“Ci prenderemo le botte che dobbiamo prenderci e anche le nostre responsabilità”
Matteo Zuppi
… Le botte poi invece le hanno date e a prendersele sono state ancora una volta le loro vittime.
Abbiamo cercato di fare chiarezza sui progressi della chiesa in tema di abuso sessuale su minori e persone vulnerabili aiutati da un dato a campione notevole, quello documentato attraverso i sopravvissuti che si sono rivolti all’Associazione durante i suoi 13 anni di attività unica in Italia.
EXECUTIVE SUMMARY
- Quale livello di giustizia per le vittime è stato ottenuto?
- Quale livello di sicurezza, prevenzione si è raggiunto?
- Quale livello di controllo sulle gerarchie e coloro che insabbiano?
- Quali differenze tra l’Italia e gli altri paesi?
- Affidabilità della “linea italiana” della Cei ?
“La grande farsa italiana della CEI”
REPORT SULLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
OSSERVATORIO PERMANENTE della Rete L’ABUSO
Associazione italiana sopravvissuti agli abusi sessuali del clero
Relatore Francesco Zanardi
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Un’inchiesta durata più di un anno e decine di documenti che delineano un comportamento inequivocabile da parte delle gerarchie ecclesiastiche italiane, anche senza fare il paragone con quanto è invece stato fatto all’estero, in particolare in Europa.
Il campione in esame è di 332 casi, ovvero solo i casi che la Rete L’ABUSO ha trattato direttamente, quelli che abbiamo seguito passo passo al fianco delle vittime. Un campione quantitativamente e qualitativamente eccellente, persino eccessivo in quanto 100 casi sarebbero bastati.
L’arco temporale del campionamento va dal 2010, anno in cui nasce Rete L’ABUSO e inizia la raccolta diretta dei dati forniti dagli stessi sopravvissuti.
Non manca il dato attuale in quanto, dopo l’apertura degli sportelli diocesani, il riscontro aumenta con il ritorno di coloro che in buona fede si sono rivolti a quegli sportelli e poi insoddisfatti e in balia della rievocazione del trauma che ha funto da riattivatore, hanno cercato aiuto alla Rete L’ABUSO, permettendo all’Osservatorio di esporre anche il dato attuale, ovvero l’effetto del Motu proprio, nell’applicazione italiana.
Questo rapporto analizza quanto fatto dalla chiesa italiana nelle sedi giudiziarie canoniche che ricordiamo doverosamente, per quanto vengano chiamati tribunali, non sono equiparabili in alcun modo con i tribunali civili in quanto il parametro di valutazione è differente oltre che incompatibile.
Mentre nel tribunale canonico l’oggetto del procedimento è l’offesa a Dio, le violazioni dottrinali e via dicendo, nel procedimento del tribunale civile l’oggetto è il danno alla persona, cioè la vittima.
Premetto questo per evitare confusioni che potrebbero sorgere nel testo per via delle varie omonimie; quando si parla di condanna penale detentiva e risarcimenti alla vittima, questi vengono dal tribunale civile dello Stato italiano a seguito di una denuncia.
I tribunali canonici non infliggono questo tipo di pene in quanto il reato è “dottrinale”, quindi valuta il sacerdote imputato e la sua integrità nel rappresentare il ministero. In questo caso le pene massime sono di sospensione dal ministero fino alla (successiva) riabilitazione. Nei casi più gravi la riduzione dallo stato clericale.
In questo caso il risarcimento della vittima non è previso in quanto se pur quest’ultima ha subito una violenza, l’oggetto del processo è Dio e la vittima in questo caso è colei che consapevole o meno, ha contribuito all’offesa.
L’invito indispensabile nella lettura di questo rapporto è quello di fare come è doveroso la differenza tra quello che “è stato detto” e quello che “è stato fatto” concretamente.
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Partiamo doverosamente dal 28 maggio 2022 quando, durante la prima conferenza stampa del neoeletto Presidente della CEI Matteo Zuppi, poniamo alcune perplessità sulla “Via italiana” contro gli abusi sessuali del clero illustrata dal Presidente della CEI.
Una Via italiana deludente in quanto qualitativamente e quantitativamente notevolmente inferiore a quella di tutte le Conferenze Episcopali non solo europee, che hanno utilizzato un arco temporale di indagine di 70 anni, sufficiente a prendere in considerazione (con un “trattamento umano”) tutti i casi dei sopravvissuti ancora in vita. La Via italiana invece risulta penalizzante e discriminatoria in quanto tratterà solo i casi dal 2000 a oggi, tagliando fuori migliaia di persone.
Altra anomalia della Via italiana di Zuppi è il fatto che, ancora una volta contrariamente alle altre Conferenze Episcopali, la commissione della CEI non sarà indipendente, perché utilizzerà organi esterni alla chiesa ma dipendenti in realtà da essa, e non si avvarrà né del coinvolgimento dello Stato, né di altri organi di controllo.
In parole povere la Conferenza Episcopale Italiana se la suonerà e se la canterà da sola in un solitario autoreferenziale censimento dei dati “scelti”, come vedremo escludendo persino le stesse le vittime e i moltissimi casi mai denunciati all’autorità ecclesiastica.
Gli impegni pubblicamente assunti dal cardinale Matteo Zuppi in conferenza.
Poche settimane dopo lo incontrerò a Bologna. Due incontri riservati, con spirito diplomatico al fine di tentare di avviare in virtù del Motu proprio un dialogo tra i sopravvissuti e la massima gerarchia a livello italiano. Il Presidente dei vescovi, di fatto coloro che hanno controllo sui singoli territori, le diocesi.
Il risultato fu piuttosto deludente in quanto non solo Zuppi non si spostò di un millimetro da quella linea controcorrente all’Europa e, in realtà anche alla stessa morale cattolica; ovvero la Conferenza Episcopale Italiana sceglie consapevolmente e rinuncia al perdono delle vittime, la maggior parte, quelle antecedenti all’anno 2000, escluse brutalmente dall’indagine interna.
Confermerà anche a differenza degli altri paesi che non ci sarà da parte della chiesa italiana alcun indennizzo ai i sopravvissuti, che a detta del cardinale, indurrebbe soltanto le vittime a denunciare.
Fu invece molto più “garantista” (come lui stesso si definisce) nei confronti dei sacerdoti accusati, della loro difesa e della loro riabilitazione, dimostrando uno squilibrio notevole verso le vittime. L’impressione è stata che la CEI facesse quasi “una cortesia ad interloquire con noi”.
Disattesa anche l’acquisizione di tutti i casi denunciati alla Rete L’ABUSO, malgrado volontà da parte dell’Associazione di accettare la richiesta avanzata in conferenza dallo stesso Presidente della Cei, in virtù della disponibilità offerta e delle stesse parole di Zuppi; l’aspetto morale non si prescrive.
Dopo la promessa di organizzare un incontro con monsignor Lorenzo Ghizzoni che non ci ha mai contattati, nessuno da parte della chiesa ha più voluto quei nomi.
Data l’indisponibilità della CEI a un qualunque possibile spazio di dialogo con i sopravvissuti, restammo disponibili ad una loro convocazione, ma non ritenemmo utile chiedere un terzo incontro.
Tuttavia le strade della Rete e quelle della CEI si incroceranno ancora quando nel 2022 mi reco ad Aversa per incontrare, insieme al padre di un 13nne abusato, il vescovo Angelo Spinillo. I motivi dell’incontro riguardavano in particolare una serie di apprezzamenti molesti fatti sui profili social del ragazzino, successivi alla misura di arresto domiciliare del sacerdote e apparentemente effettuati da un profilo “omonimo” di quello del prete. Le successive indagini della polizia giudiziaria ricondurranno quegli apprezzamenti molesti alla connessione internet della struttura dove il sacerdote è ai domiciliari, ma non venne approfondito dagli inquirenti chi, dei 6 tra ospiti e operatori, dall’interno della struttura avesse materialmente commesso i fatti.
La richiesta del padre del ragazzino era tuttavia banale; accertare i fatti e impedire al sacerdote l’utilizzo di internet, non solo per evitare altri equivoci, ma per una questione di buonsenso in quanto il prete era ai domiciliari con l’accusa di reati sessuali sul minore, quindi degno di un doveroso controllo da parte di chi si era assunto la responsabilità del controllo, al fine di evitare che potesse reiterare il fatto.
La risposta di Spinillo non fu di quelle esemplari per un vescovo, che dovrebbe avere l’autorità sui suoi sacerdoti. Rispose che non sapeva che cosa fare in quanto il sacerdote non riconosceva più l’autorità del vescovo…
Sarebbe stato un buon motivo per avviare un procedimento canonico, ma invece…
Pochi giorni dopo il rientro a Savona decisi di informare della situazione riscontrata ad Aversa il cardinale Zuppi, fiducioso che almeno in quella singola situazione potesse mettere mano con più autorità di quella che il vescovo Spinillo aveva saputo esercitare. Ma non fu così, anzi, fu il padre del ragazzo in fine ad essere definito “un rompiscatole” dalla Curia di Aversa.
Nella primavera del 2023 le strade della Rete L’ABUSO e quelle della CEI si incroceranno ancora quando a seguito di alcune segnalazioni pervenute dalla diocesi di San Remo, scriviamo al vescovo Antonio Suetta, nell’intento di segnalare come previsto dal Motu proprio, quanto in nostro possesso. Una segnalazione preventiva che va accertata e che secondo il Motu proprio può essere anche anonima ed effettuata anche non direttamente dall’interessato.
Ma in questo caso non sarà affatto anonima, anzi è ufficiale, da parte della Segreteria dell’associazione che la manda in copia anche al cardinale Zuppi in quanto i segnalanti lamentavano di aver già informato la chiesa, ma questa non era intervenuta.
La risposta del vescovo Suetta non si fa attendere e francamente è spiazzante.
Anziché chiederci come prevede il Motu proprio e, come ci si aspettava, i nominativi, minaccia querela all’Associazione.
Qualche giorno dopo anche il cardinale Matteo Zuppi risponderà alla collega (Cristina Balestrini, Segretaria dell’Ufficio di Presidenza), ma come il vescovo non pare per nulla interessato neppure a capire il contenuto delle segnalazioni, ma molto più attento ad “interrogare” la collega che ha inviato la missiva. Tenta di manipolare il dialogo con l’associazione e la invita a scrivergli da un indirizzo mail personale e non da quello della Rete L’ABUSO, sottolineando che preferirebbe un dialogo non ufficiale, cosa che ancora una volta nel contesto generale stride non poco con le dichiarazioni di trasparenza, vicinanza alle vittime e di dialogo con loro.
La collega acconsentirà per cortesia diplomatica solo alla prima richiesta ribadendo l’ufficialità degli scambi epistolari, per poi tornare a scrivere tassativa dalle opportune sedi e con la mail dell’Associazione nel suo ruolo di Segretario.
Le missive saranno diverse, una decina. Anche questa volta in nessuna l’accenno di voler acquisire quei dati, come fermamente affermato da Zuppi in conferenza, anzi, nell’ultima missiva inviata in copia questa volta al cardinale Zuppi ma indirizzata alla Nunziatura apostolica, alla quale segnaliamo l’accaduto, alleghiamo una delle ultime lettere di denuncia ricevute dalla Rete, circostanziata con dati verificabili, ma anonima, ed è proprio per questo che la alleghiamo.
Ma ancora una volta vi è un rifiuto da parte di Zuppi che commenta “io le lettere anonime le cestino”.
Facciamo ora un breve feedback di quanto emerso nella prima parte, in cui vediamo colui che è o almeno dovrebbe essere il maggior “vigile” sui vescovi italiani.
Abbiamo rigorosamente citato solo i vescovi attori nei casi in cui il Presidente della CEI ha interagito direttamente con noi, ma in realtà la mancata vigilanza e la compiacenza da parte della CEI che non contrasta la disapplicazione nonché l’elusione delle norme da parte dei vescovi, emerge come vedremo ovunque nella penisola italiana.
Eppure il Motu proprio prevede almeno sulla carta rigide sanzioni per i vescovi che insabbiano o non affrontano adeguatamente i casi, ma chi controlla e le applica?
…Per questo in premessa ho sottolineato l’importanza di notare la differenza tra quanto viene “detto” e quanto poi in realtà viene “fatto”.
Nella sostanza siamo di fronte a una serie di norme introdotte e rassicuranti per l’opinione pubblica e i fedeli, ma non troviamo un solo caso di applicazione in Italia; al contrario, ne troviamo a decine, tutti in violazione.
Mentre negli altri Stati vediamo come accaduto in Spagna la stessa Conferenza Episcopale acquisire neppure dalle vittime, ma da un quotidiano, i nominativi raccolti, in Italia questo non è stato possibile neppure alla presenza del Presidente dei vescovi italiani.
Mentre vediamo come in Svizzera le istituzioni religiose che denunciano i sacerdoti e cercano le altre vittime, in Italia neppure una associazione di vittime riesce nei fatti a fare una segnalazione, in quanto la chiesa fa ostruzionismo.
Mentre come in Francia la chiesa è disposta a vendere i suoi beni per indennizzare le vittime, in Italia dice Zuppi che sarebbe un incentivo a denunciare gli abusi alla chiesa.
La ovvia domanda è; a che servono quindi gli sportelli diocesani se non si vogliono accogliere denunce
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I DATI SULLE DIOCESI ITALIANE CHE ARRIVANO DALLE VITTIME
Al fine di non ripetere nel corso dell’esposizione questo dato, lo daremo sottointeso nei punti che seguono in quanto emerge sistematico nei 332 fascicoli in nostro possesso e esaminati;
nel 100% dei casi è stata omessa la comunicazione da parte dell’autorità ecclesiastica alla Giustizia italiana;
nel 100% dei casi la chiesa non ha reso giustizia alla vittima neppure sotto l’aspetto morale;
nel 100% dei casi i sopravvissuti non hanno ricevuto soccorso medico adeguato, in praticamente tutti i casi nessuno ha ricevuto sostegno tranne incontri di natura “spirituale”, non classificabili tuttavia come soccorso o assistenza di carattere medico psicologica;
nel 100% dei casi non è stato dato nessun indennizzo da parte della chiesa, tranne in quei casi (circa l’8-9%) dove c’è stato l’interesse della chiesa ad un accordo tra le parti con il vincolo della riservatezza. Casi che non possono essere accolti come indennizzi, non solo per la cifra indecorosa rispetto al danno (in genere 25.000€), ma per la finalità stessa per la quale quella cifra viene elargita, ovvero vincolare la vittima al silenzio lasciando il sacerdote “anonimo” e libero di poter reiterare.
nel 100% dei casi in cui c’è stata una condanna da parte della giustizia italiana o ecclesiastica (esclusi i sacerdoti deceduti o suicidi, quelli che hanno lasciato il sacerdozio o i pochi ridotti allo stato laicale dalla stessa chiesa) i sacerdoti sono sempre stati reintegrati in parrocchie dove è difficile non essere a contatto con minori anche quando c’è un decreto o una raccomandazione del vescovo.
Queste premesse, che emergono sistematiche da tutte le 332 schede, in Italia trovano fondatezza anche sugli organi di informazione, sempre in genere molto favorevoli a queste notizie incensanti verso la chiesa.
Ebbene, nemmeno la cronaca italiana documenta un solo caso contrario.
Tanto meno la Conferenza Episcopale Italiana, che nel caso l’avrebbe strumentalizzata come consuetudine all’inverosimile.
Esporremo ora alcuni tra i casi più significativi tra quelli recenti di insabbiamento da parte dei vescovi, ovvero registrati dopo l’entrata in vigore del Motu proprio, particolarmente espressivi delle gravi inadempienze e delle reticenze delle Gerarchie ecclesiastiche, alle quali come abbiamo visto non è estraneo neppure lo stesso Presidente della CEI.
Utilizzeremo casi di cui ci siamo occupati e noti sui media in quanto offrono la possibilità di essere verificati con facilità da chiunque.
Il 4 maggio 2022 la diocesi di Milano comunica a Daniela Cultrera, uno dei legali lombardi della Rete L’ABUSO che difende la vittima del sacerdote reo confesso Alberto Lucchina, a cui il tribunale canonico ha inflitto una condanna pari a cinque anni di sospensione, dalla quale sottolinea la curia, va detratto il periodo di indagine (un anno) in quanto – secondo le dichiarazioni – il sacerdote era stato sospeso, già dall’indagine previa .
Dichiarazioni che scopriremo totalmente mendaci, appurate persino dall’Autorità Giudiziaria, che dopo le indagini, malgrado i riscontri si trovò bloccata dalla prescrizione.
Si scoprirà in realtà che il sacerdote non ha fatto un solo giorno di sospensione e che all’inizio del processo canonico è stato spostato e gli è stata nuovamente assegnata una parrocchia, a Milano nel quartiere Isola. Ma la nostra assistita e vittima di Alberto Lucchina, non sa che Alberto ha un fratello, Maurizio, anche lui sacerdote. Non sa neppure che alla Rete L’ABUSO abbiamo una denuncia di abusi da parte di un’altra donna vulnerabile, con invalidità, che questa volta accusa il fratello di Alberto, Maurizio Lucchina.
Anche la Rete L’ABUSO ignora qualcosa che scopriremo solamente durante le indagini. Nel quartiere Isola ci sono due parrocchie adiacenti in una delle quali la chiesa di Milano ha nascosto dopo la condanna Alberto, nell’altra risiede Maurizio, il quale non è mai stato sottoposto neppure ad un’indagine previa, malgrado ci sia una querela all’autorità italiana e il caso sia uscito sui giornali.
La diocesi e il prete non hanno mai risposto neppure alle richieste di indennizzo avanzate dal legale della Rete L’ABUSO assegnato alla vittima di don Alberto, malgrado sia reo confesso.
Non risulta alcuna indagine per le violazioni a carico della diocesi da parte delle istituzioni ecclesiastiche.
A Enna, nel corso del processo a carico di Giuseppe Rugolo, accusato di violenza sessuale aggravata nei confronti di alcuni parrocchiani minorenni, emergono dalle intercettazioni della Procura inequivocabili ammissioni da parte dello stesso vescovo Rosario Gisana; ammette di avere insabbiato il caso. Nel 2020 infatti, Antonio Messina, la vittima, denuncia il prete anche all’autorità giudiziaria, spinto proprio dalle reiterate inadempienze del vescovo Rosario Gisana, che anziché intervenire lo aveva nel frattempo (2019) trasferito a Ferrara, dopo aver tentato inutilmente di comprare il silenzio della vittima con 25.000€ della Caritas e mentendo in parte anche al collega vescovo, mons. Gian Carlo Perego, al quale nella lettera di presentazione rassicura non ci sia “nulla di particolare da segnalare”.
Tuttavia va notato che il vescovo di Ferrara non si è lamentato e che una volta pubblica la notizia che il Rugolo fosse indagato con l’accusa di violenza sessuale su minore, neppure lui intervenne cautelativamente. Il sacerdote è stato arrestato dalla polizia giudiziaria nell’aprile 2021 praticamente “in parrocchia” dove continuava a svolgere attività a contatto con i minori.
Malgrado le omissioni e le leggerezze palesate nell’ampia documentazione, la chiesa non ha anche in questo caso, avviato alcuna indagine nei riguardi dei due vescovi coinvolti.
Ad Acqui Terme Massimiliano Gamalero denuncia gli abusi subiti da don Carlo Bottero in infanzia. Il sacerdote non solo ammette, ma è disposto a dare un indennizzo di 25.000€, sempre però con il vincolo della riservatezza. Effettivamente Gamalero riceverà un primo bonifico con un acconto di 5.000€, che subito dopo restituirà indignato.
Malgrado l’indagine previa del vescovo Luigi Testore (che si limitò a Gamalero senza indagare se ci fossero altre vittime, che in realtà l’Associazione documenta) e l’ammissione del Bottero, quando raggiunto dalle telecamere, il sacerdote non pare così affranto, sorride ironico. Risulta sia sempre restato al suo posto, mai sospeso e svolge ancora incarichi a contatto con minori.
Nessun procedimento noto da parte della chiesa né per il prete né per il vescovo.
Nell’aprile 2022 a Carpineto Romano è stato arrestato il sacerdote colombiano di 40 anni Carlos Alberto Pérez Arco, accusato di pedofilia. (attualmente condannato in Italia in primo e secondo grado)
La cattura è avvenuta a causa di due denunce di abusi sessuali , avanzate lo scorso dicembre dai genitori di due bambini di Carpineto Romano ma in realtà, il sacerdote era stato spostato dalla Colombia già a seguito di accuse di abusi su minori che in Italia ha reiterato.
In un documento della chiesa del 31 agosto 2018 in nostro possesso, il fondatore dell’Istituto Missionario San Juan Eudes, monsignor Humberto Lugo Argüelles, avvertiva del comportamento inappropriato del sacerdote in missione in Africa.
Neppure in questo caso, malgrado la consapevolezza della chiesa colombiana che lo ha trasferito, la chiesa italiana che lo ha accolto non ha attuato qualora informata, alcuna misura preventiva al fine di evitare reiterasse e non risulta qualora non sapesse abbia avviato indagini per chi ha omesso la grave segnalazione, permettendo altre 2 vittime.
Anche se sono parecchi di più, questi alcuni esempi di casi attuali nei quali vediamo la chiesa italiana non intervenire nei confronti dei vescovi, in assoluta violazione al Motu proprio.
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Va anche notato, come evidenzieremo subito dopo con qualche esempio, che la chiesa si fa in qualche modo carico dei sacerdoti puntualmente difesi dai migliori avvocati sulla piazza, con parcelle che difficilmente un sacerdote può permettersi.
Neppure la vittima!
In alcuni casi abbiamo documentato che quando il prete è indagato, il vescovo attivamente provvede alla scelta del difensore, organizzando l’incontro con l’imputato.
Si fa anche garante quando necessario di una dimora per gli arresti domiciliari (l’inchiesta completa sui 23 centri per preti pedofili in Italia su “Giustizia Divina” Emanuela Provera – Federico Tulli “Chiarelettere”), della loro riabilitazione e del reinserimento nelle parrocchie, che avviene puntualmente senza restrizioni o un adeguato monitoraggio, anche dopo aver scontato il carcere.
Una prevenzione anche qui sulla carta e un altro evidente squilibrio in discriminazione delle vittime che non hanno alcun tipo di assistenza. Questo non solo a fronte delle dichiarazioni di vicinanza e soccorso della chiesa, anche queste solo sulla carta, ma un abominio in quanto la stessa è poi l’organismo che equamente dovrebbe giudicare e spesso a farlo sono gli stessi vescovi che in precedenza hanno coperto il prete.
Qui sarebbe interessante che il Presidente della CEI si pronunciasse e ci spiegasse come applica o dove vede applicato equamente quel “garantismo” di cui si fece tanto forte nei nostri incontri !
A fronte dell’impegno per la difesa dei preti pedofili, nessuna garanzia per le vittime.
Neppure per quelle che hanno ottenuto un risarcimento in sede giudiziaria, verso le quali la chiesa dovrebbe intervenire.
Vittime invece che si trovano come nel caso di don Luciano Massaferro, dopo il carcere reintegrato furtivamente dalla diocesi e dagli stessi parrocchiani che ne hanno omesso per più di un anno la presenza. Un prete che ha avuto l’onore della difesa di avvocati come Coppi, che difficilmente poteva permettersi.
Oggi per mano della stessa chiesa Massaferro non ha più stipendio (si spera che non sia per pagare il legale in quanto la chiesa non ha motivato), dal quale la vittima poteva almeno prelevare il quinto dello stipendio per il risarcimento deciso dal Tribunale italiano.
Per il prete non preoccupatevi, non è alla fame e tantomeno sotto un ponte, come lui stesso vanta nell’affermarlo, è responsabile di 3 parrocchie.
Potrei proseguire con casi come quello di don Luigi Gabbriellini, Don Silverio Mura, Mauro Galli e tanti altri che non elenchiamo in quanto non cambierebbero la palesata gravità della situazione della chiesa italiana, che emerge positivamente solo nei comunicati autoreferenziali ai media, per autoacclamazione e puntualmente senza il contraddittorio dei sopravvissuti o di chi li tutela.
Anche l’editoria non ha certo brillato molto nelle inchieste giornalistiche o negli approfondimenti televisivi, mentre i media stranieri (malgrado la notizia sia per loro “di nicchia”) hanno già prodotto 3 documenti sulla grave situazione della penisola.
Documenti che naturalmente non sono circolati in Italia, ma li proponiamo qui di seguito e sono;
“LA PREDA. I casi di pedofilia insabbiati dal Vaticano in Italia” prodotto da TFILM;
“I peccati nascosti dell’Italia” prodotto da BBC.
Il terzo è stato prodotto invece per una TV (non italiana) da una troupe belga e sarà pubblicato in Europa nei primi mesi del 2024.
IL SISTEMA DELLE GERARCHIE e le “FACOLTA’” dei gerarchi “privilegiati”
Forse superficialmente quanto detto prima è più che sufficiente ad una valutazione. Vogliamo ancora spendere intellettualmente qualche passaggio rispondendo alla più ovvia e spontanea delle domande; PERCHE’ questo è possibile malgrado il Motu propio ?
E’ vero che il pontefice fa le leggi e le raccomandazioni ma poi le gerarchie hanno una loro autonomia nell’applicarle. Autonomia concessa, in quanto in ogni paese le esigenze della chiesa sono differenti e lo scopo delle gerarchie è proprio quello di gestirle al meglio, in favore del Vaticano.
Cosa che abbiamo visto negli anni, per esempio, nelle varie linee guida emesse dalle Conferenze Episcopali, diverse in ogni nazione, dove la chiesa ha adattato i suoi parametri/esigenze alle leggi degli Stati. In altri come l’Italia invece, controcorrente o quanto meno indifferente anche di fronte agli appelli della Santa Sede, non ha fatto nulla in quanto la carenza legislativa e l’assenza dello Stato italiano glielo hanno permesso.
Un anno abbondante di indagini dell’osservatorio della Rete L’ABUSO ha documentato in Italia, in più occasioni oltre quelle citate sopra, attraverso molte testimonianze anche di sacerdoti oltre che sopravvissuti, quello che accade nel mondo “sommerso” delle diocesi. In questo caso dei vescovi e della stessa Conferenza Episcopale, responsabile degli stessi e dell’applicazione di quanto legiferato dal Pontefice, che tuttavia non si intromette.
Come in precedenza approfondito nell’articolo “Motu proprio vos estis lux mundi; 4 + 1 = 12 …I conti non tornano”, più fonti mi spiegano;
“Caro Zanardi, i casi che arrivano in CDF, sono solo quelli coperti da vescovi non più in carica in quella diocesi, un modo per il nuovo vescovo, di togliersi il problema creato dal predecessore facendo bella figura con i fedeli”.
Spiega che “I vescovi in carica, quando hanno un caso lo gestiscono internamente, presso il tribunale diocesano. Di certo non lo mandano alla CDF, anzi, posso dirti che in alcuni casi trattati, come quello di don X (non citiamo per tutela della fonte), di cui ho conoscenza diretta, ebbene il vescovo è stato costretto a ricevermi per conto di CDF, ma al momento in cui ho voluto sentire il prete accusato, il vescovo lo ha impedito ed io non ho potuto oppormi.”
“Devi capire che i vescovi hanno totale autonomia sul territorio della diocesi. Possono impedire anche a CDF di occuparsi dei casi o di accedere ai fascicoli. Malgrado sembrino molti i casi che riceve CDF ogni anno da tutto il mondo, in realtà questi sono la minima parte.”
“Il fatto che molte diocesi non hanno realizzato gli sportelli diocesani è proprio per questo motivo; la loro assoluta autonomia di gestione del territorio”.
Sembrerebbe quindi venire a mancare in molti casi anche la comunicazione da parte delle diocesi alla CDF nonché la stessa collaborazione vantata da Zuppi pubblicamente. Un fatto già appurato alla presentazione del Report della CEI, che dai venti anni annunciati si è ridotto poi a due e senza i dati di CDF.
Report che tuttavia, tenendo conto che i due anni censiti erano durante l’emergenza COVID, che ha limitato l’accesso agli uffici e che i dati provenivano da soli 30 centri di ascolto diocesani su 166 diocesi che li hanno attivati (su un totale di 226), il dato non era proprio insignificante.
68 persone denunciate.
Se prendiamo per esempio il dato della commissione francese che ne censisce 3000 (la Francia ha un totale di circa 20.000 preti, l’Italia circa 50.000) e lo dividiamo per 70, ovvero l’arco temporale del censimento, fa una media di 42 sacerdoti l’anno.
In Italia il dato CEI di cui non si conosce neppure la località dove sono avvenuti i fatti, di cui si ignora cosa la chiesa abbia fatto per quelle vittime e per i colpevoli e dal quale sono stati omessi; procedimenti in corso; dati delle diocesi (esclusi i 30 sportelli); dati delle associazioni; dati della CDF e lo dividiamo per i due anni che la CEI ha campionato, fa 34 casi ogni anno, contro i 42 della Francia.
Guardiamo per un solo attimo il risultato ottenuto nel concreto dalla CEI e senza andare troppo lontano lo paragoniamo a quanto hanno fatto le altre Conferenze Episcopali nella sola Europa tra commissioni d’inchiesta indipendenti, ricerca delle vittime dei preti, soccorso ai sopravvissuti e indennizzi economici, prevenzione e allontanamento dei soggetti pericolosi.
…Dire che non è stato fatto nulla dalla CEI, è persino un complimento molto generoso.
Fine del report
Francesco Zanardi
ALTO COMMISSARIATO PER I DIRITTI UMANI – diritti dell’infanzia
PARLAMENTO EUROPEO al Presidente della Commissione per le Petizioni
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