GRANDE INCHIESTA DI “PANORAMA”
Sono centinaia le vittime di preti pedofili, ma quasi sempre i vescovi hanno messo a tacere. Il settimanale racconta le loro storie
Sul settimanale, da oggi in edicola, la prima puntata dell’inchiesta sulla pedofilia che mette i vescovi sotto accusa. Si parte da Firenze, per decenni scabroso regno di don Cantini: un processo andato in prescrizione
di Antonio Rossitto
La curia di Firenze ha chiuso gli occhi davanti ai crimini dei suoi pastori. Il capoluogo toscano è stato silenzioso avamposto dei mali che hanno squassato la Chiesa: la pedofilia e le violenze sessuali.
Panorama, in edicola da oggi, ha raccolto prove e documenti inediti. Ha disseppellito faldoni giudiziari. Ha parlato con le vittime. Ha incrociato date e nomi. E la diocesi di Firenze è soltanto la punta di un iceberg: nelle prossime settimane, verranno svelate altre storie di colpevoli omissioni. Omertà e inerzie che hanno sterilizzato la giustizia penale, garantendo impunità ai rei. Grazie anche a un paradosso secolare: i vescovi italiani non hanno l’obbligo di denuncia penale. Un paravento dietro il quale troppe curie continuano a nascondere reati e oscenità.
Partiamo proprio dalla parrocchia Regina della Pace, periferia di Firenze, fino al 2004 scabroso regno di don Lelio Cantini. Qui, ricorda Panorama, si è consumato uno dei più gravi casi di abusi, fisici e morali, nella storia della Chiesa.
Decenni di violenze e segreti. E solo nel 2007 la Procura di Firenze aprirà un’indagine: accerterà i fatti, ma il processo contro don Cantini si estinguerà per prescrizione. Quelle donne, al tempo ragazzine, si chiamano M.V. oppure L.P. Sono decine. E le loro storie sono tutte, tragicamente, identiche. Conoscono don Cantini mentre si preparano alla prima comunione. C’è anche chi ha appena dieci anni: è una bambina. Il prete le chiama nella sua stanza, dopo il catechismo. Le tocca, le bacia. Poi si spoglia e le costringe a rapporti orali o completi.
“Dovete sentirvi privilegiate, scelte dal Signore”. Su quegli incontri, si raccomanda, nemmeno un fiato (…)
Già nel 1992, emerge dalle carte dell’inchiesta, viene denunciato un abuso sessuale al cardinale Silvano Piovanelli, allora arcivescovo di Firenze. Poi, di nuovo, nel 1995. Passano gli anni. Una vittima parla con un’altra. Qualcuno si libera dell’orrore. Chi l’ha seppellito per vergogna ritrova la forza. Nella primavera del 2005, dieci donne cominciano a stendere i loro memoriali. Li consegnano a Piovanelli. Gli chiedono di far da tramite con il suo successore: il cardinale Ennio Antonelli, oggi presidente emerito del Pontificio consiglio per la famiglia. Don Cantini, intanto, viene spostato nella canonica di Mucciano, a 30 chilometri da Firenze. Le vittime però aumentano. Continuano a cercare risposte. Fino a quando, il 20 marzo 2006, non decidono di inviare una lettera con 19 firme a papa Benedetto XVI. Alla missiva sono allegate quelle atroci testimonianze. Le vittime scrivono di essere state ascoltate il 28 febbraio 2006 da Antonelli, dopo “numerose richieste di intervento”. (…)
La risposta di Camillo Ruini, allora presidente della Conferenza episcopale italiana, è del primo aprile 2006. Panorama ne rivela il contenuto: “Alla luce della documentazione allegata, ho provveduto a prendere contatti con l’arcivescovo di Firenze (Antonelli, ndr), il quale mi ha assicurato che la vicenda è all’esame dei competenti organi della Santa Sede. Nel contempo, mi ha assicurato che il sacerdote ha lasciato la diocesi, non celebra pubblicamente l’eucaristia e si astiene dall’amministrare il sacramento della penitenza. Auspico che quanto disposto dall’autorità ecclesiastica rafforzi la comunione e infonda serenità nei fedeli coinvolti a vario titolo”. Nonostante la gravità dei fatti, il Vaticano non denuncia don Cantini. (…) Per le vittime è l’ennesimo sfregio. I fatti cominciano a trapelare. La notizia finisce sui giornali. E il 10 aprile 2007, finalmente, la Procura di Firenze apre un’inchiesta. Quattro giorni dopo, il 14 aprile 2007, il cardinale Antonelli interviene pubblicamente: “Nell’estate 2005 mi è pervenuto un dossier di lettere firmate, con accuse di gravi delitti nei confronti di don Lelio. Nel clamore mediatico finora ho taciuto, non perché volessi nascondere qualcosa, ma perché, prima di parlare, volevo confrontarmi e consigliarmi con alcuni autorevoli sacerdoti. (…) Comprendo che le vittime ritengano la punizione troppo leggera. (…) Ma la Chiesa deve mirare soprattutto al ravvedimento del peccatore e a cercare di vincere il male con la forza della mitezza”. Il cardinale si duole anche dell’eco avuto dal caso: “Ho letto recriminazioni perché la vicenda non è stata trattata apertamente, in pubblico, fin dall’inizio. Non mi pare che sia questo lo stile evangelico di trattare le persone, per quanto gravi siano i peccati di cui si siano rese responsabili. La procedura seguita risponde in tutto alla prassi stabilita dalla Santa Sede”. Lo “stile evangelico” impone, dunque, che i panni sporchi della Chiesa si lavino nelle case del Signore: la curia e il Vaticano.
La decisione, e i commenti di Antonelli, si trasformano in boomerang. Tanto che la diocesi è costretta a un’istruttoria supplementare, avviata il 30 giugno 2007. L’indagine dura un altro lunghissimo anno. Alla fine, il 12 ottobre 2008, Benedetto XVI decide la riduzione allo stato laicale di don Cantini. Dalla denuncia dei primi abusi sono passati 16 anni.
(trascrizione da La Verità del 21 novembre 2018)
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