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Home Film

Grazie a Dio: recensione del film di François Ozon

Redazione Web by Redazione Web
30 Ottobre 2019
in Film
Reading Time: 7 mins read
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Esce nelle sale italiane il film di Ozon premiato al Festival di Berlino

A due anni di distanza dallo scandalosissimo Doppio Amore, François Ozon decide di tornare sul grande schermo con un’altra opera d’impatto come Grazie a Dio. Il film, premiato dalla giuria al Festival di Berlino, tratta un tema delicatissimo come la pedofilia, prendendo spunto da una storia vera scoppiata nel 2014. Così l’opera, più che la narrazione di un racconto, tratteggia una testimonianza. Approfondiamo le tematiche di Grazie a Dio in questa nostra recensione.

Il vincitore dell’Orso d’argento a Berlino è una produzione ex aequo tra Francia e Belgio e arriva nelle nostre sale solo oggi. La pellicola si prefigura come un dramma che grazie alla bravura di Ozon, capace di rinunciare ai vezzi del cinema d’essai in virtù di un avvicinamento al cinema d’autore popolare, riesce a far ragionare riguardo al fenomeno degli abusi sui minori. Espressione di una cinematografia engagé e che per questo motivo ha accostato il film al già cult Il Caso Spotlight, Grazie a Dio è una pellicola con una sua identità. Essa infatti ha in comune col film di McCarthy solo la tematica, ma il risultato è completamente differente. L’opera qui considerata si prefigura ben congegnata, capace di ricostruire abilmente il caso Preynat, ma comunque non esente da difetti.

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La trama: Grazie a Dio

Alexandre Guérin (Melvil Poupaud) è un quarantenne padre di famiglia che vive a Lione, ma lavora a Parigi. Cattolico praticante educa i suoi figli nel rispetto delle pratiche religiose cristiane, ma un giorno viene a sapere che Bernard Preynat (Bernard Verley), il prete che lo aveva molestato da bambino, officia ancora messa ed è ancora a contatto con i bambini. Da questo momento in poi Alexandre, preoccupato per i piccoli e in primis per i suoi figli, deciderà di avviare una crociata personale.

In principio opterà, con un misto tra sdegno e speranza, per denunciare tutto al cardinal Barbarin (François Marthouret), che apprezza per il suo atteggiamento intransigente verso la pedofilia dei sacerdoti. Tuttavia ciò che ne emerge è sconfortante e raffigura bene la difesa stoica dei pedofili  e l’omertà all’interno del clero. Infatti dopo un fitto scambio di email Alexandre deciderà di incontrare colui che lo ha “insozzato nella carne”, ma non troverà né il pentimento né l’agognata redenzione.

Andata perduta così la fiducia nel cardinale, emergeranno invece la rabbia e l’indignazione di Alexandre, sentimenti che aveva represso durante la sua adolescenza. In tal modo il protagonista farà il primo passo verso la giustizia e denuncerà l’accaduto alla polizia. Successivamente con l’aiuto di François (Denis Mènochet) ed Emmanuel (Swann Arlaud), anche loro vittime degli abusi, considererà l’idea di rendere pubblica la responsabilità della Chiesa nell’affaire; in questo modo, con l’aumentare del numero delle denunce riguardanti le violenze subite, formeranno un associazione che deciderà di costituirsi in giudizio legale.

Le consuetudini e la responsabilità della Chiesa

In Grazie a Dio fin da subito spiccano la tematica della pedofilia e la correlata responsabilità della Chiesa. Tuttavia il film non si limita a segnalare gli abusi, ma cerca di esplorare il tema in maniera piuttosto sfaccettata e approfondita. Ora per Ozon non ci si può limitare ad una mera descrizione del problema, ma bisogna sviscerarne l’essenza. Pertanto il regista deve rivelare il meccanismo che rende effettivamente l’abuso sessuale un problema interno al chiericato, vale a dire una conseguenza intrinseca della sua stessa organizzazione simbolica. Un’organizzazione narrata con molta perizia e che si concentra prevalentemente su quello che potremmo chiamare, riecheggiando Slavoj Zizek, il “cuore di tenebra delle consuetudini”. Tutto ciò emerge lapalissianamente nella prima parte del film e in quelle che sono le figure del cardinal Barbarin e di padre Preynat.

Essi incarnano l’inconscio istituzionale che sostiene tutte le istituzioni e che si manifesta nell’identificazione anche dei loro lati oscuri. Chi non lo fa infatti diventa automaticamente un emarginato, un soggetto escluso dalla comunità. In questo caso quindi Barbarin potrà limitarsi ad un’ammissione minimizzatrice solo nei confronti delle vittime e all’interno dell’istituzione, ma non gli sarà mai consentita una confessione pubblica e la conseguente destituzione di padre Preynat. Quest’ultimo invece raffigura il prodotto del procedimento sovrariportato, in quanto da un lato è la vittima di questo sistema ecclesiastico, ma dall’altro è il carnefice di tanti piccoli innocenti.

In questo caso il regista coglie in pieno il paradosso della pedofilia nella Chiesa e la sua responsabilità. Quest’ultima nell’opera ha una duplice faccia: quella della mancata ammissione e dell’insabbiamento, ma anche quella della reiterazione del fenomeno mediante la messa a tacere degli scandali. Padre Preynat non si fermerà mai e questo anche per colpa dell’assenza di una punizione somministratagli fin dall’inizio.

Il contrasto credenza/ateismo e il rapporto familiare

Grazie a Dio evidenzia anche due punti fondamentali della denuncia delle vittime, vale a dire il contrasto credenza/ateismo e il rapporto familiare degli abusati. In primo luogo, per quanto si tratti tutto in maniera un po’ semplicistica, si denota la volontà di mettere in gioco la differenza tra il vivere la pedofilia da credente e il non viverla, tra l’abbandonare la fede per colpa dell’abuso o invece credere ancora nei dogmi cristiani.

Il film riproduce bene queste esperienze differenti e lo fa sopratutto tramite la caratterizzazione dei personaggi. Essi, per quanto stereotipati, in questo senso rappresentano le diverse attitudini alla fede. Infatti si va dall’ateo al fervente credente, passando infine per il cattolico non praticante. In tal modo il film riesce ad analizzare il contrasto tra il voler cambiare la Chiesa dall’interno o il volerla smantellare, nonché a rileggere platonicamente il conflitto tra giustizia e vendetta. In un certo senso così il film diventa corale, facendo entrare diversi tipi di testimonianze. Queste esplicitano le differenti influenze che gli abusi possono provocare nella maturazione di un individuo.

Il rapporto familiare è invece l’esemplificazione del sovvertimento dell’equilibrio costituito in seno alla famiglia, in quanto la decisione di uscire dal silenzio tende ad intaccare spesso i rapporti con i propri parenti. Dall’altro lato la famiglia, ovvero l’altra istituzione del film, in un certo senso si presta un po’ al gioco della Chiesa dal momento che spesso, per evitare lo scandalo e distruggere la normalità, decide di rimanere inerte davanti alla sacra istituzione. La comunità familiare, così come quella ecclesiastica, predilige quindi la normalità. La stessa normalità con cui beffardamente Barbarin pronuncia le parole che danno il titolo al film e che raffigura la scandalosa visione del problema da parte della Chiesa.

Il lato tecnico – Grazie a Dio recensione

Procediamo nella recensione di Grazie a Dio approfondendo il lato tecnico dell’opera. Tecnicamente l’opera risulta sicuramente ben interpretata e vede in Melvil Poupaud e François Marthouret dei buonissimi caratteristi. Inoltre è indubbia anche la pregevole caratterizzazione di Denis Menochet, ma più di tutti stupisce un istrionico Swann Arlaud. Egli non solo ci fa vivere il dramma interiore di questo personaggio, bensì risulta convincente anche nella rappresentazione fisica.

La regia di Grazie a Dio è molto buona e riesce sicuramente a fare un bel compendio tra la perizia tecnica, testimoniata soprattutto in apertura con piani sequenza e inquadrature di stampo godardiano, e il contenuto della narrazione. Molto interessante anche la scelta della lettura delle email con la voce fuori campo, la quale dona al tutto una dimensione più intima, quasi si tratti di una confessione. Tuttavia la scelta più brillante del comparto registico è da ritrovarsi nei flashback degli abusi dove la fotografia tocca le sue vette più alte. Allo stesso tempo la pellicola realizza una vera e propria trasformazione dei luoghi sacri in spazi esecrabili.

La scenografia è convincente e a tratti sorprende, così appunto come la fotografia. Grande pecca del film risulta essere invece la colonna sonora, a tratti impalpabile e per niente d’effetto. Inoltre la seconda parte della pellicola contiene alcuni errori di scrittura grossolani, i quali purtroppo intaccano quanto di buono fatto nella prima parte. Infatti il film ha il suo più grande difetto in un differenziale che viene a costituirsi tra prima e seconda parte del lungometraggio; questo da un lato è sicuramente un problema da imputare al montaggio, ma non preclude le responsabilità del regista.

Considerazioni finali: Grazie a Dio recensione

È necessario sottolineare come la pellicola si qualifichi come una buonissima opera filmica. Essa è capace non solo di riportare abilmente i fatti accaduti nel 2014 in Francia, ma riesce a far riflettere e pensare. Vi è poi da lodare la ricerca dell’opera di approcciarsi in maniera originale all’argomento trattato, ponendo in primo piano le vittime della pedofilia. Inoltre forse i 140 minuti del film sono un po’ troppi nell’economia dell’opera; visto e considerato che gli ultimi venti non aggiungono nulla alla ricostruzione storica dei fatti.

Concludendo la nostra recensione di Grazie a Dio si capisce come il film abbia avuto il consenso della critica, ma con un occhio più attento si possono trovare dei difetti, alcuni purtroppo anche importanti. Pertanto il film, pur ritagliandosi un suo spazio e risultando ben più che interessante, a tratti risulta deficitario e non riesce a tenere l’asticella alta. Per questo motivo la valutazione non può che essere buona, ma non ottima come la prima parte del film aveva fatto intravedere.

Grazie a Dio

https://www.filmpost.it/grazie-a-dio-recensione/

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