Ma andrà comunque in carcere: niente affido in prova
di SALVATORE MANNINO DON BERTAGNA, l’abate pedofilo di Farneta poi ridotto allo stato laicale, chiede lo sconto. O meglio: lo chiedono per lui i suoi avvocati, Annelise Anania e Francesca Mafucci che hanno presentato ieri il ricorso in appello contro la sentenza di primo grado, quella che condanna l’ex sacerdote, ora volontario in una comunità terapeutica per tossicodipendenti, a otto anni di carcere. Singolare caso quello di un prete che ha confessato ben trentotto casi di violenza su minori (uno dei più grandi scandali sessuali nella storia della Chiesa italiana) e che si trova a essere difeso da due donne, ma anche di queste ironie della sorte è fatta la macchina della giustizia, che garantisce una tutela legale a tutti, anche ai colpevoli e anche con l’assistenza di due giovani avvocatesse assai sensibili agli abusi sui più deboli. Il ricorso non contesta i fatti. E’ stato lo stesso Pierangelo Bertagna, che i titoli di Don e di abate li ha persi al termine di un percorso concordato con il Vescovo Gualtiero Bassetti e il Vaticano, a dettare la linea: le violenze ci sono state e nessuno le nega, tantomeno l’autore che le ammise tutte in un interminabile racconto al Pm Ersilia Spena, dopo la crisi di coscienza maturata nell’eremo di Cerbaiolo in cui era stato rinchiuso agli arresti domiciliari. I carabinieri lo avevano portato via dall’abbazia di Farneta in una caldissima giornata di luglio, in seguito alla telefonata con una madre della zona nella quale aveva chiesto scusa per le molestie al figlio. LE ARGOMENTAZIONI delle due avvocatesse sono dunque tutte concentrate sul quantum di pena, che secondo il ricorso è eccessivo rispetto alle colpe. E’ troppo alta la pena base dalla quale è partito il Gip Simone Salcerini, spiega il ricorso, è troppo alto il calcolo che è stato fatto della continuazione (il meccanismo in base alla quale si sconta condanna piena solo per il primo episodio di una medesima serie criminosa, mentre per gli altri si aggiunge un tot prefissato), è sbagliata l’equivalenza che il giudice ha stabilito tra aggravanti e attenuanti. Queste ultime, dicono Anania e Mafucci, dovrebbero essere prevalenti, il che farebbe automaticamente scattare la riduzione di un terzo della pena. ECCO, LA PENA. A quanto scenderebbe se la corte d’appello accogliesse il ricorso? Le due avvocatesse fissano nelle loro dodici pagine d’appello anche un termine di confronto: i cinque anni del patteggiamento che era stato concordato con il Pm Spena e che fu poi respinto dal Gip Umberto Rana come non adeguatamente rappresentativo della gravità dei fatti. In ogni caso, persino se la condanna finale fosse quella auspicata dalla difesa, Bertagna non eviterebbe il carcere. Non ha diritto all’indulto (da cui sono esclusi i reati sessuali) e non può neppure essere affidato in prova ai servizi sociali. Lo vieta la legge per i casi di violenza. Se l’abate rinunciasse al ricorso in cassazione, le porte del penitenziario si aprirebbero per lui già dopo la sentenza d’appello. Fra un anno o giù di lì.
http://www.presstoday.com/_Standard/Articles/9029372
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