In tanti conosciamo la sconcertante vicenda di pedoflia scoperta dal Boston globe tra la fine del 2001 e il 2002 – e magistralmente ricostruita nel film Spotlight – ma pochi ricordano in quale contesto si sviluppò. Si tende quindi a credere che quello che accadde nella diocesi di Boston fu una sorta di fulmine a ciel sereno. Nulla di più lontano dalla realtà.
Già prima della metà del 2001 – cioè quasi sei mesi prima del primo articolo di Spotlight che risale al 10 settembre 2001 – dagli Stati Uniti giungevano segnali evidenti che le fondamenta della Chiesa americana cominciavano a scricchiolare pericolosamente.
Il 30 aprile 2001 Giovanni Paolo II interviene sul problema dei preti pedofili con il Motu proprio “Sacramentorum Sanctitatis Tutela”, e poche settimane dopo, il 21 maggio, con l’autorizzazione del De delictis gravioribus firmato dal prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Joseph Ratzinger, e dal suo segretario, il cardinale Tarcisio Bertone. Ratzinger intima ai vescovi di essere tempestivamente informato delle accuse di pedofilia contro i sacerdoti e li esorta a svolgere indagini, anche di fronte a un semplice sospetto. Nulla deve trapelare se non a procedimenti conclusi, che possono durare però anche decine di anni. Sulla base di queste disposizioni, che rinnovano espressamente quanto stabilito nel Crimen sollicitationis di Giovanni XXIII, un anno dopo il 23 aprile 2002 i tredici cardinali statunitensi entrano in Vaticano al cospetto di Giovanni Paolo II. Il pontefice definisce la pedofilia «un crimine» e «un peccato» dicendo che non c’è «posto nel sacerdozio» per chi potrebbe far male ai bambini. Le stesse parole saranno rivolte dal suo successore nel 2010 ai vescovi d’Irlanda. Siamo nel pieno della bufera sollevata dalle inchieste di Spotlight del Boston Globe che porteranno a fine anno alle dimissioni del cardinale Law.
Le conclusioni di quella riunione ispirano i 252 vescovi statunitensi che il 26 giugno 2002 approvano lo Statuto dei vescovi per la protezione dei bambini e dei giovani, in cui si prevede che i preti che sono stati o che saranno coinvolti in casi di pedofilia non potranno più avere contatti con i fedeli, quindi celebrare messa o insegnare catechismo. Non passa, però, la linea della “tolleranza zero”, quella della sospensione automatica “a divinis” di chi è coinvolto negli scandali e quella di chi propone di trattare tutti gli stessi casi allo stesso modo. Compresi quelli relativi ad accuse che si riferiscono a venti o trent’anni prima (come nel caso della gran parte delle vicende denunciate in quei mesi negli Usa in seguito all’inchiesta del Boston globe) e che colpiscono un prete che nel frattempo si è rivelato «cambiato e innocuo». Contro la tolleranza zero e a favore di «un invito alla prudenza» spingono soprattutto due figure carismatiche: gli arcivescovi di New York e Chicago, Edward Egan e Francis George.
Per inciso, due anni dopo, il 27 febbraio 2004 il National Review Board (NRB), il gruppo di controllo di laici insediato dalla Conferenza episcopale americana, accuserà Egan di «aver chiuso gli occhi davanti a evidenti casi di pedofilia». Analoga accusa riceverà nel gennaio del 2006, sempre dal NRB, Francis George, per essersi rifiutato di rimuovere il reverendo Daniel McCormack quando già a ottobre 2005 questi era finito sotto inchiesta per pedofilia. In seguito si scoprirà che McCormack aveva violentato una sua alunna di dodici anni fino a dicembre di quell’anno. Nel 2007 George fu nominato a capo della Conferenza episcopale americana.
Torniamo al 2002 e allo Statuto dei vescovi di Dallas. Bisognerà attendere quattro mesi prima che il Vaticano si pronunci sul documento. Il verdetto viene emesso il 18 ottobre ed è negativo. Le norme sono da riscrivere perché non si conciliano con il diritto canonico. La bocciatura della Santa Sede porta la firma dal cardinale Giovanni Battista Re in qualità di prefetto della Congregazione per i vescovi. Il testo è lungo meno di due pagine ed è suddiviso in due parti: in primo luogo vi si esprime solidarietà e comprensione verso i vescovi e i sacerdoti «onesti» degli Stati Uniti; dopo di che si fa presente che le norme proposte dai vescovi degli Stati Uniti in alcuni punti non superano l’esame della “recognitio”, ossia il riconoscimento di compatibilità con il diritto della Chiesa. Alle vittime degli abusi e alle loro famiglie spettano appena una decina di parole. Mentre i loro carnefici, secondo il prelato, dopo tutto non sono poi così tanti.
Un mese dopo, l’11 novembre, la grande opera di mediazione condotta dal cardinale Francis George porterà i suoi frutti. Il documento di Dallas, revisionato nelle parti fondamentali, viene presentato alla Conferenza episcopale americana, in un incontro a Washington.
Il 16 dicembre 2002 la Santa Sede approva dunque il nuovo testo all’insegna della “tolleranza soft”. Le Norme essenziali sulle politiche diocesane ed eparchiali di fronte ai casi di abuso sessuale sui minori da parte di preti e diaconi divengono vincolanti in tutte le diocesi degli Stati Uniti. Con l’introduzione della prescrizione la carriera ecclesiastica di migliaia di preti viene messa al riparo da brutte sorprese. Il resto lo fa la lungaggine dei processi. Il ruolo del cardinale George in questo delicato passaggio sarà riconosciuto nel novembre del 2007 da papa Ratzinger che lo nomina presidente della Conferenza episcopale statunitense. Dal canto suo, il cardinale Re conferma che la “recognitio” vale per due anni, cioè per il tempo stabilito dai presuli per valutare l’efficacia e validità delle norme. Per la Chiesa, non solo americana, saranno due anni lunghissimi.
Il 2002 finisce così. La Santa Sede appare tutto fuorché determinata a fare luce sul passato e gettare le basi per un diverso futuro. Inoltre, non è bastato che già a giugno un’inchiesta del quotidiano “Dallas Morning News” avesse rilevato che almeno 111 vescovi cattolici Usa avevano protetto preti o monaci pedofili. E nemmeno che tra questi ci fossero gli otto cardinali a capo delle arcidiocesi americane. Addirittura, nonostante le pressioni e lo sconcerto dell’opinione pubblica, bisogna aspettare il 13 dicembre 2002 per vedere accettate le dimissioni del cardinale Law da Giovanni Paolo II, a norma del canone 401 paragrafo 2 del diritto canonico, che fa riferimento a motivi di salute o ad altre cause che impediscono il normale proseguimento del lavoro di un vescovo. Law come è noto sarà trasferito a Roma per fare l’arciprete della basilica di Santa Maria Maggiore, e qui “serenamente” muore nel 2017.
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