di Alessandro Ambrosini – 2009 E’ l’autunno del 2009. La prima serie di Romanzo Criminale ha riacceso i riflettori sulla Banda della Magliana e sulla sua epopea. Nello speciale di History Channel, personaggi che hanno fatto parte della più grande holding criminale romana rilasciano interviste come divi del cinema noir.
Da anni, come Notte Criminale, lavoriamo sia sulla Bandaccia che su Massimo Carminati, cercando dove tutti non guardano.
Quando arriva la telefonata, che regala il semaforo verde per un’intervista esclusiva a Marcello Neroni, la consideriamo come un segnale positivo al nostro lavoro: siamo credibili e affidabili per essere ascoltati da quel mondo che non vuole farsi trovare.
Otello Lupacchini mi avverte subito: “Non vada, quello è un criminale vero”. Un consiglio molto appropriato, da un magistrato che aveva combattuto la Banda, l’aveva sconfitta e la controllava da lontano. Giorno per giorno, da anni. Aveva ragione, Neroni non era un criminale in pensione. Lo disse lui stesso chiaramente, durante il nostro incontro: era un “cravattaro”, uno strozzino. Come molti di quelli che fecero parte della Banda. Conoscevo quel mondo, l’ho guardato da vicino e conoscevo cosa presupponeva: violenza e terrore. Quando arriva a piedi, tiene un libro in mano: la sua Bibbia, che altro non è che il libro dell’ordinanza con le motivazioni per l’arresto, avvenuto all’interno della retata che ordinò Lupacchini, più di un decennio prima.
E’ di media statura Neroni, stempiato e scavato in volto. Il volto sbarbato di fresco, come conviene al 90% dei criminali della sua generazione. Una consuetudine più da gangster americano che da “batteria” di Trastevere. La voce roca tradisce una vita vissuta tra vizi, violenza e fumo. Dimostra tutti i suoi anni e, non vuole nasconderli. Non vuole essere intervistato, vuole telefoni e telecamera sul tavolo. Non sente ragioni. Una possibilità che avevamo considerato. I dietrofront alle interviste, in un certi mondi, sono usuali. Per questo dentro al giubbetto ho un secondo telefono che sta registrando tutto dall’inizio. So come ci si comporta con “articoli” del genere. Lo stimoli con argomenti generali, gli fai trovare la sua comfort zone, gli fai gestire gli argomenti e lui parlerà per ore. Così è.
Quando chiediamo di Emanuela, però, la sua risposta sembra uno stridio di unghie sulla lavagna. Non siamo preparati a questa sua verità. Sono parole troppo forti per Emanuela e per Giovanni Paolo II. Troppo forti per l’immagine che ho di chi, pochi anni dopo, sarà eletto a Santo. Lo lascio parlare per non interrompere il suo flusso di parole che fluisce senza tentennamenti. Non sta inventando. Non è qualcosa che sta creando in quel momento per scandalizzarci. Troppo inaspettato e grave per essere creduto, lo dice lui stesso. Usa parole grevi, fa nomi e movente. Usa uno slang di strada, rozzo, volutamente sgradevole e sicuramente da “pulire”. Ma preciso nella sua essenza. “Questo è ciò che so, ma non potrete mai scriverlo” –sembra dire – è il “non detto” di chi conosce il gioco dell’informazione. Anche se i suoi rapporti non sono mai stati con la carta stampata o la tv.
Neroni non è un criminale normale. E’ riuscito a “passare da pazzo” per evitare il carcere, ha vissuto la violenza come soluzione e ne ha fatto un suo marchio per gestire “lo strozzo”, per farsi pagare dai commercianti gli incassi delle slot machine che aveva in società con Enrico De Pedis. E’ stato il nodo tra criminalità e funzionari delle forze dell’ordine, servizi segreti compresi. Una posizione e dei rapporti così forti che poteva tranquillamente avere una sala giochi in una laterale di Via Cola di Rienzo. Tra la palazzina usata dai servizi segreti e la sede operativa della Dia di Roma. Una sala che, a volte, quando lui doveva uscire, erano due agenti dei servizi segreti a gestirla. Un “nodo” così importante da evitarsi il marchio di “infame”.
L’incontro è durato quattro ore. Quattro ore di nomi, fatti e circostanze specifiche. Talmente specifiche da chiedersi: a chi stava raccontando tutto questo? A noi, o a chi pensava ci avesse mandato in quel pomeriggio autunnale a Nerola?
Alcuni anni dopo, quella registrazione la diedi a Pietro Orlandi. E solo a lui, senza pubblicare mai niente.
2022
LA LETTERA ANONIMA (MA NON TROPPO)
E’ il dicembre del 2022. Sono passati tredici anni da quel pomeriggio in compagnia di Marcello Neroni. Quella registrazione è rimasta nella cartella del mio computer, insieme a migliaia di altri files. Il destino sembra dirmi che non ho molto da vivere e decido che, se devo “andarmene” da questa terra, lo devo fare dopo aver aperto i cassetti delle inchieste incompiute, dei files che “scottano”. Ne parlo con Pietro Orlandi e così, il 9 dicembre 2022, i frame del racconto di Neroni inerenti il caso di Emanuela Orlandi, vengono pubblicati su Notte Criminale. Le gravi accuse a Giovanni Paolo II, a monsignor Casaroli, a Enrico De Pedis e a due cappellani di Regina Coeli , ora, sono al giudizio della gente.
2018
E’ un giorno del 2018. Il caso Orlandi vive oltre il tempo che passa nell’azione costante del fratello, Pietro. La pista più calda, seguita da tutti è quella riferita all’emersione dei famosi “cinque fogli” acquisiti da Emiliano Fittipaldi e pubblicati nel suo libro “Gli impostori”. Fogli che raccontano, in voci di bilancio, il periodo successivo al rapimento della ragazza vaticana. Una relazione che porta a Londra.
Quando Giorgio (nome di fantasia), entra nel suo ufficio, vede la posta appoggiata sulla sua scrivania. La seleziona, dividendo la corrispondenza interessante rispetto alla solita pubblicità inutile. C’è una busta bianca che spicca per essere la più asciutta di tutte. La più anonima. La apre e all’interno c’è un singolo foglio, scritto al computer. In diciassette righe c’è il movente, i mandanti e gli esecutori del rapimento di Emanuela. Una “verità” che risulta essere al limite dell’incredibile. Si parla di Monsignor Casaroli, di Regina Coeli, di De Pedis e “dell’esponente più influente della Santa sede” (il cardinale Ugo Poletti? Giovanni Paolo II?). Ma non solo.
Ci sono particolarità nella scrittura che fanno pensare che, chi scrive, sia all’interno delle forze dell’ordine o dei servizi segreti. Parole e semantica che non lasciano molti dubbi.
Giorgio la legge, strabuzza gli occhi e inizia a riflettere. A chi dare questa lettera così assurda? E’ sicuramente opera di uno dei tanti personaggi che “giocano” con il caso Orlandi, saranno prove di un romanzo giallo. In ogni caso è da classificare come qualcosa di “impresentabile”, da tenere nel cassetto come ricordo di un fatto bizzarro e inquietante. Non serve scomodare polizia e giornalisti, si rischierebbe il pubblico ludibrio.
In realtà, quella lettera anonima, è una lettera che viene dal futuro. Perché dice esattamente ciò che ha detto Marcello Neroni nove anni prima, parole che sono state pubblicate quattro anni dopo. Una “verità”, quella di Neroni, che è stata chiusa nei cassetti a doppia mandata, sia dal sottoscritto che da Pietro Orlandi. Le tempistiche sono fondamentali e ci raccontano che una lettera anonima, scritta molto probabilmente da qualcuno dentro alle forze dell’ordine o ai servizi segreti ( da sottolineare che i servizi, da sempre, sono un corpo interforze formato da poliziotti, carabinieri e finanzieri), racconta le stesse motivazioni, gli stessi esecutori, gli stessi mandanti di un personaggio criminale, vicino a forze dell’ordine e servizi segreti. In modo meno greve, ma esattamente sovrapponibile.
Ora, le domande che bisogna porsi sono molteplici. Se partiamo dal presupposto che la “verità” di Neroni e della lettera anonima, non è mai stata rilanciata su giornali o tv, o anche solo supposta in questi quarantadue anni, in quanto si vanno a toccare nomi di Santi e prelati di altissimo spessore. Questa “verità” viene dal sottobosco criminale, ed è stata recepita da persone in divisa o l’esatto contrario? Perché nel 2018, si è sentita la necessità ,da parte presumibilmente di qualcuno interno ai servizi segreti, di far emergere tutto questo? Perché qualche gruppo dei servizi segreti, nel 2018, tratta ancora il caso Orlandi?
Oggi, che la Commissione parlamentare sta virando evidentemente su una pista amical-parentale, insieme a un gruppo di giornalisti “allineati e coperti”. Oggi, che si calpesta l’etica e la logica per allontanare ogni verità che porti alla Santa Sede, dare risposte a queste domande è necessario. Una Commissione con i paraocchi, che cerca di ridimensionare, di normalizzare un caso che “normale” non è mai stato è una Commissione ammaestrata. Cercare una via che non “disturbi”, audendo persone che possono dare qualche elemento in più nella ricerca della verità, è doveroso. Stupisce, che questa lettera che viene dal futuro, che apre interrogativi inquietanti, non sia stata attenzionata da chi l’ha acquisita. Ma la storia continua…
(segue terza parte)