Dopo 32 anni dalla misteriosa scomparsa, la Procura di Roma mette la parola ‘fine’, chiedendo l’archiviazione del caso, su una dolorosa vicenda mai risolta e tuttora avvolta dal mistero: la scomparsa di Emanuela Orlandi, avvenuta il 22 giugno 1983. La cittadina vaticana figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia aveva 15 anni quando di lei si persero le tracce; e quello che inizialmente parve il momentaneo allontanamento da casa di un’adolescente, acquistò ben presto i contorni di un caso intricato, divenendo un giallo che ad oggi non ha ancora trovato soluzione. Emanuela sparì in circostanze misteriose.
Dopo essere uscita con dieci minuti di anticipo dalla lezione di musica che frequentava apiazza Santa Apollinare a Roma, in territorio vaticano, Emanuela quel giorno chiamò la sorella per dirle che le era stato proposto un lavoro di volantinaggio per l’azienda di cosmetici Avon, un lavoro ben pagato che stava meditando di accettare. Subito dopo incontrò un’amica che l’accompagnò alla fermata dell’autobus che l’avrebbe portata a casa, dove – come testimoniato da un vigile urbano – si fermò a parlare con un uomo a bordo di una Bmw nera sulla quale forse salì.
Da allora indagini, ricerche infruttuose e telefonate di depistaggio si susseguirono incessantemente, accendendo inizialmente le speranze della famiglia Orlandi per poi prendere la deriva della inattendibilità. Ricordiamo, tra le altre, la telefonata del 25 giugno fatta da un certo “Pierluigi”, che raccontò di due ragazze avvistate in Campo dei Fiori, una delle quali si chiamava ‘Barbara’, vendeva cosmetici ed aveva con sé un flauto. L’uomo diede particolari riconducibili ad Emanuela: disse che ‘Barbara’ si rifiutò di suonare il flauto perché si vergognava dei suoi occhiali ”a goccia, per correggere l’astigmatismo”. Pierluigi non fornì però elementi che permettessero di rintracciare Emanuela e rifiutò un incontro in Vaticano con uno zio della ragazza. Niente di fatto nemmeno con “Mario”, 35enne che contattò telefonicamente la famiglia Orlandi per dire di aver visto un uomo con due ragazze che vendevano cosmetici, una delle quali si chiamava”Barbara”.
La vicenda di Emanuela Orlandi fu ricollegata alla scomparsa quasi contemporanea (7 maggio 1983) di un’altra adolescente romana mai più ritrovata: Mirella Gregori, ed ha coinvolto lo Stato Italiano, il Vaticano, i servizi segreti e la Banda della Magliana. Durante questi anni di indagini, infatti, sono stati indagati 5 soggetti collegati a vario titolo alla banda della Magliana: Sergio Virtù, autista del boss Enrico De Pedis, Angelo Cassani, Gianfranco Cerboni e Sabrina Minardi, ex donna di De Pedis, la quale accusò del rapimento della Orlandi alcuni membri della banda criminale. Ci fu inoltre la pista dei presunti collegamenti con l’attentato a Giovanni Paolo II e le 16 telefonate di un misterioso uomo dall’accento straniero ribattezzato “l’Amerikano” che, facendo riferimento alla scomparsa di Emanuela Orlandi, rivelò di tenerla in ostaggio, auspicando l’intervento di papa Wojtyla e proponendo uno ‘scambio’ che chiedeva la liberazione di Ali Agca entro il 20 luglio. Gli sforzi investigativi durati 30 anni però non hanno portato a niente: ad oggi non risulta esserci alcuna traccia della cittadina vaticana, né è mai stato chiarito quale sia stata la natura della sua sparizione.
La Procura di Roma, dopo oltre 30 anni di indagini a vuoto, chiedendo l’archiviazione del caso ha escluso in 47 pagine di motivazioni il coinvolgimento della Banda Magliana nella sparizione della Orlandi, iscrivendo contestualmente nel registro degli indagati il fotografo Marco Accetti, indagato per calunnia e autocalunnia, in quanto si auto accusò di avere organizzato lui il doppio ‘finto’ rapimento di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori.
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