di Piero Cappelli – <<Odiate il male amanti del Signore! Il custode delle vite degli innocenti le libererà dalle mani dei malvagi>> (dal Salmo 97 str.10)
La mattina si sveglia, fa toilette e recita l’ufficio delle letture e poi, dopo colazione, le lodi. E dalla canonica o dal vescovado scende verso la chiesa per prepararsi alla messa. La messa, quel rito eucaristico con il quale il presbitero – invocando lo Spirto santo, cioè Dio – con le sue mani stese sulla pisside ricolma di ostie e il calice contenente del vino e pochissime gocce d’acqua – ‘contribuisce’ alla transustanziazione. Quel fenomeno misterioso con il quale pur rimanendo pane e vino – ma per fede – queste due sostanze si trasformano in corpo e sangue di Gesù Cristo. Questo dopo aver letto il vangelo e averlo spiegato. Poi alla fine darà lui, sempre con le sue mani, la benedizione al popolo, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. Stiamo parlando di un prete, di un vescovo cattolico qualsiasi. Fa questo ordinariamente, come se nulla fosse…?! Chissà… Cioè quando questa persona – prete o vescovo che sia -, è proprio la stessissima persona che giorni prima o successivamente – con quelle sue stesse mani, con la sua parola, e con il suo corpo e parti intime del suo corpo – ha ‘usato’ e agito in modo ‘diverso’…su un ‘altro’ corpo su un’altra ‘persona’… Ma cosa è successo?
È successo che questo presbitero/vescovo cattolico ha avuto un rapporto sessuale con un minore e questo non era consenziente. Praticamente il pedofilo clericale cattolico, dopo aver attratto nella ‘sua tana’ la vittima – magari sfoggiando il suo abito talare o il clergyman o anche una semplice magliettina firmata per essere più alla moda -, per cercare di consumare con lei il suo desiderio pedofilo secondo le proprie passionalità erotiche.
Ecco che l’ ‘uomo di Dio’, che agisce e opera in persona Christi – come si auto-definiscono i presbiteri del clero cattolico nel loro <<prolungare la presenza di Cristo…facendosi quasi sua trasparenza in mezzo al gregge loro affidato>>(Pastrores dabo vobis*, nn.15-18) – , ha agito da ‘orco’, trasformandosi in uomo voglioso e tessitore di tecniche di seduzione da sviluppare con pazienza, escogitando macchinazioni utili ad accreditarsi e apparire agli occhi sia delle ‘vittime’, sia del loro ambiente, in ottima ‘forma’, dando ‘sicurezza’ alla futura vittima, per meglio attirarla e concupirla, abusandola.
Il gap tra l’ ‘uomo di Dio’ e l’‘orco’ – con tutto rispetto per la bestia che vive la sua vita nella naturalità – non è stato messo in evidenza perché può scatenare un certo orrore, quando si fa risaltare come questa persona possa essere lo stesso individuo che incarna questa duplice figura così agli antipodi nell’essere tale: ecco come il forte contrasto faccia provare disgusto, orrore, raccapriccio, ripugnanza, nausea, voltastomaco, ribrezzo, insofferenza, repulsione. Anche papa Francesco ha manifestato in più occasioni simili sentimenti verso questi ‘suoi’ confratelli e ‘ministri di Dio’, riscontrati pedofili e che hanno continuato ad esercitare i due ‘ruoli’ nella stessa persona di prete o vescovo o religioso che sia. Una specie di dr. Jekyll all’altare e nella pastorale, che si trasforma in mr. Hyde quando il suo interesse va verso i ragazzini/e… O meglio, questo processo mutante è organizzato durante le sue attività pastorali, escogitando e approfittando delle situazioni in cui la stessa pratica sacerdotale gli mette a disposizione su un ‘piatto d’argento’ fatto di contatti personali specialmente con l’ambiente giovanile locale. Ed in questi momenti può escogitare forme di plagio, ‘lanciando ami’ verso i ragazzini per farli ‘abboccare’ e raggiungere così l’obiettivo finale: fare sesso. Ed i suoi comportamenti sono rassicuranti, confortanti, protettivi, anche affettivi ma non più di tanto per non innescare ‘secondi fini’ che invece ci sono, ma che la vittima designata e i suoi familiari e amici non devono nemmeno pensare. Insomma, un gran furbone che vuole costruire una trappola fatta con tutte le astuzie del caso, seguendo il suo malsano desiderio ‘pornografico’ che lo trasforma in un vero ‘mostro’. Ciò avviene perché il suo apparire ‘al mondo’ è ‘garantito’ dall’essere ritenuto un ‘uomo di Dio’: lo stesso testo* parla del prete/vescovo come di colui che ha <<una relazione fondamentale con Gesù Cristo…partecipa in modo specifico e autorevole alla consacrazione/unzione…avendo ricevuto lo stesso Spirto di Cristo da renderlo simile a Lui…>>(idem*, nn.16 e 33) – mentre, poi, si è rivelato un grande ‘truffatore’, un vero ‘traditore’, un ‘infedele’, un ‘manipolatore di coscienze’, un abusatore, un ‘orco’ che ‘sbrana’ le sue vittime…!, ma lui è anche ‘l’uomo di Dio’… (?)
Perché, uno degli aspetti più mistificanti di questi personaggi ‘disturbati’, ‘malati’ o come li si voglia appellare, è quella di esser capaci di riuscire ad infondere sicurezza e fiducia nelle persone grazie alla loro figura di prete e/o di vescovo, tanto da far cascare con facilità ‘le prede’ nel loro trabocchetto. Ciò che cercano di raggiungere – e lo pre-gustando già nel percorso -, è il momento della ‘consumazione’ sessuale con la vittima designata, riuscendo con estrema freddezza ad entrare nella vita del minore in punta di piedi, quando addirittura operando nella circonvenzione del minore…E guarda caso il giovane adocchiato – divenuto la sua preda da carpire con tutta la sua ‘arte’ mistificatoria tra ‘sacro e profano’ –, non è mai una persona qualunque, ma è quella che è stata studiata, frequentata, osservata, che l’attrae più di tutte le altre e per la quale escogita una speciale premura… Così, piano piano, un po’ alla volta avanza nella sua strategia cercando di trovare il tanto desiderato incontro, da solo, con la pronosticata vittima . A volte, invece, l’incontro può essere più estemporaneo e improvviso, cogliendo l’occasione che capita o per la forte attrazione, rischiando a volte il tutto per tutto, gettando l’approccio in scherzo così da giustificare un’eventuale reazione negativa da parte della futura vittima.
Tutto questo potrà sembrare crudo, troppo crudo e troppo fredda la ricostruzione generica raccontandola così. Come riluttanti risultano le storie vere raccontate dalle vittime. Questi pedofili double faced, che in una veste-sacra sono gli ‘uomini di chiesa’, mentre nell’altra sono degli ‘uomini-orchi’ – che cercano d’incantare il fanciullo per farlo soggiacere ai propri desideri sessuali –, escogitano quel ‘doppio gioco e ruolo’ che non ha niente di surreale, ma di pienamente coscientizzato e concretamente realizzato nella loro determinata volontà. Però, un tale abuso sessuale con un bambino – che la scienza psichiatrica parla di pedofilia con un soggetto al di sotto dei tredici anni -, può anche far pensare ad un’opera anticristica, dal punto di vista cristiano, tanto da notare come il pedofilo clericale abbandoni il suo ruolo religioso-sacrale, per approdare – sotto il segno del male concupitorio – nella psiche e nella carne della vittima ‘oggetto’ del suo desiderio. Ciò non lo scagiona, né lo assolve, né lo giustifica, però meglio ancora mette in evidenza lo ‘scarto’ tra l’uno e l’altro ruolo che lega un uomo ‘legato’ a Dio con il sacramento dell’Ordine e per quanto ‘sacralizza’ con la sua persona nel contesto liturgico e quanto invece immondamente realizza nello ‘sfruttamento sessuale’ del corpo di una giovanissima creatura umana. Un vero paradosso, tra sacro e profano, tra cristiano ed anticristiano.
Quelle mani che toccano con pudore l’ostia consacrata divenuta ‘corpo di Cristo’ durante la messa e quelle labbra che si avvicinano con rispetto e delicatamente al calice per bere quel vino che è ‘sangue di Cristo’, sono le stesse che ‘l’uomo di Dio’ utilizza per dedicarsi intimamente alla vittima nelle sue attenzioni fisiche. Non solo. La ‘consumazione’ carnale spesso va anche oltre con rapporti sessuali completi.
Le conseguenze di questi atti di abuso sessuale sulle vittime dei pedofili sono indicibili: dal senso di colpa nella vittima allo choc psicologico, alla crisi interiore con tentati suicidi, crisi della personalità, suscitando crisi di fede fino all’odio per la Chiesa e per i preti. Di tutto, di più. E poi paure: di dirlo, di averlo lasciato fare senza esser riuscito/a a reagire, a ribellarsi, a difendersi, come anche ‘auto condannandosi’ per non aver capito prima, in tempo…sensi di colpa disperati…e pesantissimi.
Ci sono due aspetti in queste problematiche che voglio evidenziare. Uno, nel contesto cattolico e sociale italiano e l’altro in quello prettamente ecclesiastico della Chiesa, concatenati.
Il primo è legato al fatto che nella tradizione cattolica romana è stato portato avanti nel contesto del’Occidente europeo e specialmente in Italia, una formazione religiosa tale da costruire generazioni con coscienze tese al rispetto ‘sacrale’ delle figure rappresentative come il prete, il vescovo, il papa. Ed è proprio da questa ‘educazione cattolica’ che si è tramandando una concezionale d’intoccabilità socio-morale verso l’istituzione Chiesa e di conseguenza, se non prima e soprattutto, verso i suoi rappresentanti clericali, in maniera spesso acritica e ossequiente, rendendoli così come ‘intoccabili’, ‘puri’, perché ‘vicini a Dio’ e amministratori delle ‘cose sacre’… Soprattutto perché alcune curie, i luoghi del potere ecclesiastico-vescovile e, quella romana in particolare, han cercato di coprire e scagionare molti casi di pedofilia, nascondendo molti abusi con molte responsabilità, scagionando i propri ‘ministri’ mettendosi spesso di traverso tra il pedofilo e la giustizia italiana. La quale, a volte, si è comportata con moltissima cautela verso i clericali denunciati, vuoi perché appartenenti al mondo ecclesiastico cattolico, vuoi perché l’azione di certi vertici curiali hanno indotto l’uso dei ‘guanti bianchi’. Gli interessati ai vari livelli, vogliono evitare in primo luogo lo scandalo, il processo pubblico, la detenzione dell’accusato. Quindi si vuole evitare una pubblicità mediatica negativa, cercando d’influire sui direttori e, qualvolta, anche sugli editori per cercare di censurare la notizia evitando di portarla all’attenzione dell’opinione pubblica limitandone al massimo le conseguenze d’immagine, forse la parte che più preoccupa.
Due fronti vengono così ‘battuti’ dagli uomini di chiesa e dai loro collaboratori al fine di ‘salvare’ il pedofilo clericale cattolico: la censura della notizia e l’incredulità della gente e delle istituzioni. Questo ‘stile’ socio-politico-ecclesiastico di fatto ha contribuito a far sedimentare nella comune mentalità socio-religiosa italiana – anche grazie alla presenza condizionante come lo è ancor’oggi in Italia, del papato -, quell’idea d’‘intoccabilità’ e ‘onorabilità’ che il clero cattolico continua a ‘pretendere’ e a ‘cercare’, avendo costruito nel tempo, su di sé, la ‘figura sacra dell’ ‘uomo di Dio’. Facendo dei preti e dei vescovi non delle persone comuni, ‘normali’, ma ‘speciali’, ‘fuori dall’ordinario’ e praticamente non criticabili e non ‘condannabili’ in quanto considerate ‘persone sacre’, come ce lo narrano loro stessi quando ci parlano di sé, della loro vocazione e della loro missione religiosa, amministrando i sacramenti ‘divini’: annunziando il Regno di Dio, dicendo messa e contribuendo alla consacrazione eucaristica; distribuiscono il ‘corpo di Cristo’ e ascoltano i peccati della gente; danno l’assoluzione e battezzano ‘in nome di Dio e della Chiesa’, impartiscono l’estrema unzione ai moribondi implorando la misericordia di Dio verso i morti… Ma poi, però, molti di loro – specie nell’area occidentale europeo-americano-canadese saltano fuori da inchieste a livello internazionale dove più si scava, più si trovano casi di abusatori pedofili nelle file del clero cattolico… –, continuano a ‘rovinare’ bambini, ragazzi, se non anche adulti, maschi e femmine. Si pensi alla vita di un prete e di un vescovo che si vengono a trovare in contatto con il mondo dei giovani grazie al loro impegno pastorale: dal catechismo fin dal primo anno dell’età scolare, ai servizi liturgici in chiesa come chierichetti/e, alle associazioni cattoliche giovanili di tutti i tipi e di tutte le età. E quando i pedofili clericali vengono messi a nudo, il ‘sistema ecclesiastico’ scatta per proteggerli trovando mille scappatoie, evitando loro ogni colpa, cosicché salvaguardando anche se stessi, i loro superiori, su su fino al papa per lasciare monda l’immagine della Chiesa. Se oggi è più facile far passare che le accuse che scattano è perché ci sono vittime e testimonianze. Però, vista la chiusura del corpo clericale di fronte ai ‘suoi’ casi di pedofilia nella chiesa, una parte dell’opinione pubblica non accetta che un prete o un vescovo, benché trovato ‘con le mani nella marmellata’, possa essere riconosciuto ‘colpevole’ come pedofilo. Vige come una certa ‘sospensione’ del giudizio, come una forma di ‘immunità’ che gli viene data proprio perché ‘sono’ preti e vescovi. È quel ‘sacro piedistallo’ che li tiene su e dà loro come uno speciale fascino di rispettosità tale che risulta difficile ‘buttarli giù’, da lì, per renderli ‘semplicemente umani’. L’istituzione Chiesa ha continuato a mantenere, da secoli oramai, una divina e protettiva ‘sacralizzazione’ dei ‘suoi ministri’ da renderli come intoccabili, offrendo loro una specie d’ ‘assoluzione speciale d’ufficio’ proprio per la loro appartenenza al clero data dalla loro vocazionale originaria, ‘voluta da Dio, quindi divino-sacrale. Però infangata da quel comportamento pedofilo tale da causare un doppio ‘peccato’, verso le vittime e verso sé stessi per la ‘sacralità’ della loro storia religiosa. Queste sono persone che sono ‘cresciute’ dentro l’ambiente ecclesiastico sotto il ‘controllo’ dei loro vescovi che li hanno seguiti e ordinati preti, ma, forse non hanno ben capito chi avessero ‘di fronte’ oppure hanno minimizzato certi segnali, se ci sono stati. Quello che sembra più probabile è che i rettori, i vescovi, e i loro direttori spirituali, e qualche psicologo – se lo hanno visto -, non abbiano attuato quella doverosa ‘selezione professionale’ – a vari livelli – dei candidati al sacerdozio nei loro seminari. Ciò tira in ballo sia i metodi, sia le verifiche approntate. C’è da tener di conto che chi entra in seminario in questi ultimi decenni lo fa in una stagione già adulta, intorno ai 25-30 anni, rispetto a quando si entrava all’età delle elementari-medie. E voler ‘scolpire’ una ‘nuova’ personalità a quest’età non è facile né possibile più di tanto, se non attraverso dei notevoli ‘interventi’ di ordine psicologico, che adattativo. Per cui, anche le caratteristiche personali di questi soggetti – a partire dalle notizie inviate al vescovo dai rispettivi parroci dei candidati al sacerdozio -, non possono essere così esaustive e complete. Però la mancanza degli ‘operai nella messa evangelica’ porta i vescovi ad essere più facili al reclutamento senza grandi ‘esami’. Ciò permette, ancora oggi, un’infiltrazione nel clero di soggetti con caratteristiche ‘a rischio’ – non solo per pedofilia -, inclini ad orientamenti e deviazioni di tipo sessuale, psichico, socio-economico-finanziario, ecc, riuscendo a ‘passare’ anche grazie a qualche raccomandazione importante che in campo cattolico funzionano sempre specialmente se di alto rango episcopale. Oltre al fatto che i vescovi, padroni assoluti nella loro diocesi, si fidano alla fine solo di se stessi, sempre per lo stesso motivo di ‘superiorità sacrale’ che pretendono di avere, mentre la ristrettissima cerchia dei ‘fidi’, sono spesso accondiscendenti.
Quello che maggiormente influisce è quindi la trasmissione dell’ideologizzazione della ‘concettualità sacrale’ che in certi seminari cattolici viene ancora inculcata nei candidati al sacerdozio tanto da portarli, dopo anni di indottrinamento, ad auto-considerarsi come dei soggetti ‘speciali’ perché la loro vocazione è come ricevuta ‘da Dio’ come ‘chiamata’. E se anche questo è giustificato in senso evangelico, dall’altra non dovrebbe trovare facilitazioni di ‘selezione’ giocando sulle ‘buone intenzioni’ del candidato e su una superficialità episcopale. E fanno sentire addosso al seminarista un gran peso psico-valoriale da ‘prescelto’, da uomo ‘speciale’, quasi un ‘perfetto’, specialmente quando gli viene trasmesso d’incarnare lo stesso Gesù (in persona Christi), elevandolo a ‘sacerdote di Dio’. Capite bene che una tale formazione clericale così improntata non può non esaltare il futuro prete. Ma la responsabilità non può che risiedere in alto, molto in alto. Perché quest’impronta, questa coniatura del candidato viaggia sotto il segno di un documento di ben trent’anni fa, ma risulta essere, ancora oggi, il testo base di formazione dei preti nel XXI secolo. È secondo l’esortazione apostolica post-sinodale Patores Dabo Vobis del 1992 – ‘magna carta’ del sacerdozio cattolico romano a firma di san Giovanni Paolo II papa, grazie anche al contributo teologico dell’ex cardinale Ratzinger come Prefetto della Congregazione Romana della Dottrina della Fede -, che si continuano a formare i chierici nei seminari cattolici, tenendo conto anche della tradizione conciliare Tridentina (1545-63), se non anche Lateranense (V -1512), del Vaticano I e II (1869-1965). Per cui le responsabilità pescano lontano ma molto in alto, perché han voluto e continuano ad inculcare nella casta sacerdotale cattolica queste convinzioni che vengono definite come ‘volontà di Dio’. E tale volontà divina viene ‘autorevolmente’ dedotta dagli stessi interessati secondo la loro ‘interessata’ interpretazione della Scrittura cattolica, auto-definendosi e auto-legittimandosi. Che li rende oggetto di tale ‘sacro privilegio’, autorizzandoli al loro potere nella e sulla Chiesa che interpretano come ricevuto – tramite gli Apostoli di Gesù -, direttamente da Lui attraverso la ‘successione’ apostolica, in quelli che noi oggi chiamiamo vescovi: ecco la ‘loro sacralità’! Secondo noi, invece, è questo ‘gotha sacrale’ ad aver ‘piegato’ la Scrittura – nei vari momenti della storia del cristianesimo occidentale -, alla loro ideo-teologia, secondo la quale questo e solo questo – cioè quello che fa capo alla Chiesa di Roma – è il vero cristianesimo voluto da Gesù e da loro rappresentato e organizzato.
Che fare di fronte a tali ‘giustificazioni’ e a tali auto-referenzialità? La gerarchia cattolica, cioè tutti vescovi del mondo di tutti i tempi, ha contribuito a costruire questo tipo di Chiesa cattolico-romana centrata sul ‘sacramentalismo’, sia dei soggetti che operano – cioè loro stessi -, sia delle ‘cose’ che gestiscono e governano, – dicendosi ‘mandati da Gesù’-, pretendendo quindi d’ ‘amministrare’ Dio stesso. E’ questo, alla fine, il ‘grande inganno’ del loro ‘potere assoluto’ nella e sulla Chiesa, a tutti i livelli, dal papa ai vescovi ai preti, ognuno nel loro ambito, basato sui tre grandi poteri ecclesiastici esercitati dai vescovi, fulcro del potere ecclesiastico-dottrinale-organizzativo-economico: insegnare, santificare e governare – a cui noi, aggiungiamo -, amministrare e incrementare il patrimonio ecclesiastico di “mammona”.
Di fronte a questo scenario si capisce bene che andare ad accusare un prete o un vescovo di molestie e abusi sessuali verso un minore, fa subito scattare un allarme d’attenzione e prudenza, a tutti i livelli istituzionali. Infatti vediamo, come in Italia, nonostante sia arrivato il nuovo presidente dei vescovi italiani di turno, si tenti lo stesso di far di tutto per frenare e bloccare la trasparenza e l’apertura degli archivi, mentre in altri Paesi è stato ed è possibile. Ma chiunque incarna e incarnerà questi ruoli di vertice troverà sempre un grande condizionamento istituzionale in cui la tradizione dei comportamenti detta un po’ le regole. Perché le ‘anime ecclesiastiche’ che operano all’interno della Chiesa sono schierate in gruppi di potere – per un motivo o per un altro -, tanto da contrastare, boicottare, condizionare o addirittura stravolgere le volontà e le prassi dei vertici: l’abbiamo visto nel percorso storico anche recente, come certe lobby intestine al mondo cattolico clericale tanto potenti da interferire, minare e boicottare lo stesso pontefice, come è successo con Benedetto XVI e con papa Francesco: un clericalismo senza scrupoli e pericoloso, con obiettivi di potere che benché misteriosi ai più, alla fine fanno intendere che la ‘vera’ Chiesa di Cristo’ viva altrove…
E fin qui non abbiamo ancora tirato in ballo la parola di Gesù tratta dai vangeli, ma lo facciamo ora per capire meglio dove si vengono a posizionare i soggetti del nostro racconto…da una parte i preti e vescovi pedofili e dall’altra le vittime, gli abusati, i sopravvissuti… Lo facciamo ora, per dare alla nostra argomentazione un valore secondo le parole di Gesù scritte nei vangeli. Praticamente entriamo con i ‘piedi nel piatto’ dei nostri interlocutori ecclesiastici, scendendo nel ‘loro campo’.
Gesù ci parla ancora oggi attraverso le parole dei vangeli con racconti e parabole oltre a gesti e azioni. La sua logica la comprendiamo guardando a lui che si muove indicandoci di volta in volta quanto sia importante “capire solo dai ‘frutti’ la bontà dell’albero che li produce …ci dice anche quali siano le cose che rendono impuro un uomo…Ci dice anche che chi non è con lui, è contro di lui…E sappiamo che ha scacciato i mercanti dal tempio…ha trattato con durezza i maestri della legge e i farisei giudaici…e c’invita alla vigilanza… a stare attenti che la nostra luce non diventi tenebra…ma dobbiamo cercare di ‘passare per la porta stretta’, difficile, e non per quella facile, larga… Gesù dà importanza alla fedeltà, in tutti i sensi…e vuole che i ‘fanciulli vadano a lui’ e li benedice…ci sprona a combattere contro ogni occasione di male ovunque sia, specialmente in noi stessi…e ci dice – contro ogni pensiero benpensante -, che l’erba cattiva cresce insieme a quella buona e per non perdere il grano occorre cercare di difendersi dalla zizzania, oggi, lasciando al momento del raccolto, domani l’ora del giudizio ultimo… che avverrà per tutti ‘nel giorno dell’incontro con Lui, faccia a faccia…>>. Non solo. Anche altro ci dice che <<non dobbiamo giudicare…ma dobbiamo invece saper perdonare fino all’infinito (70 volte 7)… perché l’amore del Padre – secondo la parabola del padre misericordioso -, è grande fino ad amare anche i nemici…questo è l’unico comandamento nuovo che ci ha lasciato Gesù, dandoci l’esempio con la sua morte in croce…>>. Gesù, quindi, ci dice che bisogna saper perdonare e saper amare sempre!
Se tutto questo lo mettiamo in parallelo con quanto detto nella prima parte vediamo che anche i ‘pedofili peccatori’ hanno bisogno di perdono e molto probabilmente lo riceveranno perché <<i peccati che non saranno perdonati sono quelli contro lo Spirito santo>>(Mt 12,32), cioè per chi rifiuta la salvezza che Dio offre all’uomo nel riconoscersi bisognoso del suo perdono. Quindi diventa una questione esclusivamente personale. E noi, di fronte ai pedofili, dovremmo perdonarli e lasciarli andare, così? Ma Gesù – come abbiamo detto – bisogna leggerlo ed interpretarlo nel complesso della sua vita, anche per cosa ha fatto. Altrimenti, secondo il sommo comandamento di Gesù, lui stesso avrebbe dovuto accogliere e tollerare tutti e tutto, ‘aspettando’ solo che fosse poi il Padre a giudicare le persone nell’al di là. Però non è così. Perché Gesù non è stato inerme o indifferente di fronte alle sofferenze e alle ingiustizie del mondo, al dolore. Non ha lasciato scorrere tutto, non è stato zitto, ma ha denunciato, criticato, inveito, si è anche arrabbiato. Si è espresso e ha operato contro tutte quelle forme in cui il potere del Male – nelle sue diverse manifestazioni, spesso attraverso l’azione degli uomini -, ha recato sofferenze alle donne e agli uomini dei suoi luoghi, del suo tempo, ‘liberandoli’ dal loro stato di oppressione, di patimento, di dipendenza, di angoscia, di condizionamento, di paura: <<ne aveva compassione e guariva ogni malattia e infermità…>>(Mt 9,35-10,1). Quindi ha agito e agito con amore, sì, sempre, ma anche con rettitudine verso i ‘peccatori’. Perché quelle ‘guarigioni’ e quelle ‘liberazioni’ che Gesù ha concretizzato nella vita della gente, bisognosa di essere ‘amata’ e ‘sanata’, avevano comunque un risvolto sociale di cui il Figlio di Dio ha voluto trascurare. Infatti, mandava ogni ‘liberato’ e ‘guarito’ ad ottemperare come forma di ‘dovere’ verso la comunità, per quanto ‘ricevuto’ seppur gratuitamente. Cosicché dopo l’aspetto ‘divino’ e ‘salvifico’ occorre procedere anche nel contesto della convivenza civile, lasciando che le questioni ‘del mondo’ incontrassero la loro ‘giustizia’. Cioè agendo di conseguenza secondo le regole e le consuetudine sociali.
E noi, oggi, come e cosa possiamo fare per ‘dirci e operare da cristiani’ secondo le indicazioni/prassi di Gesù? Dobbiamo cercare di intervenire sulla realtà umana che abbiamo intorno così da poter anche noi riuscire ad aiutare e a ‘guarire’ e portare ‘giustizia’ sia alle vittime, sia ai pedofili, con amore. Anche se questa parola e quest’azione è imbarazzante esercitarla verso persone che hanno operato violenze fisiche e psichiche su dei minori, le cui conseguenze spesso rimangono indelebili e terrificanti per decenni, per non dire per tutta la vita, sulla loro persona. Perché questo, come cristiani, ci viene chiesto. L’impresa, però, non è facile, ma ardua. Questi preti e vescovi pedofili – che cercano di gestire la loro situazione di coscienza, magari solo attraverso la confessione e così cavarsela, o passando da un confessore ad un altro, o continuando nella loro situazione di ‘peccato’ e di violenza verso gli abusati -, alcuni di loro andranno a confessarsi, mentre altri, forse, non lo faranno nemmeno o perché si vergognano, o non ci credono o perché hanno paura d’essere smascherati, continuando però a rovinare la vita delle loro vittime. Ma c’è però anche l’altro aspetto della ‘giustizia’ che è regolata dalle leggi della nostra società. La giustizia che socialmente viene richiesta è proprio questa: dimostrare le loro colpe secondo le regole della convivenza civile e così bloccarli nelle loro azioni pericolose. So, per esperienza personale – avendo frequentato un carcere come counselor volontario e avendo avuto colloqui per incarico del direttore con diversi pedofili non clericali –, che questi soggetti, quando attraversano le soglie della detenzione rischiano le stesse violenze e non solo, di cui sono incolpati, anche senza condanna definitiva, viste le ‘regole’ che vigono per consuetudine tra i detenuti di fronte a tali crimini. Ecco perché molti magistrati evitano il carcere al clero pedofilo, anche perché le stesse celle di sicurezza non sono così ‘sicure’. Eppure gli altri pedofili, quelli che non appartengono al clero, vivono queste dure esperienze: perché i preti e i vescovi no? Sono ‘speciali’?!
Ma da cristiani crediamo nella possibile ‘conversione’ del peccatore, <<che si converta e viva>> però si dovrebbe rendere i pedofili incapaci di poter nuocere ancora. Attivando con le autorità ecclesiastiche, sistematicamente nei contesti di selezione del personale clericale, tutti quei meccanismi di valutazione utili a controllare ed escludere chi solo possa paventare, anche lontanamente, tendenze di questo genere. Ma anche qui, occorre – come nelle indagini su tutta la realtà cattolica italiana per i casi di pedofilia -, non porre alcun limite temporale ed affidare la selezione specialistica a commissioni indipendenti che possano dare una valutazione prettamente tecnica e precisamente idonea dei soggetti che si sentono ‘vocazionalmente chiamati’ al sacerdozio. Ciò va svolto in piena consapevolezza, lucidità e laicità. Perché l’occhio competente ‘esterno’ deve poter aiutare la Chiesa ad uscire da questa fanghiglia che non si sa quando sia iniziata e chissà mai quando finirà…nella quale sono mescolati anche personaggi arrivati in seminario con altre mire più mondane come fare carriera, cercare di arricchirsi, trovare uno stipendio… A causa di questi comportamenti non trasparenti dei vertici ecclesiastici i pedofili e molti altri sguazzano in ‘zone franche’, trovando ‘amici’ su cui contare, dove rifugiarsi e farsi proteggere. Il motto dei preti è quello di ‘lavare i panni sporchi in casa propria’, al fine di evitare altri scandali. Come se il silenzio, le coperture, gli insabbiamenti fossero utili a cancellare e a far regredire sia il problema e sia lo schifo provato dai fedeli e dal ‘mondo’ di fronte ai casi che emergono in molte nazioni. In Italia occorre fare tutto questo ‘a piene mani’, senza lasciare spazio alcuno alla tolleranza, ma cercare di depotenziare e bloccare, dal loro stato di violentatori e sfruttatori sessuali, tutti quei preti e vescovi e religiosi che sono imbrattati di tali nefandezze. Papa Francesco è arrivato a dire recentemente (cfr. VaticanNews, 9 luglio 2022) che <<la tolleranza zero contro gli abusi è irreversibile>>. Sperando che ciò valga anche concretamente per la Chiesa italiana!
Per cui la carità cristiana non dovrebbe fargli mancare l’attenzione e l’amore per aiutarli nel migliore dei modi, prima come persone e poi come appartenenti al clero della Chiesa Cattolica Romana. Ma, e c’è un ma, non dobbiamo dimenticare le vittime. E le vittime dovrebbero ‘sempre’ trovare una Chiesa pronta sia a chiedere scusa pubblicamente e ufficialmente, come pure lo debbono fare i singoli ecclesiastici pedofili. Inoltre, l’istituzione clericale dovrebbe partecipare all’aiuto concreto economico – se necessario e voluto -, delle vittime contribuendo al recupero socio-psicologico dell’abusato, del sopravvissuto, insomma di quelle vite umane giovani vittime dei preti e dei vescovi cattolici. Perché quando hanno compiuto quelle abominevoli opere di violenza le hanno compiute senza ‘interrompere’ il loro ‘essere prete’ e il loro ‘essere vescovo’, perché – come dice la Scrittura e la Tradizione – “tu sei sacerdote per sempre”(Gen 14,18-20). Ciò significa rimanere sempre e ‘per sempre’, ‘uomo di Dio’, che benché infangato e infangatore grazie al loro comportamento, questi restano, comunque, espressione istituzionale della Chiesa Cattolica e come tali coinvolti direttamente nel rappresentarla, anche se indegnamente.
Quindi, i passaggi civile ed ecclesiastico dovrebbero viaggiare su due binari che si sostengono vicendevolmente per aiutare tutti i soggetti coinvolti ed anche le due società interessate, quella ecclesiastico-ecclesiale e quella civile-sociale. Sia le une, sia le altre sono importanti perché l’una – da una parte – non accetta e non vuole per legge che certe violenze perpetrate ai danni di bambini e giovani di un Paese – che si voglia far chiamare ‘civile e di diritto’-, non debba ricercare e condannare i colpevoli. Dall’altra, anche la Chiesa italiana deve ancora cercare di fare un passo più evangelico…ed ecco cosa ci racconta al proposito la parabola del ‘buon samaritano’: <<…chi ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti(pedofili) – tanto da ‘portargli via tutto’(la bellezza della vita), prendendolo a bastonate(umiliazione) e poi se ne andarono (lasciandolo solo) e mezzo morto (sofferente)?, chiese Gesù al dottore della legge…>>(Lc 10,30). Ma occorre anche un passo più laico e civile collaborando con la magistratura italiana per agire verso anche una giustizia in mezzo agli uomini. La Chiesa Cattolica non può più tollerare questi comportamenti pedofili da parte dei suoi ‘ministri’, giustificandoli o ‘coprendoli’, o girando la testa dall’altra parte, quello che proprio Gesù non ha mai fatto e che lo stesso papa Francesco ci dice di non volere. Per cui è giusto che dopo il primo momento della giustizia civile, la Chiesa debba fare la sua parte fino in fondo e secondo verità, anche maturando un più intenso e capace aiuto fraterno infra-ecclesiale/ico, verso ‘i casi di pedofilia’ che ha in seno. Deve adoperarsi al fine di contribuire alla riabilitazione con amore cristiano, del ‘buon samaritano’, ma anche affrontando ogni singolo caso di pedofilia che già esiste o che salterà fuori, senza limiti temporali e senza interferenze verso nessuno, aprendo agli uomini, come a Dio, tutto quanto è utile a fare trasparenza totale nell’interesse del singolo e delle istituzioni, siano esse ecclesiastiche, siano civili e sociali. Come Chiesa occorre saper dimostrare ai fratelli di fede come pure ‘al mondo’ la nuova volontà di ‘fare giustizia nella verità’, senza salvaguardie, né offrire lasciapassare a nessuno, siano essi papi, ex papi, vescovi, preti, religiosi e laici…, anche se ‘innalzati’ sugli altari. Perché chiunque ha agito per ‘offendere’ l’altro che doveva e rappresenta(va) per lui l’Altro, cioè Gesù, ma l’ha abusato sfruttando anche il proprio ruolo privilegiato di clericale, deve passare per le maglie strettissime della giustizia civile, ma anche di quelle amorevoli ed altrettanto severe della comunità credente che vuole la ‘salvezza’ di tutti, senza però fare sconti a nessuno.
Piero Cappelli
Studioso di Scienze Religiose. Giornalista Scrittore e counselor
*Citiamo questo documento perché è ancora questo il riferimento formativo dei preti oggi e, domani, come vescovi. Ce lo dice l’articolo dell’Osservatore Romano del 20 maggio 2022 che nel raccontare il <<convegno del 9 maggio “Tra mistero e storia. La formazione permanente dei presbiteri”, organizzato e promosso dalla rivista di spiritualità pastorale Presbyteri con la collaborazione dell’Unione apostolica del clero. (Dicendoci che…) l’origine della formazione permanente del clero è riconducibile all’esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis di san Giovanni Paolo II , pubblicata nel 1992>>(il corsivo è nostro), che porta riferimenti dei documenti conciliari del Vaticano II.