Valentino Salvoldi, nel suo sito, si definisce studioso, insegnante, giornalista, scrittore ed educatore particolarmente rivolto ai giovani a cui raccomanda di “scegliersi un maestro di vita e scoprire la loro bellezza”. Ma per tanti ragazzi che hanno frequentato Salvoldi e i suoi campi religiosi tenuti per anni nella provincia Italiana, don Valentino è il prete che ha abusato di loro, li ha baciati in bocca, li ha violati nelle parti intime, si è strusciato su di loro dopo averli invitati a dormire nel suo letto. Nei loro ricordi, don Valentino è il sacerdote che ha manipolato i loro pensieri e le loro emozioni chiamandoli “miei figli” o “eletti”, “migliori di tutti gli altri” per continuare ad approfittare di loro, indisturbato, per anni.
Nei suoi racconti, prima di diventare sacerdote, i superiori di Valentino Salvoldi gli sconsigliano di fare il prete, suggerendogli invece di lasciare il seminario, sposarsi e avere figli, poiché “abbiamo paura della tua intelligenza”. Secondo Salvoldi “Santa Madre Chiesa preferisce persone più normali” di lui poiché lui è “bello e intelligente”. Nonostante il consiglio, lui decide di prendere i voti.
Valentino ha studiato all’università a Roma ed ha ottenuto il dottorato con il suo mentore Bernard Häring, professore di teologia morale alla Pontificia Accademia Alfonsiana (Pontificia Università Lateranense). Racconta di essere stato un giovane professore attivo in Vaticano, ma la sua carriera sembra essere stata inaspettatamente deviata verso sedi più periferiche e meno in vista dove la sua attività si concentra sui giovani nel terzo mondo. Sempre secondo i suoi racconti, Salvoldi viene espulso da sette paesi “impoveriti dall’occidente”, si salva per poco da un plotone di esecuzione in Nigeria e, pochi anni fa, rischia la lapidazione in Bangladesh.
Quando i campi cominciano, all’inizio degli anni Novanta, don Valentino viene da una lunga permanenza in Africa dove, secondo le notizie da lui condivise, ha insegnato filosofia e teologia morale come professore visitatore. Nei paesi più poveri e nelle comunità più indifese, intellettualmente ed economicamente. Di ritorno nella zona di Bergamo – è nato a Ponte Nossa il 7 febbraio 1945 – Salvoldi comincia l’organizzazione di campi per giovani dove “discutere, stare insieme, celebrare la bellezza e l’amore di Dio”. I campi si tengono in giro per l’Italia, in luoghi come la Casa di Ritiri Papa Giovanni XXIII a Bani di Ardesio, in provincia di Bergamo, il Circolo ACLI Col Gentile di Mione, in provincia di Udine, anche a Sotto il Monte Giovanni XXIII, in provincia di Bergamo.
Inizialmente i campi sono frequentati da giovani adulti ma già in questi primi anni don Valentino crea e promuove riti e abitudini “speciali” nella sua nuova comunità. Sono in molti a ricordare gli inusualmente lunghi abbracci del sacerdote, i baci dati sulla bocca ai ragazzi, e solo ai ragazzi maschi, le confessioni amministrate nella sua stanza privata, distesi sul suo letto. Valentino parla di linguaggio “nuovo e rivoluzionario”, di culture lontane in cui l’amore non è mai proibito ma sempre “generoso, prolifico, senza barriere”. Giustifica le nuove regole non scritte dei suoi campi come “avanguardia di Dio” e intanto le sue carezze si fanno più intime, più inappropriate e i baci sulla bocca più lunghi e invadenti. Per spiegare questo graduale ma costante scivolamento nei rapporti con i ragazzi, una delle vittime di quei primi anni suggerisce l’immagine efficace della rana in pentola che viene cucinata a fuoco lento e bolle senza neanche accorgersene. In quei campi le parole assumono nuovi valori così come le azioni modellandosi gradualmente in un codice interno da culto. Intanto “il mendicante d’amore”, come Salvoldi si definisce, preme perché i campi si aprano a ragazzi ancora più giovani. La rivoluzione deve essere anticipata. “Se il mondo è cosí non è colpa tua, sarà colpa tua se lo lasci cosí”, ripete ossessivamente Salvoldi, ma occorre cominciare presto. Nei campi successivi arrivano ragazzi di tredici, quattordici e quindici anni, che lui chiama pubblicamente “i masturbini”. Con i giovani, arriva anche il vino, che con il benestare di Valentino, gira tra i ragazzi abbondantemente. La sua ossessione nel focalizzarsi sui più piccoli, porta alla rottura con molti dei ragazzi dei primi campi.
Le confessioni private si fanno quotidiane, il sacerdote invita i suoi favoriti a fare “il riposino pomeridiano” con lui, li molesta e confida a molte vittime che Bernard Häring, il suo mentore, gli ha insegnato che “se non c’è penetrazione, non c’è peccato”. Molti dei ragazzi più giovani sono alla prima esperienza fuori di casa, non sanno come reagire, subiscono in silenzio o soccombono alle lusinghe di Salvoldi. Qualcuno reagisce, si ribella. Affronta il sacerdote chiedendo il perché di queste violenze che sembrano così lontane dagli ideali alti delle prediche quotidiane. Valentino reagisce incredulo e piccato da tanta audacia ma il suo tono non è mai dimesso o apologetico. In un caso dice a una vittima “lo faccio perché tu te lo fai fare”. Valentino prima seduce e adula le sue vittime, poi le umilia e le minaccia. I campi si trasformano in una fabbrica di traumi destinati ad esplodere lungo il cammino di vita delle vittime. Le bugie e gli abusi allontanano figli da genitori, dividono fratelli e coppie, creano rancore tra le vittime e le loro famiglie che di don Valentino si sono fidate non sospettando che si trattasse di un predatore. Le molestie all’inizio occasionali, diventano continue, ripetute, invadenti, spregiudicate. I baci in bocca ora il sacerdote li da pubblicamente, consapevole di aver creato una dinamica da setta. Pubblicamente ripete “un harem non mi basterebbe”. Molti dei “favoriti” parlano tra loro, socializzano la violenza per poterla digerire. Il sacerdote crea un sistema in cui i suoi comportamenti vengono normalizzati, chi non lo sostiene, viene allontanato. E Valentino ha crisi di gelosia quando qualcuno dei “favoriti” conosce una ragazza e se ne innamora, allontanandosi da lui.
Per molti dei ragazzi presenti ai campi, Valentino è molto autorevole, è un uomo di Dio, ha studiato all’università, scrive libri, ha viaggiato, ha parlato con i potenti. Ai campi sono presenti familiari del sacerdote. Il più in vista è il fratello minore di Valentino, presidente della Fondazione Shalom, fondata e diretta da Valentino, che mira a coinvolgere “giovani italiani che si recano in Africa ad animare campi scuola, aiutando gli studenti locali ad essere autosufficienti, ad avere fiducia in sé, a costruire un futuro di pace.” Fratello e nipoti partecipano alle attività dei campi, ai rituali, organizzano le attività che ora si allargano a viaggi in paesi in via di sviluppo, suggerendo l’idea di un ambiente familiare, sicuro, in cui le aggressioni stridono ancora più violentemente.
Per molte vittime gli abusi di don Valentino vanno avanti per anni. Secondo alcuni racconti, col tempo e la prolungata impunità, il sacerdote si fa più aggressivo, meno attento a nascondersi al gruppo. Aggredisce i ragazzi nelle case dei genitori quando si trova in visita da loro, le sue omelie si fanno esplicite nel parlare di “amore, eros, e bellezza che salverà il mondo”. Ma l’unica bellezza a cui Salvoldi si riferisce sembra essere quella dei giovani che partecipano ai suoi campi. Alle vittime di cui abusa per anni ripete, “mi amavi di più quando eri giovane”. Alcune vittime ora ricordano di essere state aggredite al loro primo incontro con il sacerdote. Per tanti l’orrore diventa motivo di abbandono della fede, altri covano traumi che li portano a vite deragliate, disagio, voglia di farla finita. Qualcuno trova il coraggio di parlare: una decina di anni fa viene bloccato un post scritto da una delle vittime di Valentino e indirizzato al blog tuttora tenuto dal sacerdote. Non è chiaro come, ma improvvisamente i campi cessano e Salvoldi viene ancora una volta indirizzato lontano dai riflettori, in luoghi meno visibili, dove l’abuso è elemento quotidiano della vita e fa poca notizia. Poi, in un epilogo dimesso e mediocre per una narcisismo e un ego così pronunciati, arriva l’ultima stazione, il paesino di Ponte Nossa dove, in famiglia e in solitudine davanti a una tastiera, Salvoldi continua a produrre omelie domenicali divulgate sul suo sito personale.
Le vittime di quegli anni ora hanno cominciato a parlare, si confidano, si organizzano, condividono la loro storia a genitori, fratelli, partner e figli. Gli abusi consumati nei campi vengono recentemente confidati ad alcuni educatori, politici e professionisti, tutti vicini a Valentino, molti dei quali sono a stretto contatto con bambini e giovani. Alcuni negano solidarietà alle vittime, scelgono di non parlare, di non farsi coinvolgere, e non offrire supporto a chi chiede loro aiuto. Altri invece, coraggiosi, responsabili e compassionevoli, danno una mano affinché la verità soppressa venga liberata. Le vittime raccontano la loro versione di un’esperienza per molti brutale e traumatica nell’atto, questo sì rivoluzionario, di ristabilire ciò che è successo e restaurare la narrativa dei fatti, dal punto di vista delle vittime, finora schiacciate e silenziose, adesso decise a riscattare sofferenza e dolore.
Se sei una vittima degli abusi di don Valentino Salvoldi e vuoi far sentire la tua voce, validare ciò che hai vissuto o denunciare contattaci a [email protected]
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