Quando i giornali italiani rilanciano in maniera enfatica e acritica le dichiarazioni roboanti di gerarchi della Chiesa contro la pedofilia, quando sentiamo un monsignore dichiarare convinto di voler fare pulizia fino in fondo, quando vengono elogiati i risultati di loro (presunte) commissioni d’inchiesta e si annunciano impegni ecclesiastici di vario genere nei confronti delle vittime, è bene sapere – perché molto spesso i giornalisti italiani dimenticano di informare i loro lettori – che la cosiddetta “giustizia” ecclesiastica si fonda sulla convinzione che il più violento dei crimini nei confronti di un bambino o una bambina sia prima di tutto un delitto contro la morale.
E come tale viene trattato: il punto per la Chiesa, quella italiana in particolare, come ho dimostrato sin dal 2010 documenti e testimonianze alla mano nei miei libri e in quello che ho scritto con Emanuela Provera, non è tanto evitare che un pedofilo ghermisca la sua preda ma che un prete e la sua vittima facciano del «male» a Dio. È questo che è intollerabile, sta qui la «tolleranza zero» di papa Francesco, tanto esaltata anche dalla stampa laica e progressista nostrana.
Si tratta di una visione umanamente inaccettabile, di cui l’Italia – uno Stato laico per Costituzione – non tiene conto nel tenere in vita il Concordato e l’articolo 4 in particolare che consente ai vescovi di non collaborare con la magistratura civile e costringe i magistrati a informare il vescovo quando viene aperto un fascicolo nei confronti di un suo sacerdote.
Cosa comporta questa situazione? Comporta che il prete pedofilo – che come tutti i pedofili è una persona gravemente malata di mente ma non di quelle che danno in escandescenza – sia lucidamente consapevole di poter agire pressoché indisturbato, potendo contare sulla “copertura” delle proprie istituzioni, e su un credito socialmente e politicamente riconosciuto molto più alto di qualsiasi altro membro della società civile.
Questo significa che la vittima durante la sua vita non dovrà combattere solo contro le conseguenze della violenza in sé, ma anche contro tutto ciò che un sacerdote rappresenta ancora oggi – spesso inspiegabilmente- nell’immaginario comune. E dovrà combattere contro l’istituzione religiosa, di cui il pedofilo fa parte, capace di condizionare in maniera profonda sia l’opinione pubblica che la politica con suoi onnipresenti organi di propaganda e informazione, al fine di preservare in primis l’immagine pubblica del papa. E poco importa a costoro se questo atteggiamento abbia come diretta conseguenza la lesione di un diritto umano fondamentale: la salute psicofisica della persona.
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