Zanardi (onlus L’Abuso) ha denunciato in un esposto il caso dell’istituto sordomuti a Verona. E spiega: «i pedofili non sono gay»
Il savonese Francesco Zanardi è l’animatore e il portavoce della rete contro la pedofilia nel clero denominata L’Abuso. La sua testimonianza è presente nel libro di recentissima uscita “Lussuria”, firmato dal giornalista Emiliano Fittipaldi, dedicato agli abusi sessuali dei preti. Il lavoro della onlus di Zanardi ha un risvolto veneto: pochi giorni fa ha presentato un corposo esposto alla procura di Verona, che ha dovuto riaprire il caso Provolo, istituto scaligero per sordomuti in zona Chievo preso di mira a più riprese per una storiaccia ultradecennale di presunti abusi di sacerdoti a danno dei giovani ospiti.
«Per quanto riguarda il Provolo – racconta Zanardi – allegati alla mano ho rappresentato al magistrato una serie di situazioni delle quali la nostra rete è venuta conoscenza e soprattutto abbiamo chiesto alla procura di valutare eventuali coperture nei confronti degli abusi. La domanda che mi pongo è come mai nessuno a Verona si sia mosso in modo autonomo? Mi stupisco che a fronte di simili notizie ciò non sia accaduto. Faccio notare per di più che per l’affaire Provolo, alla diocesi di Verona negli anni sono stati segnalati ben quattordici sacerdoti tutt’ora in vita, tutt’ora operanti presso quell’istitituto; due esclusi, che sono stati spediti uno nel Lazio ed uno in Argentina. Jorge Bergoglio, oggi pontefice, sapeva. Aggiungo ancora che dalla indagine della commissione d’inchiesta diocesana che ha analizzato tali posizioni, questi nomi, con l’eccezione di cinque, son tutti spariti. Uno fra questi cinque, e la commissione sembrava manco essersene accorta, era pure deceduto. Il che la dice lunga su come in vescovado hanno condotto gli accertamenti». E tant’è, da quello che riferisce la stampa locale gli inquirenti starebbero sondando anche l’ipotesi del favoreggiamento che potrebbe lambire la curia scaligera.
«Enti come il Provolo – accusa Zanardi – avevano lo scopo ultimo di essere dei veri e propri harem sicuri, pieni di ragazzi svantaggiati che per definizione non si possono difendere, per quei prelati che ne avevano combinate troppe in altri ambienti. Per paura di perdere questi preti, la chiesa ha promosso la fondazione di questi enti. Il che è una cosa gravissima». Zanardi sa di dire cose «scomode» ma l’esperienza gli viene non solo dalla onlus che anima ma anche «dal vissuto personale»: il prete che in passato abusò di lui undicenne «è stato condannato in via definitiva».
«Quando a dieci dodici anni ti capita una cosa del genere ne esci devastato – racconta il 46enne ligure – A quell’età non hai ancora ben chiaro quello che ti è capitato. Ed è facilissimo finire nel vortice dell’alcol o delle droghe. Quando diventi adulto fai fatica a relazionarti col tuo partner. Finisci che hai una paura matta ad accarezzare un figlio se ce l’hai o anche a cambiargli un pannolino. Oltretutto – aggiunge ancora il portavoce della onlus – va sfatato il mito per cui i pedofili sono gay. I gay pedofili, lo dicono i dati delle inchieste sono sporadici come sporadici sono i pedofili donna, anche nella chiesa».
Ma allora perché la maggior parte degli abusi, quanto meno in ambito clericale, si consuma dai maschi verso i maschi? «Tutto nasce – sottolinea Zanardi – nei luoghi in cui la sessualità, appena si manifesta, viene repressa. Il seminario o il collegio sono gli esempi tipo. A quell’età gli ormoni e la natura hanno la meglio sulla fede e le proibizioni, ed è in quei luoghi che la sessualità comincia ad avere un imprinting distorto. Quella matrice poi si ripeterà in un meccanismo di stampo prettamente pedofilo, da maschio su maschio, senza che ci sia l’omosessualità di mezzo». Un po’ come avviene nelle carceri, che essendo maschili o femminili, vedono rapporti tra i detenuti che possono essere, per costrizione e necessità, solo di tipo omosessuale.
Questo scenario, sempre secondo la rete l’Abuso, è peggiorato dalla norma che nel 2014 ha dato vita al cosiddetto certificato antipedofilia. Lo possono pretende solo i datori di lavoro «e stranamente non viene reso obbligatorio» per quel mondo dell’associazionismo o del volontariato dove invece «tali pratiche abbondano. A questo punto – conclude Zanardi – abbiamo anche una legge che suggerisce di fatto al pedofilo conclamato, che magari fa l’insegnate, di starsene buono a scuola perché tanto più o meno è tenuto a portata d’occhio dai colleghi, e di andare a cercarsi le sue esperienze morbose quale volontario in un campo scout o in un campo scuola parrocchiale. Questa legge è una porcheria».
Zanardi (in foto), ateo e gay dichiarato, punta il dito contro tutti coloro che a suo parere impediscono di affrontare il problema. Oltre a parlare di «una minore sensibilità» (leggi: indignazione) in particolare in Veneto ed Emilia, imputa poi a papa Francesco la mancanza di una vera volontà di prendere di petto la questione: «perché non emana una norma che obblighi tutti gli uomini di chiesa a denunciare gli abusi su minori di cui vengono a conoscenza?». La risposta se la dà da solo: «se ci fosse tale regola, farebbe letteralmente implodere la stessa chiesa». Ma se la prende anche con Fi, Pd e M5S che pur contattati tra Camera e Senato per aprire una commissione parlamentare d’inchiesta, «hanno di fatto nicchiato». Spiega che non c’è nessuna forza politica pronta a cancellare l’istituto della prescrizione per i reati di pedofilia, e denuncia le pressioni e l’influenza che il clero negli anni ha avuto «nei confronti della magistratura che è assai sensibile a certe pressioni».
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