di Federico Tullli – Nell’ambito della nostra ricerca permanente sulle violenze di matrice ecclesiastica torniamo a occuparci delle sue conseguenze sulle vittime, siano esse bambini o donne, con la psichiatra e psicoterapeuta Irene Calesini.
“Ogni tipo di violenza, che sia fisica, sessuale, psicologica, tramite il Web, ecc, ha sempre conseguenze sulla sfera psichica, mentale, oltre che fisica. Si va da malattie psicosomatiche, al disturbo post traumatico da stress, a disturbi di ansia, a varie forme di depressione; in alcuni casi ci possono essere anche viraggi verso aspetti francamente psicotici, in genere acuti, e/o dissociativi. Non sono rari i tentati suicidi o i suicidi. La violenza psicologica ha la caratteristica di protrarsi nel tempo, è subdola; si esplicita con atteggiamenti, frasi, oppure silenzi, volti a sminuire l’altra, a intimidirla, a disconfermare le sue azioni, parole, pensieri; con minacce di aggressione o di abbandono. La donna o il bambino vittima esperisce un senso di allarme e di essere costantemente sottoposta a giudizio”.
Spesso il violentatore non è uno sconosciuto.
“Qui c’è il discorso della fiducia che viene tradita: se qualcuno che tu riconosci come autorità morale – in questo contesto è opportuno parlare di morale – un tuo superiore, un maestro, una persona per te degna di stima e fiducia, ti usa violenza, questa diventa ancora più grave. E lo è tanto che nel nostro codice penale il reato di maltrattamento in famiglia è perseguibile di ufficio, perché viene ritenuto ancora più grave subire violenza da qualcuno con cui è in atto una relazione che implica fiducia. L’Unicef nel 2000 ha dichiarato che «la violenza intra-familiare è una delle negazioni più perniciose dei diritti umani, in quanto è perpetrata non da persone sconosciute, ma da persone di cui ci si fida”.
Il magistrato Pietro Forno nel caso della pedofilia dei preti ha parlato di violenza simile a un rapporto incestuoso. “Forse, osserva in conclusione Calesini – se pensiamo alle suore, nelle comunità religiose anche i loro rapporti di convivenza, per vicinanza e consuetudine, si possono considerare familiari. Queste donne sono spesso inoltre in condizioni di dipendenza economica. E questa è una storia che si ripete in tutta la società cosa che ancora di più ci fa dire quanto sia sistemica e trasversale la violenza contro le donne”.
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