Il primo beneficio della singolare reunion si ha la sera stessa, nel cuore della Capitale. Le vittime, dialogando durante la cena, scoprono immediatamente due cose fondamentali. La prima, quando si rendono conto di essere persone normali, e non alieni come spesso ci si sente in questi casi, quando la vergogna e i sensi di colpa ti fanno pensare addirittura di essere il responsabile o il complice di ciò che è successo; la seconda quando, non senza stupore, convengono che la procedura della Chiesa attuata nei casi conclamati di pedofilia, era sempre la stessa.
Nel 2005 un avvocato di Houston chiama Ratzinger a rispondere dei contenuti di quella lettera scellerata, ma prima che il Cardinale potesse recarsi in Tribunale, viene eletto Papa. A quel punto chiede di poter usufruire dell’immunità diplomatica, che chiaramente il Presidente Bush gli concede.
Pertanto, l’unico modo di poter fermare un pedofilo è rivolgersi alle Procure. E Zanardi, nel frattempo divenuto per la magistratura strumento imprescindibile nella lotta alla pedofilia, lo sa bene. Ma sa anche che non è facile. Il reato di abuso su minore, distinto in pedofilia se perpetrato ai ragazzini fino ai 14 e in pederastia per quelli dai 14 ai 18, cade in prescrizione dopo 10 dalla data in cui viene commesso e per le vittime il tempo di rielaborazione e metabolizzazione del trauma è un processo che dura molto di più. Il Presidente, comunque, non si dà per vinto e cerca un modo per aggirare l’ostacolo. Lo trova discutendo a lungo con i ragazzi della sua associazione, quando, dopo aver riflettuto sul fatto che un pedofilo continua imperterrito a mietere vittime, risale ad altri episodi di violenza scovandoli nelle comunità religiose che fanno capo a quei preti già macchiatisi del reato, dieci e più anni prima. Il ragionamento dà loro ragione: gli stessi preti da cui avevano subìto abusi, stanno abusando di altri ragazzi. Così, se la magistratura non può condannarli per reati caduti in prescrizione, può aprire altri processi grazie ai nuovi elementi. Non solo, le vittime che non avranno mai giustizia, possono quanto meno costituirsi parte civile in un processo che almeno riconosca loro il danno, risarcendoli.
Nonostante l’attività frenetica, l’associazione si autofinanzia con piccole donazioni (clicca qui per sapere come fare) ma rifiuta categoricamente finanziatori e grosse cifre di denaro. «Nel momento in cui Rete L’ABUSO lega le sue attività a un donatore troppo generoso – spiega il Presidente Zanardi -, potrebbe essere soggetta a ricatti. Ci potrebbero essere storie su cui si potrebbe soprassedere, o altre che potrebbero essere considerate più importanti di altre. Questo non deve mai succedere, altrimenti siamo finiti e insieme a noi tutte le buone intenzioni». Poi, rivolgendo il pensiero ai prossimi impegni, conclude: «Vogliamo andare avanti con sacrificio, ma vogliamo rimanere liberi».
Francesca Lagatta
ufficiostampa@retelabuso.org
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