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Condanna definitiva e “fuga a Roma”, lo scandalo Zanchetta continua

Quattro anni e sei mesi per il vescovo argentino protetto da papa Francesco. Ma per i giudici lui risulta a Roma per cure al Gemelli anche se nessuno l'ha visto. Intanto in Argentina proteste dei fedeli per gli appelli inascoltati rivolti al suo successore. Le testimonianze delle vittime.

Rete L'ABUSO by Rete L'ABUSO
11 Febbraio 2025
in Mondo
Reading Time: 4 mins read
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Il mistero Zanchetta continua. All’inizio del mese si è tornati a parlare del vescovo emerito di Orán per la conferma della condanna pronunciata dalla corte d’appello di Salta: quattro anni e sei mesi di reclusione per abuso sessuale continuato ai danni di due seminaristi e aggravato dal fatto che è stato commesso da un ministro di culto. I giudici Virginia Solórzano e Pablo Arancibia hanno respinto il ricorso presentato dai legali di Zanchetta contro la sentenza del 2022 del tribunale di prima istanza di Orán.

La corte d’appello ha avvalorato le testimonianze delle vittime ritenendole «un elemento incriminante di grande valore, in quanto i loro racconti sono coerenti e forniscono dettagli sulle situazioni in cui si trovavano». Un riconoscimento importante per i due giovani che, oltre al trauma degli abusi, in questi anni hanno dovuto fare i conti con un clima non facile che li ha indotti a perdere la vocazione. Uno di loro, orfano, poverissimo e con l’unico genitore malato, ha manifestato tutta la sua rabbia per l’atteggiamento delle autorità ecclesiastiche, in particolare di monsignor Luis Antonio Scozzina, successore del vescovo condannato ad Orán. «Ho sempre pensato e presumibilmente ci hanno insegnato che i vescovi sono successori degli apostoli e quindi devono continuare con l’annuncio profetico e non essere successori di Pilato nel lavarsi le mani», si è lamentato coi suoi amici virtuali una delle vittime.

L’ex seminarista si è fatto un’idea precisa del perché sia stato così difficile per Scozzina “scaricare” del tutto Zanchetta nonostante le testimonianze contro di lui e l’indirizzo preso da processo: «la Chiesa ha così tante regole, leggi, regolamenti, diritti canonici e rubriche per i suoi fedeli. Ma quando c’è un amico che è vestito di bianco si omettono tutte», si è sfogato il giovane. Inutile negarlo: l’elefante nella stanza del caso Zanchetta è proprio la sua amicizia con il Papa.

Uno degli snodi principali di questa vicenda c’è stato nel dicembre 2017 con la nomina del presule argentino, cinque mesi dopo le sue misteriose dimissioni dalla guida della diocesi di Orán, ad assessore dell’Apsa (l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica). Una carica inventata ad hoc per lui e senza alcun potere, come ammesso dalla stessa Santa Sede («incarico che non prevede comunque responsabilità di governo del Dicastero», si giustificò più tardi la Sala Stampa).

Nel gennaio del 2019, poco dopo le prime rivelazioni fatte dalla giornalista Silvia Noviasky, che su “El Tribuno” ha seguito più di tutti il caso, la comunicazione vaticana sostenne che all’epoca della nomina all’Apsa si conoscevano le accuse di autoritarismo, ma non quelle di abusi sessuali. Una versione messa in grossa difficoltà un mese dopo da un documento pubblicato da Noviasky e risalente al 22 aprile del 2016 in cui due vicari generali, il rettore del seminario e altri due monsignori denunciavano formalmente, su richiesta dell’allora nunzio apostolico in Argentina monsignor Emil Paul Tscherrig (poi trasferito in Italia e creato cardinale), gli strani atteggiamenti di Zanchetta nei confronti dei seminaristi (preferenze per i più attraenti, richieste di massaggi, ingressi nelle loro stanze) e facevano riferimento ad una prima segnalazione interna del settembre del 2015 a seguito del ritrovamento casuale da parte del segretario cancelliere della diocesi, Luis Diaz, di fotografie ritraenti Zanchetta nudo e mentre si masturbava. I vicari generali hanno poi presentato una nuova denuncia nel 2017, parlando questa volta di veri e propri abusi sessuali.

Alla Nuova Bussola risulta che al tempo della chiamata in Vaticano, il Papa manifestava anche in privato la convinzione dell’innocenza del suo amico argentino, credendo alla versione fornitagli di fotografie ritoccate per metterlo in difficoltà evocata pubblicamente in un’intervista a Televisa. Al tempo stesso, però, Francesco non avrebbe nutrito alcuna fiducia nei confronti delle sue capacità gestionali per via delle accuse di tipo economico che si aggiungevano al bagaglio di ombre sulla sua esperienza ad Oràn ed avrebbe sconsigliato qualsiasi suo coinvolgimento sul piano decisionale. Per questo motivo la scelta di un incarico che, come aveva voluto precisare la Santa Sede, non prevedeva «responsabilità di governo». È un dato di fatto che il periodo in cui Zanchetta ricoprì l’incarico in Curia coincida con lo sviluppo delle indagini in Argentina su di lui, non senza tensioni con la magistratura argentina che lamentava la difficile reperibilità dell’imputato.

Nel settembre del 2021 l’addio formale al posto all’Apsa e pochi mesi più tardi la condanna a quattro anni e sei mesi ora confermata dalla corte d’appello.  Tradotto in carcere dopo la condanna, Zanchetta ci è rimasto per quattro mesi ed ha poi ottenuto gli arresti domiciliari per motivi di salute, prima in una clinica privata e poi addirittura in un monastero. Il suo trasferimento al monastero Nuestra Señora del Valle, luogo situato nella stessa diocesi in cui si sono svolti i fatti che lo hanno portato alla condanna, ha provocato le proteste dei fedeli che hanno fatto appelli al vescovo Scozzina ma lamentano di non essere stati ascoltati.

Il quadro clinico di Zanchetta non ha solamente impedito la sua permanenza in prigione ma è anche al centro dell’ennesimo capitolo misterioso di questa vicenda. Lo scorso novembre, infatti, siamo stati informati dall’Argentina che il vescovo condannato aveva chiesto ed ottenuto dalla corte d’appello – dopo il no del tribunale di primo grado – il permesso di lasciare il Paese per raggiungere Roma e ricevere cure mediche nella capitale, presumibilmente per un intervento chirurgico. Una fonte vicina ad ambienti giudiziari argentini ci ha riferito che Zanchetta avrebbe ottenuto il permesso per sottoporsi probabilmente ad un intervento chirurgico al Policlinico Gemelli, l’ospedale dei papi. Il presule continua ad essere iscritto al Fas, il Fondo Assistenza Sanitaria vaticano.

Non è stato reso noto quale sia la malattia del presule che renderebbe inevitabile un intervento fuori dall’Argentina, ma in passato il rilascio dal carcere e lo spostamento alla clinica privata erano stati possibili per problemi di ipertensione. Alla Nuova Bussola risulta che Zanchetta avrebbe chiesto alla giustizia argentina di andare al Gemelli per risolvere i problemi cardiaci di cui soffrirebbe. Se tra il 2017 e il 2020 era facile imbattersi nel vescovo all’interno del piccolo Stato, specialmente nella residenza Santa Marta in cui viveva, questo suo ritorno a Roma sembra avvenuto all’insegna del massimo riserbo. Nulla si sa del suo eventuale ricovero al Gemelli, ospedale in cui effettivamente ci risulta essere stato in cura fino al 2021. Fonti vicine agli ambienti giudiziari argentini ci hanno informato che i giudici attendono il suo ritorno in patria questa settimana. La conferma della sentenza, dunque, sarebbe avvenuta mentre il vescovo si trovava in Italia grazie al permesso della stessa corte d’appello che ha ribadito la sua condanna.

Molti fedeli di Orán, intanto, continuano ad essere sul piede di guerra anche di fronte alla prospettiva che Zanchetta torni a scontare la sua pena all’interno di un monastero della sua ex diocesi, in quegli stessi locali in cui viveva un missionario sardo firmatario di una lettera contro la condotta dell’allora vescovo.

https://lanuovabq.it/it/condanna-definitiva-e-fuga-a-roma-lo-scandalo-zanchetta-continua

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