Di Francesca Lagatta
“Non ci sia offesa nelle parole, mi sia scusato il dire”. Suona più o meno così la traduzione del titolo, volutamente in latino, volutamente provocatorio, per protestare contro una forma di censura che giustifica a pieno il 73° posto a cui è scivolata l’Italia nella classifica della libertà di stampa. Dietro a Paesi come il Burkina Faso e Niger, tanto per fare un esempio. E infatti in Italia si dice quel che si può, perché quel che non si deve si trova sempre il modo di non dirlo.
Il sito dell’associazione Rete L’ABUSO ONLUS, associazione nazionale contro la pedofilia clericale, nei giorni scorsi è stato raggiunto da un ultimatum inviato dai gestori del server 1and1: “O togliete quegli articoli – recitava la mail – o vi oscuriamo tra 48 ore”.
Gli articoli si riferiscono a quelli riguardanti Francesco Rutigliano, giovane prete incardinato presso la diocesi di Locri ma attualmente viceparroco in una chiesa di Civitavecchia. E’ stato il suo legale a farne richiesta escogitando la più astuta delle mosse, evitando di sporgere regolare querela per diffamazione nei confronti dei firmatari degli articoli, consci, entrambi, che finire in tribunale sarebbe la scelta meno opportuna.
Francesco Rutigliano per la legge italiana non è un pedofilo e forse non lo sarà mai. Anzi, è totalmente incensurato: sulla sua testa non pende alcuna condanna. Paradossalmente, invece, il suo nome è contenuto, secondo quanto si legge sul sito del Presidente Francesco Zanardi, in un documento dell’ex Sant’Uffizio. La Congregazione della Dottrina della Fede avrebbe dunque sospeso il prete dal servizio per 4 anni. Per abusi su minori.
Non bisogna andare molto indietro nel tempo, in questi giorni i casi dei giornalisti Gialuigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi parlano chiaro. I due cronisti denunciano ogni schifezza avvenuta entro le mura del Vaticano, ma la magistratura italiana non può intervenire cercando di capire se i misfatti elencati tra le pagine del libro siano veri oppure no, essendo il Vaticano uno Stato a sé, però il Vaticano può mettere sotto inchiesta i giornalisti italiani per aver diffuso documenti riservati, accusandoli di reati contro la patria. Libera Chiesa in libero Stato, ma nessuno Stato è libero laddove c’è la Chiesa.
E così succede per la pedofilia. Un prete non può essere accusato di pedofilia se la vittima non sporge denuncia alla magistratura entro 20 anni, anche se lo “condanna” in Tribunale Ecclesiastico. Così don Rutigliano chiede a Google il diritto all’oblio, scrive al Garante della Privacy ed esercita pressione sulla società del server per la rimozione dei contenuti che lo dipingono come un pedofilo. Ma non ci querela. Perché, oltretutto, il reato al quale si riferisce la sospensione della Curia non è ancora scaduto nei termini della prescrizione. E c’è il rischio che potrebbe aprirsi un nuovo processo. Rutigliano lo sa, aggira l’ostacolo e tenta la carta dell’intimidazione. Ma funziona solo con loro, non con noi, che gli articoli li abbiamo tolti solo per trasferirli su un server canadese, nell’America del Nord, dove generalmente viene punito chi i reati li commette e non chi li denuncia. E di sicuro non ci costringerà ad emigrare altrove.
E mentre lui continua indisturbato a dire messa, protetto dall’indifferenza delle istituzioni e dalla cecità mentale dei timorati di Dio, noi continuiamo la nostra battaglia nella speranza che prima o poi qualcuno in Italia si svegli, e, prima ancora del leone e la gazzella, corra a presentare una qualche legge che tuteli la verità e la libertà di stampa.
Francesca Lagatta, addetta stampa Rete L’ABUSO ONLUS
http://www.francescalagatta.it/chiesa-pedofilia-e-censura-absit-iniuria-verbis-sit-venia-verbo/
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