Ho conosciuto padre C. R. (anche se non so come lo si possa chiamare tale) nell’autunno del 2007 nell’oratorio della mia parrocchia. Sin dall’inizio notai che mi guardava in un modo molto particolare, che mi pareva diverso dalle altre, mi faceva sentire speciale, come se fossi su un piedistallo.
Avevo sedici anni all’epoca, con tutte le insicurezze del caso, quindi ero sicuramente appagata da tali attenzioni nei miei confronti. Da subito si insinuò nella mia vita. Entrò a casa mia, anche senza invito, con la felicità di tutta la mia famiglia, ma tutti sapevamo benissimo che lui veniva per me. Entrò anche nella mia camera, e così nella mia intimità. Per me era un confidente, una persona su cui poter sempre contare, che nutriva per me un affetto particolare e questo affetto era del tutto ricambiato.
Fu solo dieci anni dopo, in agosto, quando già da un anno era diventato il mio padre spirituale e mi ero trasferita in un istituto religioso da lui consigliato per un discernimento vocazionale, guarda caso proprio vicino alla sua parrocchia di Oristano, che lui mi infilò per la prima volta le mani nelle mutande. Stavamo tornando dal mare, avevamo trascorso una serata che si poteva definire piacevole, se non fosse che lui mi aveva baciato, sulla bocca, davanti agli occhi indiscreti e forse inorriditi delle persone circostanti, con mia grande vergogna e imbarazzo, visto i 22 anni di differenza di età.
Io solo il giorno dopo riuscii a reagire, e la mia reazione fu assolutamente negativa. Pretesi che non succedesse più, ma lui in tutta risposta mi disse che, visto quello che provavamo, visto che, a sua detta, eravamo innamorati, magari ci saremmo dovuti sposare.
È molto subdola la manipolazione e gli si può dire tutto, ma non che non fosse un bravo manipolatore. Con le sue parole e i suoi gesti riusciva ad ottenere tutto ciò che desiderava. E soprattutto sapeva scegliere bene le sue prede, persone fragili, che anche volendo, come era il mio caso, non sarebbero state capaci di scappare.
Il suo comportamento, quello che sembrava affetto nei miei confronti, le attenzioni che mi dava, sembravano legittimare ogni suo gesto. Lui mi faceva sentire come se io fossi in debito nei suoi confronti, come se in qualche modo gli appartenessi. Questo fu l’inizio della fine, perché alle pacche sul sedere che non faceva mai mancare, ai baci, alle moine, si aggiunsero tutti i gesti di natura sessuale, a cui a volte rispondevo, ma che per la maggior parte delle volte subivo.
Tutto questo succedeva per la maggior parte durante gli incontri di direzione spirituale nel suo ufficio, ma anche ogni qual volta ci trovassimo soli in una stanza. Ogni volta lui chiudeva a chiave la porta e quello era il segnale che stava per succedere qualcosa. Durò per 17 mesi, mesi infiniti e non c’è stato un giorno di questi mesi in cui io non piansi.
Lui lo sapeva, conosceva tutta la mia sofferenza, gliela raccontavo ma reagiva per la maggior parte delle volte con indifferenza. Volevo che finisse tutto, ma non avevo la forza di scappare. Sin dal dicembre del 2017 esternai il bisogno di parlarne con qualcuno, avrei voluto dirlo a un frate amico, che mi conosceva bene e sapevo mi avrebbe potuto aiutare. Ma lui me lo impedì. Mi trovavo rinchiusa, disperata, stavo lentamente morendo.
Tutto finì quando cambiai padre spirituale e dopo qualche mese riuscii a parlarne. Fu lì che i due si confrontarono e la storia fu troncata. Per me fu una liberazione, anche se lui non cambiava il modo di approcciarsi a me o di guardarmi, ma almeno non allungava le mani.
Posso dire di essere tornata a vivere una volta abbandonato l’istituto nel 2019. Ho iniziato un percorso di psicoterapia che mi ha salvato e che ancora seguo. Ma ancora non mi do pace.
Dall’estate del 2020 ho tentato di denunciare questi fatti e per mio garbo ho provato a farlo tramite il tribunale ecclesiastico, fidandomi della chiesa e pensando di trovare persone caritatevoli e giuste. Non ho trovato che porte in faccia. La prima dal tribunale stesso e dal vescovo che, da quanto intuito da una mia fonte, non fece partire un processo per paura di “incrinare” i rapporti con la famiglia francescana.
Poi dal provinciale stesso, che mi fece tante promesse per darmi un contentino, ma non fece neanche una delle cose dette. Mi sono anche appellata alla Curia generale dei frati cappuccini, alla Congregazione per gli istituti di vita consacrata e al Dicastero per la dottrina della fede ma le risposte parevano un copia e incolla, dicendo che fossero state prese le misure necessarie.
Ma quali misure?
Qua c’è bisogno di giustizia e di un serio cambiamento, non solo da parte di padre C., ma da parte della chiesa tutta. La chiesa in cui io credevo, la chiesa di Gesù Cristo, era misericordiosa, libera, giusta.
Quella che vedo è invece un cumulo di serpi, piena di sotterfugi e omertosi. Se è questa la realtà, io la combatterò fino alla fine.
Lettera firmata cristiano raspino
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