Aleksander non è affatto isolato. Secondo i dati raccolti dall’Associazione sopravvissuti agli abusi sessuali del clero, dal 2000 ad oggi in Italia si contano 1.236 casi documentati di abuso e ben 840 situazioni insabbiate. E questi numeri, sottolinea Francesco Zanardi, presidente dell’associazione, non sono affatto esaustivi. In Italia non esiste un monitoraggio ufficiale del fenomeno.
In regioni come la Lombardia, e in particolare a Milano, il sommerso supera di gran lunga il numero di condanne definitive. In poco più di due decenni, l’associazione ha registrato solamente 28 condanne definitive in Lombardia a fronte di oltre 100 episodi insabbiati. La sproporzione è evidente e drammatica.
“In altri paesi europei i numeri ufficiali sono molti meno. Non perché il fenomeno sia meno diffuso, ma perché vengono aperte commissioni d’inchiesta e tavoli di discussione. In Italia, invece, non si fa nulla”, denuncia Zanardi. La mancanza di volontà politica è evidente: “Non ci sono interventi da parte della politica né da parte della magistratura”.
Storie parallele: Giorgio e la fuga dalla Polonia
La testimonianza di Giorgio Babicz, raccolta da MilanoToday, mostra come il meccanismo degli abusi segua pattern tristemente ricorrenti. Anche lui, come Mirco, proveniva da una famiglia disfunzionale – madre anaffettiva, padre alcolista e violento – quando a 13 anni un sacerdote italiano che frequentava la sua famiglia in Polonia gli offre l’opportunità di raggiungerlo in Italia.
Giorgio accetta e va a vivere nella casa canonica di un piccolo paese. “Non parlavo ancora l’italiano e non capivo cosa stesse succedendo”, ricorda. “Il prete era pedofilo e aveva diverse perversioni. Mi chiedeva di dormire nella cuccia insieme al suo alano”. Ogni rifiuto veniva seguito da minacce di rimandarlo in Polonia.
“Sono passati 20 anni, ma sono ancora in cura da uno psicologo”, confessa Giorgio, che è dovuto scappare a Milano per ricostruirsi una vita. “Quegli episodi hanno sempre avuto ripercussioni pesanti sulla mia vita sentimentale”. Il prete è stato denunciato, ma anche in questo caso ha ricevuto soltanto un ordine di trasferimento. Nessuna vera conseguenza.
I fratelli Lucchina e il sistema dei trasferimenti
A Milano è nota la vicenda dei fratelli Lucchina, entrambi sacerdoti, entrambi accusati di abusi sessuali. Don Alberto Lucchina avrebbe abusato di una bambina negli anni Novanta quando era sacerdote nel Varesotto. È stato condannato tre anni fa dal Tribunale ecclesiastico della Lombardia a cinque anni di esercizio del sacerdozio in una Casa di riposo per anziani, con l’interruzione di qualunque attività con minorenni.
Eppure, nonostante il provvedimento, don Alberto è stato trasferito dalla parrocchia del quartiere Isola – dove esercitava – all’ex seminario di Seveso solo alcuni mesi dopo, dove è rimasto a contatto con dei minori. Il fratello invece ha beneficiato dell’archiviazione del processo per violenza sessuale nei confronti di una donna disabile. I fatti risalgono al 2016, ma la denuncia è arrivata solo qualche anno dopo e i pubblici ministeri hanno chiesto l’archiviazione perché non c’erano più i termini temporali per procedere.
Il problema dei tempi: quando la giustizia arriva troppo tardi
“È un problema ricorrente”, spiega Zanardi. Il percorso di rielaborazione da parte di una vittima è lungo e complesso. Può innescarsi una rimozione del trauma che cancella per anni le violenze subite. “Quando le vittime acquisiscono consapevolezza e sono pronte a denunciare, ormai è troppo tardi” per i termini di prescrizione.
Questo meccanismo protegge di fatto gli abusatori, che beneficiano del silenzio imposto dal trauma alle loro vittime. È un circolo vizioso che perpetua l’impunità.
Due giustizie, due velocità
Bisogna distinguere tra il procedimento davanti alla magistratura italiana e il processo canonico davanti al tribunale ecclesiastico. Cambiano sia le procedure che i potenziali esiti. “Nel processo canonico, l’offesa è considerata verso Dio e la vittima non viene nemmeno sentita”, denuncia Zanardi.
Questa differenza è fondamentale per comprendere perché così tanti casi vengono insabbiati. Il processo canonico, gestito internamente dalla Chiesa, spesso non porta a condanne significative. I sacerdoti accusati vengono trasferiti, come se cambiare parrocchia potesse risolvere il problema, invece di essere effettivamente allontanati dal ministero.
Il confronto europeo: l’Italia fanalino di coda
Il confronto con altri paesi europei è impietoso. In Spagna, paese cattolico quanto l’Italia, la Procura generale della Repubblica ha richiesto recentemente tutti i dati delle aggressioni sessuali nei confronti di minori all’interno di istituzioni religiose. La Procura è arrivata dove non ha agito la politica, che è stata di fatto costretta ad aprire una commissione d’inchiesta.
In Francia, Germania, Belgio e altri paesi si sono costituite commissioni indipendenti che hanno prodotto rapporti dettagliati sul fenomeno, portando alla luce migliaia di casi e forzando la Chiesa locale a confrontarsi con la realtà degli abusi. In Italia, invece, regna il silenzio istituzionale.
L’ordine dei Teatini: tra ideali e realtà
L’ordine dei Chierici Regolari Teatini è stato fondato nel 1524, subito dopo la Riforma protestante, con l’intento di riformare la Chiesa dall’interno. Tra i valori fondanti ci sono il tentativo di vivere come gli apostoli e la rinuncia a beni e rendite, dedicandosi solo alla carità e alla misericordia di Dio.
L’ironia è amara: un ordine nato per purificare la Chiesa si trova oggi a dover rispondere di come ha gestito – o meglio, non ha gestito – le accuse di abuso contro uno dei suoi membri, arrivando persino a promuoverlo mentre era sotto processo.
Il nuovo preposito provinciale, padre Adam Marek Kowalczykowski, ha dichiarato di non conoscere nei dettagli la storia, essendo subentrato in un secondo momento. “È una vicenda ancora aperta e ci sono tante cose che non combaciano”, ha affermato. Una dichiarazione vaga che non fornisce risposte concrete.
Le conseguenze sulla vittima
Mentre padre Aleksander continuava il suo ministero e veniva promosso, Mirco affrontava le conseguenze devastanti di quanto subito. Il percorso terapeutico, la difficoltà di elaborare il trauma, il coraggio necessario per denunciare sapendo che avrebbe dovuto affrontare l’incredulità, il giudizio, l’esposizione mediatica.
Denunciare un prete non è come denunciare un qualsiasi altro cittadino. C’è il peso della comunità religiosa, spesso solidale con l’accusato. C’è la difficoltà di far comprendere le dinamiche di manipolazione psicologica e di abuso di potere. C’è il rischio di essere considerato la “sedicente vittima”, come recita il comunicato dei Teatini.
Cosa aspettarsi dal processo
Il processo a Napoli proseguirà nei prossimi mesi. Mirco, costituitosi parte civile, dovrà ripercorrere davanti al tribunale i momenti più dolorosi della sua vita. La difesa di padre Aleksander continuerà probabilmente a sostenere la tesi del consenso, ignorando la giurisprudenza consolidata sull’impossibilità di un consenso libero e consapevole in situazioni di asimmetria di potere così marcate.
L’esito del processo sarà importante non solo per Mirco, ma per tutte le vittime di abusi ecclesiastici in Italia. Una condanna potrebbe rappresentare un precedente significativo. Un’assoluzione rischierebbe di scoraggiare altre potenziali denunce.
Le responsabilità sistemiche
Quello che emerge con chiarezza da questa vicenda è che il problema non è mai solo individuale. Non si tratta solo di “mele marce” da eliminare. Il sistema stesso è complice quando: trasferisce i sacerdoti accusati invece di sospenderli; li promuove mentre sono sotto processo; minimizza la gravità delle accuse; utilizza espressioni come “sedicente vittima”; agisce solo quando c’è pressione mediatica; e rivilegia la tutela della reputazione dell’istituzione rispetto alla protezione delle vittime.
L’ordine dei Teatini ha ammesso nel suo comunicato di non avere “alcuno strumento effettivo per lo svolgimento di una efficace indagine interna”. Se è così, è gravissimo. Significa che ordini religiosi che hanno la responsabilità di giovani in formazione non hanno gli strumenti per proteggerli.
La strada da percorrere
La vicenda di padre Aleksander Iwaszczonek mostra quanto lavoro ci sia ancora da fare in Italia. Serve una commissione d’inchiesta indipendente, come è avvenuto in altri paesi europei. Serve un registro nazionale degli abusi e delle condanne. Serve formazione specifica per chi lavora a contatto con giovani e persone vulnerabili.
Serve soprattutto un cambio di cultura: smettere di proteggere l’istituzione a scapito delle vittime, ascoltare chi denuncia invece di etichettarlo come “sedicente vittima”, riconoscere che gli abusi sono facilitati da dinamiche di potere che vanno smantellate.
Fino a quando questi cambiamenti non avverranno, continueranno ad esserci nuovi Mirco, nuovi Giorgio, nuove vittime che pagheranno il prezzo del silenzio istituzionale. E continueranno ad esserci sacerdoti abusanti che, invece di essere allontanati, verranno trasferiti e persino promossi, perpetuando un sistema malato che tradisce proprio quei valori di carità e misericordia che dovrebbe incarnare.
Il processo di Napoli è in corso. La giustizia farà il suo corso. Ma la vera domanda è: quando la Chiesa cattolica italiana deciderà di fare davvero i conti con questa piaga invece di limitarsi a gestirne le conseguenze mediatiche?
Fonti:
https://www.today.it/dossier/societa/abusi-sessuali-prete-promosso.html
https://teatinos.org/it/comunicado-provincia-teatina-de-italia-bambin-gesu/














