Eminenza Reverendissima, presento con animo colmo di sofferenza il caso riguardante don Nello Giraudo». È l’8 settembre 2003. Domenico Calcagno, in quel momento vescovo di Savona, poi cardinale e plenipotenziario dello sterminato patrimonio della Chiesa, scrive a un prelato ancora più eccellente: Joseph Ratzinger, che due anni dopo diverrà Papa Benedetto XVI. Nell’autunno 2003, però, Ratzinger è ancora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, deputata a vigilare sulla rettitudine del clero. E a indagare sui «delicta graviora», i reati più gravi: come quelli contro il sesto comandamento, non commettere atti impuri con un minorenne. Fuor di decalogo: la Congregazione è l’organismo vaticano che punisce i preti pedofili.
Otto settembre 2003, quindi: l’allora vescovo Calcagno segnala all’allora cardinale Ratzinger gli abusi di un parroco. Da quel momento, comincia un carteggio durato più di un decennio tra la diocesi di Savona e la Congregazione per la dottrina della fede. Che tutto sa, eppure non fa nulla per evitare altre violenze. Anni di omissioni, temporeggiamenti e pilatismo. Nel mentre, la giustizia penale accerta gli abusi e imputa la curia di colpevole ignavia.
«Il caso riguardante don Nello Giraudo», come lo definisce Calcagno, è il paradigma di una Chiesa che niente vuole sapere e niente vuole decidere. Un «caso» che comincia nell’inverno 1980. Nello Giraudo, 26 anni e appena ordinato sacerdote, viene inviato a Valleggia, a pochi chilometri da Savona. Comincia a insegnare religione nelle scuole e diventa assistente regionale degli scout. Ma arriva la prima, allarmante, segnalazione: una madre denuncia che don Giraudo ha palpeggiato il figlio. Anche il parroco suo superiore nota atteggiamenti equivoci. Soltanto nel 1984 Giulio Sanguineti, il vescovo dell’epoca, trasferisce il sacerdote pochi chilometri più in là: a Spotorno. Sarà l’inizio di un lungo peregrinare. Questa, del resto, è sempre stata la prassi delle curie: spostare i preti accusati pedofilia da una chiesa all’altra. Come se i bollenti spiriti dipendessero dalle latitudini.
Nel 1989 don Giraudo emigra ancora: viene promosso parroco di Feglino, sempre vicino a Savona. Dove, a dispetto degli opachi precedenti, apre la comunità «La lanterna»: una casa-famiglia per ragazzi in difficoltà. Ma a marzo 2002 Calcagno, appena nominato vescovo di Savona, riceve l’allarmata confidenza di un’assistente sociale: a causa delle molestie del prete, i Comuni liguri non vogliono più affidare altri ragazzi alla comunità. E pure la Caritas mette in guardia il monsignore.
Bisogna correre ai ripari: con la consueta discrezione, ovvio. Il 9 giugno 2003 Andrea Giusto, vicario generale della diocesi, annuncia a don Giraudo l’ennesimo incarico, causa reiterati abusi: «Fatti coraggio, metticela tutta per uscire da questa situazione… Ti voglio bene». E qualche mese dopo, per l’appunto l’8 settembre 2003, Calcagno informa, Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede: «Chiedo la cortesia di un consiglio circa l’atteggiamento da tenere» aggiunge il vescovo. «Per quanto possibile, intendo evitare che abbia comunque responsabilità che lo mettano a contatto con bambini o adolescenti».
Alla lettera viene allegato un documento, firmato da don Giusto, che riassume tormenti e abusi del parroco «segnalato»: dal 1980, appena nominato a Valleggia, fino al 2003, quando è costretto a chiudere la casa-famiglia e lasciare Feglino. Lo stesso Giraudo, specifica il dossier, ha confessato di provare attrazione per i ragazzi: «Inclinazione che pensa possa essere accettabile e compatibile anche con la sua condizione di sacerdote». Il vicario generale conclude l’informativa chiarendo, tra l’altro, che «nulla è trapelato sui giornali e non ci sono denunce in corso».
La Congregazione per la dottrina della fede resta impassibile. Don Giraudo, nel novembre 2003, viene mandato in un’altra parrocchia. Ma, anche se esonerato dal catechismo, nell’estate 2005 commette l’ennesimo abuso, per cui sette anni dopo patteggerà un anno di reclusione.
Le comunicazioni tra la curia ligure e quella romana sembrano però interrompersi. Solo il 22 febbraio 2006, più di due anni dopo l’ultima missiva, Calcagno scrive a monsignor Charles Scicluna, promotore di giustizia della Congregazione per la dottrina della fede, cioè il pubblico ministero vaticano. «Mi riferisco alla pratica inerente il sacerdote Nello Giraudo» esordisce. Il vescovo dettaglia i presunti progressi di don Nello, grazie anche a «un intinerario psicologico» con un prete cappuccino. È stato lo stesso don Giraudo, rivela lo stesso Calcagno, a chiedergli «di informare codesta Congregazione, al fine di ottenere il superamento del grave giudizio nei suoi confronti».
Riassumendo: il parroco, temendo di venire spretato, chiede al vescovo di metterci una buona parola. E lui non si sottrae. Tanto che il 7 marzo 2006 invia un’altra lettera a Scicluna, proponendo un incontro al promotore di giustizia vaticano per uno «scambio di vedute». Che condurrà, ancora una volta, all’immobilismo dell’inchiesta canonica.
Fino a quando un uomo non si presenta alla Procura di Savona per denunciare gli abusi che avrebbe subito nel 1983. Si chiama Francesco Zanardi (vedere il box a pagina 30), e per lui sarà il primo di una sequela di esposti firmati dalla Rete L’Abuso, l’associazione per le vittime della pedofilia del clero che creerà poco più tardi. Dopo la sua querela, alla fine del 2009, la Procura di Savona apre un’inchiesta. La notizia finisce sui giornali. Lo scandalo è scoppiato: non è più possibile tergiversare. Così Vittorio Lupi, successore di Calcagno, sollecita il sacerdote: ora basta, deve abbandonare la tonaca. E don Giraudo il 27 marzo 2010 chiede di essere spretato.
Due giorni dopo, il 29 marzo 2010 Luis Francisco Ladaria, allora segretario (e oggi prefetto) della Congregazione per la dottrina della fede, scrive al vescovo Lupi. Vuole aggiornamenti sul «caso del reverendo Nello Giraudo, che fu denunciato nel 1980 per abuso di minori, e nel 2002 manifestava al vicario generale la propria tendenza pedofila». Un sunto che compendia oltre un ventennio di negligenze.
Ladaria, nella comunicazione, ricorda: «Il suo predecessore, Sua Eccellenza Calcagno, nel 2003 segnalava il caso a questa Congregazione. Il 4 aprile 2006 egli fu invitato ad avvicinare il chierico per chiedergli se intendesse domandare al Santo Padre la dispensa da tutti gli oneri sacerdotali». In caso contrario, il vescovo «avrebbe dovuto attivare» il processo canonico. Insomma, per evitare un ulteriore scandalo, il Vaticano suggeriva a Giraudo spontanee dimissioni. Che però arriveranno solo quattro anni dopo.
«Attendo un suo cortese e celere cenno di riscontro» conclude Ladaria. Dopo quattro anni, improvvisamente il Vaticano ha fretta. Forse teme che lo scandalo possa ingrandirsi. Lupi replica il 16 aprile 2010. In seguito alla campagna mediatica, rassicura, ha chiesto a don Nello di presentare la dismissione dallo stato clericale.
La Procura di Savona, intanto, prosegue con l’inchiesta. Nel febbraio 2012 don Giraudo viene condannato per gli abusi su un minorenne, pena che patteggia a un anno. Nel mentre, i magistrati aprono un altro fascicolo sull’«atteggiamento omissivo» dell’ex vescovo Dante Lafranconi, oggi a capo della diocesi di Cremona: avrebbe, insomma, coperto il prete. Nel maggio 2012 il procedimento viene archiviato «per intervenuta prescrizione». Nella sentenza, però, il giudice Fiorenza Giorgi stigmatizza «l’atteggiamento assolutamente omissivo» di Lafranconi: «Dai documenti emerge come la sola preoccupazione dei vertici della curia fosse quella di salvaguardare l’immagine della diocesi, piuttosto che la salute fisica e psichica dei minori affidati ai sacerdoti». Per questo l’ex vescovo non ha «esercitato il suo potere-dovere di controllo sui preti e di protezione dei fedeli». Altrettanto triste, conclude il giudice savonese, è che «dai documenti agli atti non risulta nessuna espressione di rammarico a favore degli innocenti fanciulli».
Non è finita. La Procura nel 2014 apre un’altra indagine su don Giraudo. Gli investigatori raccolgono le testimonianze di quattro persone: sostengono di essere state abusate e maltrattate dagli anni Novanta fino al 2003. Ma, anche stavolta, i magistrati si scontrano contro il peso degli anni. Nel settembre 2016, nonostante «plurimi e convergenti (per non dire schiaccianti) elementi indiziari», il pm Giovanni Battista Ferro chiede l’archiviazione per tutti i reati: «Il termine di prescrizione è ormai ampiamente decorso».
Lo stesso epilogo, nel 2013, ha avuto l’inchiesta su un altro parroco della diocesi savonese sospettato di abusi: don Pietro Pinetto. Pure questo fascicolo finirà nel nulla. Il sacerdote, però, finisce nuovamente sotto inchiesta per calunnia nei confronti di una vittima. Anche questa indagine sarà archiviata.
Ma agli atti della Procura resta un’attestazione del vescovo Lupi sul procedimento canonico contro il sacerdote: «Per decreto della Congregazione per la dottrina della fede, in data 29 maggio 2015, l’indagine canonica nei confronti di don Pietro Pinetto viene chiusa, tenendo conto dell’abbondante prescrizione intervenuta circa gli addebiti per cui è stato indagato». E dunque il reverendo riceve dal vescovo un’ammonizione, «come previsto dal codice di diritto canonico». Oggi don Pinetto è il placido vicario parrocchiale di una chiesa di Savona.
https://www.panorama.it/news/cronaca/pedofilia-chiesa-coperture-inchiesta-savona/
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