di Emanuela Provera
L’Alta Corte di giustizia australiana ha prosciolto il cardinale George Pell dall’accusa di “gravi abusi sessuali” su minori, per i quali fu condannato nel 2019 a sei anni di carcere dal Tribunale australiano, ribaltando così anche il verdetto (non unanime) dei giudici che respinsero il ricorso in Appello.
Se l’esito assolutorio del processo sembra aver arginato il versante anticattolico che sperava in una condanna, l’assenza di misure risolutive contro la pedofilia clericale continua a lasciare sguarnita la tutela nei confronti delle vittime. E questo, almeno in Italia, accade sia in ambito civile che in ambito ecclesiastico.
Sin dall’inizio del processo, nel 2017, dopo la notifica del rinvio a giudizio, il cardinale George Pell, rinunciando all’immunità diplomatica, ha dichiarato la propria innocenza:
«Le notizie di queste accuse rafforzano la mia risolutezza e le procedure del tribunale mi offrono ora la possibilità di difendere il mio nome e tornare al mio lavoro a Roma».
A nulla valsero le invocazioni rimbalzate dai social e dai siti di tutto il mondo di applicare al porporato lo stesso provvedimento che Francesco adottò nei confronti del cardinale Theodore McCarrick, le dimissioni cioè dallo stato clericale, una sanzione canonica senza precedenti nei due millenni di storia della chiesa cattolica. Francesco concesse invece a Pell un congedo che gli consentì di tornare in Australia «per affrontare le accuse che gli sono state mosse». Una decisione oculata e opportuna.
La vicenda giudiziaria che ha coinvolto l’ex prefetto ha provocato un acceso confronto tra due contrapposte fazioni che hanno trasformato Pell prima in un orco carnefice poi in una vittima innocente; qualcuno ha creduto che la campagna infamante generata dal rinvio a giudizio, nel 2017, abbia condotto ad un processo governato da una “follia giustizialista”[1].
“Contemplare il Calvario da dietro le sbarre è credere che un’intera vita si possa giocare in pochi istanti, com’è accaduto al buon ladrone[2].”
Sono questi i sentimenti con cui la chiesa invita oggi i fedeli a meditare sul tema dell’ingiusta condanna legata al crimine di abuso sessuale: le parole sono tratte dall’introduzione alla Via Crucis di Francesco scritta per il venerdì santo 2020; contemporaneamente alla pubblicazione del testo arriva la notizia del proscioglimento da parte dell’Alta Corte australiana dalle accuse mosse nei confronti del cardinale George Pell.
I due testi si legano; Pell è assolto così come lo è stato il sacerdote la cui testimonianza è raccolta nell’undicesima stazione della Via Crucis:
“Sono rimasto appeso in croce per dieci anni: è stata la mia via crucis popolata di faldoni, sospetti, accuse, ingiurie”.
Poi l’assoluzione, con formula piena.
Le esigenze della giustizia, che nei casi sopramenzionati hanno reso un buon servizio alla verità dei fatti, non sono state però sufficienti a riscattare la condizione delle vittime di pedofilia clericale, che avrebbero anch’esse voluto trovare un posto tra le testimonianze di chi ha raccontato il proprio dolore.
Rinchiuso fino al 7 aprile 2020, nel carcere di sicurezza di Barwon, che ospita alcuni dei prigionieri più pericolosi dello stato australiano, Pell è stato considerato da una parte della stampa italiana vittima di un processo intentato con lo scopo di colpire la stabilità istituzionale del pontificato; nominato da Francesco prefetto della Segreteria per l’Economia della Santa Sede fu anche membro del C9, il Consiglio dei cardinali istituito dal papa nel 2013 con funzioni consuntive nel governo della chiesa cattolica; molto prima fu nominato cardinale da Karol Józef Wojtyła e nel 2005 partecipò al conclave che portò alla elezione di Benedetto XVI.
Anche in Australia la notizia dell’assoluzione di Pell ha soddisfatto il furore di quell’opinione pubblica che vede nel cardinale il simbolo di una chiesa perseguitata[3]: Pell ha subito un processo ingiusto, è un uomo buono, accusato sulla base di motivazioni politiche, si ringrazi Dio perché giustizia è fatta…
Per evitare un approccio fazioso della vicenda giudiziaria, conviene accostarsi alla lettura delle 320 pagine di decisione della Corte di Appello e alla sintesi del dispositivo della sentenza dell’Alta Corte australiana che lo ha invece assolto in via definitiva con l’unanimità dei consensi.
Sui testi processuali abbiamo chiesto un commento al professor Pierluigi Consorti[4]
«L’Alta Corte ha stabilito che i precedenti verdetti erano stati resi nella convinzione che non vi fossero “ragionevoli dubbi” sulla colpevolezza del cardinal Pell. La Corte ritiene invece che sussista il ragionevole dubbio circa la colpevolezza del porporato. Ciò significa che, secondo le regole processuali, la presunzione di innocenza prevale»
[1] https://www.ilfoglio.it/chiesa/2020/04/08/news/non-era-solo-un-innocente-in-galera-il-caso-pell-il-dreyfus-che-nessuno-voleva-vedere-311788/?underPaywall=true
[2] Introduzione “Via crucis 2020 Presieduta dal santo Padre Francesco Venerdì Santo Piazza San Pietro, 10 aprile 2020” Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano
[3] https://www.dailytelegraph.com.au/news/opinion/george-pell-a-good-priest-falsely-accused-through-a-politically-motivated-investigation-and-unfair-trial/news-story/e60c524bbe616eb95a3c73ebe9ed224a
[4] Professore ordinario nel Dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Pisa
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