All’età di 12 anni, nel 1994, Marco Marchese è stato violentato nel seminario minore vescovile di Favara, nell’Agrigentino.
Don Bruno, il sacerdote che ha abusato di lui e di altri sei minorenni, nel 2004 ha patteggiato ed è stato condannato a due anni e sei mesi. La prossima settimana inizierà il processo anche in sede civile contro don Bruno, il seminario e la curia della città siciliana, a cui i legali di Marco Marchese, l’avvocato Salvino Pantuso e Giuseppe Di Bella, chiedono 65 mila euro di risarcimento per danni biologici e una cifra ancora da quantificare per i danni morali.
Non una grossa somma, per una violenza che ha accompagnato tutta l’adolescenza e che è costata a Marco gravi problemi di salute, lunghe terapie in analisi e un tentativo di suicidio. “Ci siamo attenuti alla percentuale di danno biologico indicata nella perizia medica di parte”, spiega, quasi a giustificarsi, l’avvocato Di Bella. Non si è fatta attendere la contromossa della curia che chiede un risarcimento di 200 mila euro a Marco, colpevole di aver infangato l’immagine del vescovado.
La controcitazione recita: “La curia vescovile di Agrigento ha subìto e continua a subire, a causa del comportamento offensivo e oltraggioso tenuto dal Marchese, pesanti danni che si ripercuotono sull’immagine, sul decoro e sul prestigio che la curia riveste nell’opinione pubblica”. Il vescovo, tramite il suo legale, ha ritenuto di dover essere risarcito. Nella stessa controcitazione si legge che “il comportamento lesivo tenuto dal Marchese, concretizzatosi nell’abnorme pubblicità compiuta anche a mezzo Internet, ha infangato il prestigio della curia”. Insomma, anche se un dodicenne è stato stuprato nel seminario, non c’è bisogno di alzare tanto polverone.
Quando, nel ‘94, Marco è entrato nell’istituto religioso di Favara non poteva passare inosservato. Capelli neri e grandi occhi verdi, era introverso e sensibile, più fragile degli altri. E più bello. In quei corridoi lunghi e freddi e in quelle stanzette da dividere con altri seminaristi scopre tutto sul sesso. Quello sbagliato, quello di un adulto con un ragazzino. A guidarlo, a fargli da padrino, c’era don Bruno: “Non devi parlarne con nessuno”, gli ripeteva, “il nostro è un rapporto unico, non è peccato e quindi non lo devi neanche confessare”. Quando don Bruno tornò dal bagno dopo il primo rapporto gli chiese soltanto: “Ti sei sporcato?”.
Altre volte lo avrebbe sporcato, soprattutto nell’anima. Marco soffriva di coliche, non riusciva a dormire e aveva frequenti attacchi d’asma. Ora racconta che tutti i malesseri sono scomparsi quando scappò dal seminario e trovò il coraggio di denunciare tutto al padre rettore, al suo parroco e al vescovo. Quelle denunce però sono servite solo a lenire i sintomi psicosomatici. Non è stato preso alcun provvedimento nei confronti di don Bruno, che ancora oggi, dopo aver patteggiato, esercita il ministero sacerdotale. Nella sentenza di condanna, emessa dal giudice Luigi Patronaggio, al sacerdote venivano concesse le attenuanti generiche perché “la complessa vicenda che ha visto protagonista il religioso va inscritta in quel particolare clima che caratterizza le comunità chiuse come il carcere, i collegi, le navi durante lunghe navigazioni, dove spesso si instaurano, tra soggetti deboli ed esposti, dinamiche a sfondo omosessuale”. Marco, che oggi ha 23 anni, nel dolore ha trovato la forza di laurearsi in psicologia, di fondare un’associazione che si occupa di minori molestati e gira l’Italia per testimoniare il suo calvario.
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