Le proteste nella capitale Santiago, il risentimento verso la Chiesa per i casi di pedofilia, la questione Mapuche, rendono difficile la trasferta del Pontefice che inizia lunedì
Doveva essere un tranquillo ritorno nella “sua” America Latina, in Paesi che conosce bene. Invece il viaggio in Cile e Perù che Francesco inizia lunedì 15 gennaio rischia di essere tra i più insidiosi del pontificato. L’occupazione della nunziatura rappresenta un pessimo segnale, dato che proprio lì Bergoglio dovrà alloggiare a Santiago. E anche gli attacchi incendiari alle chiese cattoliche ed evangeliche sono il segno di un malessere profondo, oltre che del fatto che gruppi di opposizione di matrice diversa intendono sfruttare mediaticamente la presenza del Pontefice.
I motivi dello scontento sono in effetti diversi come pure differenti sono i protagonisti delle proteste. Alcuni gruppi della minoranza Mapuches, pur non essendo di per sé ostili verso la Chiesa che molte volte li ha difesi, con le loro azioni violente vogliono ottenere maggiore visibilità. C’è chi sfrutta la polemica per i costi della visita papale, un argomento certamente non nuovo. Ma c’è anche un motivo di risentimento profondo verso i vescovi che attraversa la società cilena per la gestione dei casi di pedofilia.
Pesante e ancora irrisolta è situazione del vescovo di Osorno, Juan Barros, formatosi alla scuola del potente padre Fernando Karadima, riconosciuto colpevole di abusi su minori. Barros, che è stato nominato a Osorno da Papa Francesco dopo aver fatto per alcuni anni l’Ordinario militare, dice di non aver mai saputo nulla di quanto faceva il suo mentore. Ma la sua presenza in diocesi sta diventando insostenibile a motivo delle proteste popolari.
L’anno scorso un video registrato col telefonino a margine di un’udienza in piazza San Pietro ha messo in rete la risposta data da Francesco a una persona che gli chiedeva della situazione di Barros. Il Papa aveva difeso il vescovo, dicendo che non ha responsabilità. Ma ora l’Associated Press ha reso nota una lettera dello stesso Pontefice ai responsabili dell’episcopato cileno nella quale si diceva cosciente dei problemi e affermava che avrebbe preferito un’altra soluzione per Barros, almeno un anno sabbatico per lasciare decantare le polemiche. Nella stessa missiva Francesco sembra attribuire al nunzio apostolico in Cile qualche responsabilità, seppure involontaria, per il fallimento di questo sbocco.
La divulgazione della lettera a pochi giorni dall’inizio della visita ha l’effetto di dimostrare che il Papa oltre che essere ben cosciente dei problemi e pur avendo poi difeso la sua scelta di nominare Barros ad Osorno, avrebbe preferito un’altra opzione.
La Chiesa cilena, che al tempo della dittatura di Augusto Pinochet godeva di un grande prestigio per le sue coraggiose denunce in difesa della giustizia e dei diritti umani, oggi ha perso molta credibilità presso l’opinione pubblica. Per invertire la tendenza Francesco dovrà sapersi muovere anche al di fuori dei programmi prestabiliti e dei protocolli di una visita che si preannuncia difficile, nonostante le folle che immancabilmente lo accoglieranno con affetto.
http://www.lastampa.it/2018/01/13/vaticaninsider/ita/vaticano/cile-per-bergoglio-un-viaggio-insidioso-QuqwpWbWA4H0Er4GoeGeYO/pagina.html
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