Il consenso dell’uomo decisivo per non violare le norme che vietano i trattamenti sanitari obbligatori se non per legge. La misura è stata preferita alla richiesta della Procura di sorveglianza speciale ritenuta “inutilmente restrittiva sul piano della libertà individuale”.
Un percorso di recupero, cura e sostegno personalizzato da preferire alla sorveglianza speciale. Per la prima volta un Tribunale stabilisce l’obbligo di cura per un soggetto condannato per pedofilia che ha scontato la sua pena in carcere. Succede a Milano, dove i giudici della Sezione autonoma misure di prevenzione hanno disposto con decreto che un 41enne, dopo la scarcerazione, debba prendere contato col Presidio criminologico territoriale del Comune di Milano (dove opera un medico che già lo ebbe in cura nel carcere di Bollate), “per concordare un programma di osservazione e di trattamento finalizzato al contenimento e al superamento delle sue tendenze sessuofobe e pedofiliche con l’individuazione di un programma che sarà predisposto dagli operatori del presidio”. Necessario, però, il consenso del paziente.
Nel provvedimento, infatti, i giudici presieduti da Fabio Roia evidenziano come l’ok dell’uomo a questo percorso di cura sia decisivo per superare una violazione eventuale dell’articolo 32 della Costituzione, secondo il quale “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. L’uomo è stato condannato a 4 anni e 4 mesi per reati sessuali compiuti con minorenni. La Procura aveva chiesto l’applicazione di una misura di sorveglianza speciale della polizia, con l’obbligo di soggiorno o residenza nel comune di dimora per due anni dopo l’uscita dal carcere, prevista per quest’anno. Una richiesta, questa, basata su intercettazioni e su alcune relazioni stilate in carcere, l’ultima nel 2015, che confermavano l’attualità della sua tendenza pedofilica.
Il Tribunale l’ha però bocciata, ritenendo l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza “inutilmente restrittivo sul piano della libertà individuale”. Alle diverse prescrizioni tradizionali (come divieto di frequentare minorenni in solitudine) ha aggiunto quindi la novità dell’obbligo di cura. Nell’udienza per discutere le misure a cui sottoporlo, l’uomo aveva dichiarato di non sentire più pulsioni ma di essere disponibile a proseguire con un programma di osservazione e cura.
Nonostante siamo molte le richieste di assistenza da parte dei soggetti condannati per pedofilia, solo una minoranza accede alla struttura del Centro italiano per la promozione della mediazione (C.i.p.m.) di Milano dove un criminologo, Paolo Giulini, assieme alla collega Francesca Garbarino, lavora da anni nella Sezione crimini sessuali di Bollate e studia il percorso di recupero. Ed è qui che, ad esempio, già Salvatore ha firmato nei mesi scorsi “un contratto” con chi lo aiuta con il quale riconosce di essere un pericolo per la società. “Ero all’inferno – aveva raccontato a Repubblica – poi il mio avvocato mi ha parlato di una possibilità”.
Esistono dati scientifici sull’esperimento milanese: equiparando i comportamenti tra sessanta uomini che hanno frequentato un gruppo di aiuto (una delle articolazioni del progetto) e sessanta che non l’hanno frequentato, la recidiva sessuale per i primi si è dimezzata (l’8% invece del 16) e la recidiva con violenza ridotta di un terzo (18 contro 35%). Sono dati di alcuni mesi fa.
http://milano.repubblica.it/cronaca/2016/05/05/news/pedofilia-139164929/