di Alessandro Milan – “Il Papa dovrebbe fare una cosa sola per risolvere il problema: inserire per i vescovi l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria”. Francesco Zanardi ha 46 anni e presiede l’onlus ‘L’Abuso’. Quello che lui chiama ‘il problema’ è la pedofilia all’interno della Chiesa. In settimana è uscito il libro “Lussuria” in cui Emiliano Fittipaldi (già autore di “Avarizia” che gli valse un processo da parte del Vaticano, finito poi con l’assoluzione) denuncia l’omertà del Vaticano nel trattare i casi di abusi sessuali compiuti da preti. Uno di questi casi riguarda Zanardi, violentato per quattro anni negli anni Ottanta da don Nello Giraudo, allora parroco di Spotorno.
“Spero che questo libro porti consapevolezza – aggiunge Zanardi – dato che l’Italia è molto connivente con il potere della Chiesa. Basti pensare che non è mai stata fatta una commissione d’inchiesta parlamentare sul tema”.
Don Giraudo, oggi ridotto allo stato laicale, è stato condannato a un anno e sei mesi di carcere con la condizionale, anche se non per gli abusi subiti da Zanardi e da altri ragazzini. Per quelli è intervenuta la prescrizione.
Quando nasce la rete ‘L’abuso’?
“Nel 2010, quando noi vittime italiane di molestie da parte dei sacerdoti manifestammo vicino al Vaticano con le vittime mondiali. Ci guardammo in faccia”.
E?
“Fu, per me come per gli altri, una sorta di terapia collettiva straordinaria. Eravamo una mezza dozzina di abusati italiani. Andammo a mangiare una pizza, ci confrontammo, ci capimmo al volo. <Cosa possiamo fare?> ci dicemmo”.
La risposta?
“Il pedofilo ha il profilo simile a quello di un serial killer, non si ferma finché non viene arrestato. Dovevamo pensarci noi, e per farlo dovevamo trovare vittime recenti e denunciare. Iniziai proprio io a Savona con don Nello e trovai un ragazzino che fu abusato da lui nel 2005”.
Ci arriviamo. Prima partiamo da lei. Quando scatta la prescrizione per questi reati?
“All’epoca dopo dieci anni, dall’ottobre del 2013 con il trattato di Lanzarote è stata raddoppiata a vent’anni. Ma i miei fatti sono successi 35 anni fa”.
I fatti.
“Avevo 11 anni. C’era questo prete, don Nello Giraudo, la cui carriera era partito malissimo. Nel 1980 prende i voti ed è subito denunciato da una mamma che nota le sue morbose attenzione nei confronti del figlio”.
Che ne è stato di questa denuncia?
“Venne alla luce vent’anni dopo perché purtroppo i genitori la presentarono al vescovo, non in procura. Monsignor Giulio Sanguinetti non fece altro che spostare don Nello di sette chilometri, a Spotorno, nella mia parrocchia. Qui il prete ha fatto una strage, si contano almeno una trentina di sue vittime”.
Che fa don Nello?
“Quando lo denunciai lo feci inizialmente per gli abusi subiti al campeggio vicino a Garessio. Ma tante violenze le avevo rimosse. Parlando con un’altra vittima mi venne in mente un particolare: i pantaloni di velluto”.
Cioè?
“Quel ragazzo li citò, per me fu come un risveglio. Ricordai il primo abuso, nel seminterrato della parrocchia. Don Nello che mi fece sedere sulle sue gambe, su quei pantaloni. E mi masturbò”.
Come reagì lei?
“Rimasi di ghiaccio. Lo so che è assurdo ma mi sembrava una cosa normale. Lui era un prete. Don Nello con i ragazzini parlava di sesso in modo aperto, esplicito. A 11 anni non hai la coscienza di un ventenne. Pensi: <Il prete è un uomo di Dio, è una persona buona, non fa nulla che non vada fatto>. Sei perplesso, ma non hai gli strumenti per elaborare la cosa”.
Ci sono state altre molestie?
“Tantissime. Questo prete organizzava dei campeggi. Si partiva in cinque, lui e quattro ragazzini, con due tende, una da tre posti e una da due. Uno dei ragazzi a turno dormiva con lui”.
E lì altre molestie?
“Sapevamo tutti cosa succedeva a chi dormiva con lui, ma non ne parlavamo tra di noi. Provavamo vergogna”.
Cosa succedeva?
“Anche rapporti completi, di cui parlava con noi singolarmente, in modi piuttosto spudorati”.
Lei cosa raccontava a casa, in famiglia?
“Nulla. Assolutamente bocca cucita, per carità. Il profilo tipico della vittima non è quello di un ragazzo con una famiglia presente. A casa mia avevo poche attenzioni da parte di mio padre, mia madre invece era maniaca della scuola e della Chiesa”.
In che senso maniaca?
“La domenica dovevo fare il chierichetto alle tre funzioni del mattino perché mia madre a sorpresa veniva a vedere se stavo servendo Messa. Don Nello frequentava casa mia, usciva a cena con mio padre. E’ un classico del rapporto prete-vittima, ma l’ho scoperto solo dopo”.
Quanto continuarono gli abusi?
“Circa quattro anni. Non riuscendo a reagire, verso i 15 anni iniziò il mio tracollo. Abbandonai la parrocchia, persi tutti gli amici, caddi nell’eroina. Mi sono fatto fino ai 26 anni”.
E’ incredibile pensare che per anni lei sia stato in silenzio.
“Le dirò di più per capire come funziona questo blocco psicologico. Quando nel 2000 emerse lo scandalo negli Usa io leggevo le notizie e pensavo: <Mamma mia cosa fanno questi preti in America>. Invece un sacerdote lo aveva fatto anche a me”.
Non ricordava?
“Non volevo ricordare. L’avevo rimosso. Non riuscivo ad accettare di essere stato abusato. Ero come in uno stato di incoscienza”.
Invece era successo.
“Ma ho denunciato solamente nel 2008. La molla mi scattò quando scoprii che il vescovo di Savona aveva fatto aprire a don Nello una comunità per adolescenti in difficoltà”.
Addirittura?
“Ho attraversato una crisi tremenda, non riuscivo a parlarne. C’è voluta un’amica che mi ha letteralmente trascinato dai Carabinieri. Lo ricordo come il giorno più brutto della mia vita. Provai una vergogna tremenda”.
Però denunciò.
“Ma il giorno dopo incassai la delusione più cocente mai provata. Il maresciallo mi disse che il reato era comunque prescritto. La svolta ci fu nel 2010. Mi chiamò Giovanni Battista Ferro, pm a Savona. Mi disse: <Zanardi, lei conosce qualche vittima più recente>?
Lei la trovò?
“Trovammo una vittima fresca, scusi l’espressione. Un ragazzo abusato nel 2005 in un campo scout. Don Nello è stato condannato a un anno e sei mesi con la condizionale. Non ha fatto un solo giorno di carcere”.
Dov’è?
“A Savona, lo vedo spesso. Ma non provo nulla, lui cammina a testa bassa. All’inizio gli urlavo <pedofilo!> quando lo incontravo in mezzo alla gente. Ma ho lasciato da parte la rabbia”.
E’ ancora prete?
“No, ma solo perché lui ha chiesto la riduzione allo stato laicale. Lavora come cuoco in una rosticceria. Ma fosse stato per la Chiesa, lo avrebbero spostato da un’altra parte e stop”.
Succede?
“Eccome. Fittipaldi nel libro racconta di don Francesco Rutigliano, caso scoperto da me. Lui è un prete della Locride condannato dal tribunale canonico a quattro anni per abuso di minore. Risultato: l’hanno trasferito a Civitavecchia”.
Perché, secondo lei?
“In Italia esiste poca cultura sul tema. Se si scopre un vicino di casa pedofilo i condomini gli fanno la pelle, se il denunciato è un prete istintivamente viene massacrata la vittima. Nel caso di don Nello alcuni parrocchiani dicevano: <Forse toccava alcuni ragazzini ma serviva bene Messa>”.
Mi può dare qualche numero sul fenomeno?
“Attualmente ci sono 112 preti indagati e 133 condannati in via definitiva. Ma sono dati parziali e relativi solo agli ultimi 15 anni”.
Non crede all’apertura del Papa?
“La Chiesa è omertosa. Anche questo Papa fa solo annunci, basti vedere il caso dell’Istituto ‘Provolo’ di Verona. Le vittime hanno scritto le prime lettere alla Santa Sede nel 2009 e hanno consegnato formalmente a Papa Francesco le denunce nel 2014. Sono passati due anni e i tempi lunghi rendono le vittime sacrificabili. Tenga conto che al ‘Provolo’ gli abusati che hanno denunciato sono 63. I preti coinvolti sono 26”.
Numeri impressionanti.
“La Chiesa non vuole perdere preti. Quando ci sono casi chiacchierati, fa di tutto per coprire e mettere a tacere lo scandalo”.
Zanardi, com’è oggi la sua vita?
“Vado avanti con la forza d’animo. Ma ho diversi problemi”.
Me ne dica uno.
“Il trauma resta. Quando denunciai nel 2010 non riuscii più a fare sesso, per esempio. Ho assistiti che non riescono a cambiare il pannolino ai figli”.
Si dice: spesso il pedofilo è una persona a sua volta abusata da piccolo.
“Qualche caso c’è, purtroppo. L’abbiamo avuto anche in associazione”.
Lei può ottenere risarcimenti?
“Certo. La prescrizione per la causa civile è di cinque anni, ma scattano da quando ti rendi conto di avere subito il trauma. Io e altri quattro abusati stiamo per chiedere un milione e 200mila euro a testa”.
Puntate ai soldi.
“Le nostre vite sono state distrutte. Tra i nostri associati abbiamo persone con malattie psicosomatiche assurde. Un abusato di certo non diventa un direttore di banca, non è una persona con una stabilità psichica. I soldi non ci servono per fare la bella vita”.
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