MARIO BAUDINO – Ci furono moti di piazza, assalti alle chiese, portoni date alle fiamme, altari saccheggiati, l’esercito per le strade a Milano alla Liguria, e persino un morto, a la Spezia. Nell’Italia giolittiana d’inizio Novecento uno scandalo di preti pedofili scoppiato a Varazze e dilagato per tutto il Nord Ovest evocò spettri di guerra civile. Scatenò addirittura la corsa al porto d’armi da parte di sacerdoti che non si sentivano troppo sicuri, e uno di loro, a Savona, sparò per disperdere un gruppo di giovanotti che sembravano volerlo schernire. I giornali cattolici usarono toni violentissimi contro il «complotto massonico» e le presunte vittime, quelli liberali non furono da meno quanto a fair play. Tutti pubblicarono dettagli quanto meno scabrosi, approfittando della loquacità degli inquirenti e delle parti in causa.
Furono i torridi mesi della orge in Riviera, anzi «orgie» come scrivevano preferibilmente allora, prima che il processo più importante venisse cautamente insabbiato e la grande indignazione collettiva scivolasse verso l’oblio. Di quanto avvenne nell’estate del 1907 non si è serbata memoria, anche perché i documenti chiave sono spariti. Ora uno studioso, Pier Luigi Ferro, ha ritrovato il memoriale che fu al centro dello scandalo, scritto da Alessandro Besson, un convittore dei salesiani di Varazze, e ricostruisce la vicenda in Messe nere sulla Riviera (Utet), con prefazione in forma di intervista a Edoardo Sanguineti, il critico e poeta scomparso di recente. Al centro, il diario che accusa: è una sorta di racconto gotico, morboso e fantastico, dove la verità è coperta e resa obiettivamente incredibile dalla furia visionaria. L’aspetto più romanzesco dell’intera vicenda è che questo scritto è tornato alla luce tra le carte di un poeta molto caro a Sanguineti, Gian Pietro Lucini, che all’epoca frequentava Varazze e voleva trarre un libro dallo scandalo.
Anche lui non ne fece poi nulla, come se gravasse una sorta di maledizione, o una coazione a lasciar perdere. Lucini era un animo critico e ribelle (Revolverate si intitola significativamente la sua raccolta di versi più nota) e ne voleva ricavare un fremente atto d’accusa, forse alla Zola. La denuncia del ragazzo Besson (o meglio della madre) era del resto molto grave, e toccava un tema che era insieme tabù e attualissimo. Perché i fatti di Varazze non erano un fenomeno isolato. Lanciò la notizia il quotidiano savonese Il Cittadino, edizione del 30 luglio 1907. Strillava il titolo: La scoperta di turpitudini nel Collegio Salesiano di Varazze, e il catenaccio completava: Frati e monache compromessi. Il giorno prima un nutrito gruppo di carabinieri, col «sottoprefetto» Domenico Silva, erano infatti piombati nel collegio, «a seguito d’una denuncia anonima», avevano interrogato tutti, sottoposto alcuni adolescenti a visita medica e arrestati sei «reverendi, che negarono naturalmente ogni cosa». Il giornale sembrava specificava gli addebiti: «atti di corruzione su allievi minorenni» commessi «sulla spiaggia del mare, nella camerate, ovunque», ma anche «fatti osceni» che «si consumavano fra i reverendi istitutori colla partecipazione delle reverende suore di un convento vicino», messe nere «con scene conseguenti, degne del più turpe lupanare».
La scintilla divenne subito un incendio: non solo volò lontano, fino al New York Times, ma deflagrò in Liguria. Nella socialista Savona un migliaio di persone scesero in piazza minacciose, dirigendosi verso il locale oratorio salesiano. All’inizio di agosto a La Spezia, dove socialisti e anarchici erano ovviamente ben radicati, la folla assalì una Chiesa, venne respinta, tornò il giorno dopo e la saccheggiò. Venne incendiato un oratorio dei cappuccini, mentre a Genova sfilavano 25 mila persone. E ancora a La Spezia, alla fine, un carabiniere perse la testa e sparò sui manifestanti che, dopo aver liberato a sassate alcuni compagni arrestati, assediavano una chiesa salesiana; un giovane operaio fu colpito a morte. La situazione pareva ingovernabile, mentre i cattolici reagivano con altrettanta energia. A Varazze, considerata città «clericale», mille donne sfilarono in segno di solidarietà con i preti accusati e contro madre e figlio Besson. Un giornale cattolico, scoperto che il ragazzo era in realtà stato adottato, si chiese a caratteri cubitali come si potesse dar credito «a un bastardo».
I medici avevano diagnosticato lesioni inequivocabili su alcuni convittori, ma nel corso delle indagini i genitori, per i più svariati motivi, cominciarono a ritirare le querele. Il codice Zanardelli prevedeva che per i reati sessuali si potesse procedere solo su querela di parte. L’indignazione nasceva dal fatto che scandali simili erano già emersi: ora sembravano tutti confluire in un solo affresco. Un anno prima ad Alassio, ancora in un convitto salesiano, un sacerdote era stato accusato dai ragazzi perché «si dilettava di produrre godimento manuale», ma venne subito allontanato. A Milano, dove una suora torinese – in dissidio col vescovo sabaudo – aveva trasferito la sua comunità di assistenza, l’Asilo della Consolata, si erano scoperte ogni genere di violenze e maltrattamenti sulle bambine lì accolte. Il terreno era pronto, le «orgie» della Riviera scatenarono gli animi: l’intero sistema educativo religioso sembrava ormai in discussione.
Alessandro Besson scriveva nel suo memoriale che preti e suore, a Varazze, non solo si davano al sesso ma celebravano messe nere punzecchiando simulacri del Re, di Cavour e di Garibaldi; narrava di ragazze svestite in presenza dei loro compagni, per premiarli dei buoni risultati scolastici; e dell’annuncio piuttosto esilarante che il parroco di Altare, «se staremo buoni», «si spoglierà nudo». Nei convitti le fantasie – e non solo quelle – dovevano andare a mille, aiutate dalla frustrazione sessuale e certo da romanzetti che evidentemente circolavano alla grande. Il memoriale era buffo, pornografico e grottesco; poco credibile, e infatti non venne creduto. Nel giro di pochi mesi tutti furono prosciolti, salvo due sacerdoti troppo compromessi che però erano spariti dalla circolazione. Il sottoprefetto Silva venne trasferito, Besson e la madre, accusati di calunnia – ma prosciolti anche loro – fuggirono all’estero. E il poeta Lucini si ritrovò messo fuori gioco dai velocissimi tempi italici. Il suo lavoro era ancora lontano dall’essere concluso, e già lo scandalo che aveva fatto tremare il Paese non sembrava più interessare nessuno.
http://www.lastampa.it/2010/08/11/cultura/guerra-civile-per-i-preti-pedofili-R4qbHrI4grRTr3jVubRUKI/pagina.html
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