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Svizzera romanda: sono 91 le vittime di abusi in ambito ecclesiale annunciatesi dopo il 12 settembre

Rete L'ABUSO by Rete L'ABUSO
17 Dicembre 2023
in Mondo
Reading Time: 4 mins read
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Dal 12 settembre, data della pubblicazione del rapporto di Zurigo sugli abusi commessi nella Chiesa in Svizzera, come comunica in queste ore cath.ch, sono 91 le vittime di abusi sessuali annunciatesi nella Svizzera romanda presso il SAPEC, associazione di aiuto alle persone abusate in ambito ecclesiale, o presso la Commissione di Ascolto, Conciliazione e Arbitraggio (CECAR) e anche presso differenti commissioni diocesane. Di queste, 40 sono donne e 51 gli uomini. Si tratta di casi verificatisi tempo fa e caduti in prescrizione.

«Dal 13 settembre in poi il telefono ha squillato ogni dieci minuti», racconta Marie-Jo Aeby, vice presidente del gruppo SAPEC. A sua volta Brigitte Ansermet, segretaria e amministratrice del CECAR, sottolinea che dal 13 settembre le domande sono fortemente aumentate. I comitati preposti all’ascolto e all’accoglienza delle vittime si sono così dovuti suddividere, per essere più operativi.

Ma al di là delle cifre, si gioca un elemento altrettanto importante, che è quello del coraggio di uomini e donne di osare a parlare davanti a delle istanze ufficiali dopo decenni di silenzio. «Le vittime di abusi sessuali non parlano mai dall’oggi al domani», spiega Aeby. Spesso la chiamata che fanno o l’email che mandano è frutto di un lungo cammino. Magari sono stati consigliati da qualcuno che è loro vicino, precisa la vice presidente del SAPEC, «e non potete nemmeno immaginare l’energia che ci voglia per un passo simile!».

«Delle volte può convincere una persona a parlare anche un caso citato nei media». Subito dopo i casi emersi all’abbazia di S. Maurice, si sono ad esempio annunciate tre persone al SAPEC, ma solo una era legata direttamente all’abbazia, indica Aeby. Ugualmente dopo la pubblicazione, in Francia, del rapporto sugli abusi nella Chiesa francese, due persone si sono annunciate presso la Commissione per gli abusi sessuali in contesto ecclesiale (CASCE) della diocesi di Losanna, Ginevra e Friborgo, come indica la collaboratrice Rita Menoud.

Segnalazioni via email

Ogni caso è però unico e ognuno si annuncia a suo modo. Il CASCE ad esempio riceve la maggior parte delle segnalazioni per email, più raramente per posta o per telefono. «Può trattarsi di una email contenente alcuni dettagli, senza che però il nome dell’autore dei fatti sia menzionato. È un modo per le persone per raccontare ciò che hanno vissuto», sottolinea Rita Menoud, che aggiunge che alcune delle vittime indicano anche di non voler essere ricontattate. «In ogni caso diamo conferma di ricezione e rispondiamo indicando le strutture alle quali indirizzarsi se la vittima desidera essere presa in carico da un’istanza indipendente, il SAPEC, il CECAR o i centri LAVI (Legge d’aiuto alle vittime di infrazione)».

Rita Menoud aggiunge che «spesso le vittime non hanno conoscenza delle organizzazioni preposte alla raccolta delle loro testimonianze, né dei risarcimenti che possono ottenere, né dei passi che potrebbero compiere». Aeby a sua volta accoglie soprattutto le vittime e le orienta. «Se vogliono testimoniare e raccontare cosa è successo loro in vista di un riconoscimento ufficiale dei fatti presso la Chiesa o di un risarcimento, le indirizzo verso il CECAR o i centri LAVI, allo scopo che non debbano continuamente ripetere le loro storie. Ripetere di continuo ciò che hanno subito è molto doloroso».

Essere ascoltati e capiti

«Le persone che si annunciano non vogliono a priori un incontro. Vogliono piuttosto che prima di tutto siano ascoltate e soprattutto che siano credute», aggiunge Aeby. Lo conferma anche Rita Menoud: «Annunciandosi, hanno paura di esser mal ricevute e che non le si creda». E cita il caso di una donna di 70 anni, che aveva denunciato il caso di un prete abusatore durante un campo di vacanza, abusi subiti all’età di otto anni, ma che non erano stati creduti dai genitori e che per questo lei non aveva mai più raccontato. «Tanto la figura di un prete era allora sacra…», commenta Brigitte Ansermet della CECAR.

I contatti sono dunque fragili, certe vittime parlano per la prima volta, «ma bisogna anche avere il coraggio di porre loro delle domande precise per ottenere quei dettagli che possono rilevarsi importanti per il futuro e per stabilire lo stato emozionale della vittima. Così come è importante dimostrare loro del rispetto», precisa Rita Menoud, che ha anche lavorato presso la polizia giudiziaria di Friborgo. «Può anche accadere che anche anni dopo le vittime siano ancora in contatto con il loro aggressore, alcune dimostrandogli anche ossequio».

La necessità di comprendere

La maggior parte delle vittime sente il bisogno di testimoniare cosa è loro successo. «Hanno anche un forte bisogno di comprendere come questo possa essere accaduto», spiega Brigitte Ansermet. Chiedono anche, quasi sempre, l’accesso al dossier del prete abusatore per vedere se ci siano state altre vittime. «Essere ascoltate ufficilamente le consola», aggiunge Rita Menoud, «e si sentono meno sole quando scoprono che le vittime dello stesso abusatore sono più di una; capiscono che la loro testimonianza può avere un peso. Da qui la necessità di essere comprese».

Non sono però i risarcimenti monetari lo scopo di chi si annuncia presso le diverse istanze. «Nell’80 per centro dei casi, le persone vogliono anzitutto essere capite e conosciute come vittime. La domanda di risarcimento può avvenire in un secondo momento», riferisce Rita Menoud. Si tratta di soldi spesi, molto spesso, in cure psicologiche e psichiatriche. «Ma delle vittime chiedono anche che i soldi siano versati ad opere caritative», conclude Brigitte Ansermet. Vi si aggiunge l’incontro con il vescovo della diocesi in cui era incardinato l’abusatore e l’accesso al suo dossier. Proprio nell’incontro con il vescovo, aggiunge la segretaria del CECAR, le vittime molto spesso vogliono essere acocmpagnate.

La trasmissione dei dati a Zurigo

Il SAPEC trasmette sistematicamente i casi all’équipe di ricerca dell’Università di Zurigo. Il CASCE mette invece a disposizione i casi degli storici che volessero approfondirli consultando i loro archivi per proseguire nella ricerca. Quanto ad eventuali casi di calunnia, Aeby cita un solo caso in 14 anni di attività: «La persona non voleva essere identificata, ha donato un indirizzo di posta elettronica di fantasia ed era molto virulenta nell’accusa, molto di più dei casi di cui sentiamo raccontare di solito». Presso il CECAR questo accade ancora più di rado: «Entriamo in materia solo su dei casi prescritti. Le persone devono inoltre identificarsi e le riceviamo personalmente per sapere se vogliono ricevere un risarcimento», sottolinea Ansermet. «Ascoltarle è a volte difficile, ma sapere che ciò contribuisce ad aiutarle, mi aiuta a tenere la giusta prospettiva».

cath.ch/adattamento red

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