ROMA – “Siamo tutti dei sopravvissuti, ma non sappiamo fino a quando. E anche quelli che attualmente soffrono, sono ancora a rischio suicidio se il loro dolore non viene visto, riconosciuto e condiviso”. Con queste parole è stato presentato, nei giorni scorsi, il neonato coordinamento famiglie sopravvissuti promosso dall’associazione Rete l’Abuso. Parole significative appartenute ad Alessandro Giacoletto, un padre che non ha retto il dolore di una figlia abusata da un familiare e che non è riuscita a sopravvivere scegliendo l’estremo gesto.
“In Italia purtroppo nessuno pensa ai genitori dei sopravvissuti – ha spiegato il presidente di Rete l’Abuso, Francesco Zanardi -. Questo è lo scopo principale del coordinamento, che è fatto di persone che hanno avuto la stessa esperienza traumatica e che hanno uno spazio in cui poter condividere la loro esperienza e confrontarsi tra di loro”.
A gestire il neonato coordinamento sarà Cristina Balestrini, da anni nel direttivo Rete l’Abuso e anche lei familiare di un sopravvissuto. “Essere genitori non è facile – ha detto Balestrini – ed esserlo di un sopravvissuto è ancora meno facile. Attraversi momenti di sconforto, rabbia, delusione. Senti un dolore profondo che gli altri non capiscono. Ma in tutto questo c’è un filo conduttore: non puoi mollare, tuo figlio è più importante di te”. A dare la forza necessaria per la nascita di questo coordinamento è stata la triste vicenda della famiglia Giacoletto, a cui il gruppo è intitolato. “Il loro suicidio – ha continuato – mi ha profondamente scossa: ho immaginato la loro profonda solitudine e anche il dolore che non ha trovato un luogo dove essere depositato dopo il suicidio della figlia. Così oggi nasce questo gruppo di familiari. È un gruppo autonomo, riservato e formato da cattolici scontenti e delusi”.
L’associazione Rete l’Abuso opera dal 2010 e nasce per fornire sostegno alle persone abusate dal clero. Secondo i dati dell’associazione, attualmente, in Italia, il fenomeno della pedofilia all’interno della Chiesa conta 170 sacerdoti accusati, 168 condannati, 35 persone che hanno tentano di insabbiare gli abusi e oltre un milione di potenziali vittime. Ognuna delle quali ha accanto a sé una famiglia che combatte con loro. “Il soggetto familiare è empatico, considera la persona abusata fragile, impaurita e tradita – ha sottolineato Dante Ghezzi, psicologo e psicoterapeuta, membro del Coordinamento italiano servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia -. Soprattutto quando l’abuso proviene da un luogo in cui si ha fiducia come l’oratorio, la parrocchia. Questi sentimenti che accompagnano la famiglia del sopravvissuto sono sentimenti che vanno guardati. Ben venga la presenza di questo coordinamento che può dare sollievo e speranza ai sopravvissuti, alle vittime e alle famiglie”.
Alla presentazione del coordinamento hanno partecipato anche alcune famiglie che lo compongono. Come Yolanda, madre di un sopravvissuto abusato a soli 12 anni in seminario. O Claudia, madre di due ragazzi abusati dal proprio parroco quando ancora erano bambini. O ancora Roberto, padre di Eva (abusata da una ormai ex suora) che non è riuscita a sopravvivere al trauma togliendosi la vita. “Mio figlio – ha detto Yolanda – è stato abusato dai Legionari di Cristo. Lui è entrato in seminario a 12 anni perché si sentiva pronto ad intraprendere un cammino. L’anno che è entrato hanno abusato di lui. Io l’ho saputo solo dopo, quando a 14 anni è tornato a casa e ha raccontato allo psicologo di aver subito abusi sessuali completi al seminario di Gozzano. Qui inizia il calvario. Pensi che sarai capito se parli con il sacerdote. Ma così non è: siamo passati da famiglia che fa tutto per la parrocchia a famiglia con cui non si può più parlare”.
Una vicenda che è unica e allo stesso tempo comune a molte altre. Yolanda e suo figlio, infatti, hanno vinto il processo penale e il sacerdote è stato condannato in Cassazione a sei anni e sei mesi. Sei anni e sei mesi che tuttavia non sono mai stati scontati. “I Legionari di Cristo l’hanno mandato via in Messico e nessuno è andato a prenderlo”.
A sottolineare l’importanza di un coordinamento di famiglie è stata Claudia, che qualche anno fa è stata anche ricevuta da Papa Francesco per parlare del profondo dolore che la Chiesa ha causato alla sua famiglia. “Il Papa ci ha ringraziato perché abbiamo avuto il coraggio di denunciare. Però questa denuncia non ha portato, all’interno della mia parrocchia, dei buoni risultati. Amici con cui vivevamo insieme ci hanno abbandonato e deriso. Un’altra cosa che il Papa ci ha detto è che vuole una Chiesa trasparente. Allora perché è stato permesso al sacerdote che ha abusato dei miei figli di rimanere all’interno della parrocchia per mesi? Il mio scopo sarà quello di combatterle queste cose. Ringrazio Francesco Zanardi perché ci dà l’occasione di poter combattere attivamente”.
Gabriele D’Amico
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