La Commissione Parlamentare d’Inchiesta sta iniziando a nutrire malumori contro Pietro Orlandi. Malumori causati non solo dalle accuse che Pietro sta lanciando contro la nomenclatura ecclesiastica, tacciandola di aver commesso chissà quale orribile delitto su sua sorella, ma anche contro la Procura Vaticana, definendo una farsa l’inchiesta ordinata da papa Francesco, senza sapere che la Santa Sede ha consegnato tutta la documentazione in suo possesso alla Procura di Roma già nell’aprile dell’anno scorso. Più di questo non può fare, perché Emanuela scomparve su territorio italiano. Quindi, le indagini spettano alla magistratura italica.
Ciononostante, gli attacchi contro il Vaticano da parte del fratello di Emanuela procedono senza sosta, rilevandosi però delle polpette avvelenate. L’ultima pista, la pista inglese, è stata dimostrata falsa da Sara Cordella, docente di Grafologia, che ha fatto notare come la firma del cardinale Ugo Poletti, apposta sui documenti che proverebbero la permanenza di Emanuela Orlandi a Londra, è un copia-incolla di una firma ripresa da altri documenti firmati dallo stesso Poletti e che non c’entrano nulla con la Orlandi. Un teorema, quello della pista londinese, peraltro messo in discussione dallo stesso presidente della Commissione, De Priamo, insieme alle presunte chat sui tombaroli pagati dalla Santa Sede per far sparire il corpo di Emanuela Orlandi. Insomma, sembra proprio che questa Commissione non abbia alcuna intenzione di farsi manipolare e condizionare dal fratello della Vatican Girl.
In questa vicenda che sta assumendo le sembianze di una vera e propria messinscena mediatica, con piste che cambiano un giorno sì e l’altro pure, c’è anche il disagio di alcuni commissari che hanno dato un’occhiata alla pagina Facebook che Pietro Orlandi ha aperto per parlare di sua sorella Emanuela, ormai ridotta a Brand Promozionale, e in cui si nota un profluvio di insulti, di calunnie e di diffamazioni lanciate dai fan di Pietro contro magistrati e giornalisti, colpevoli di non indagare nella direzione voluta dagli stessi discepoli di Pietro Orlandi: la pista vaticana.
Per citare un esempio, uno di questi accaniti ammiratori, un certo Antonio Ballarati, che si definisce appartenente alla confessione religiosa dei testimoni di Geova, si sta lasciando andare ad accuse contro il Vaticano usando un linguaggio verbale di inaudita violenza. Uno dei suoi commenti recita: “In Vaticano sono tutti criminali, pedofili e assassini. Hanno violentato e ucciso milioni di bambini in tutto il mondo”. Alla replica pacata di un altro utente che ha domandato: “Scusa, ma che prove hai per lanciare accuse così pesanti?”. L’uomo ha replicato in modo insolente: “Da tua nonna”. Commenti, leggibili sul profilo Facebook di Pietro, così violenti che lo stesso Pietro Orlandi, primo nemico del Vaticano, ha dovuto a volte cancellare per ritegno.
Tali accuse non sono sfuggite ai commissari parlamentari, facendo temere che quella pagina possa essere chiusa da un momento all’altro e che Pietro Orlandi possa essere querelato da non poche personalità, cosa che metterebbe in grave imbarazzo la stessa Commissione. Eventuali denunce contro Pietro Orlandi creerebbe un pericoloso cortocircuito tra Parlamento, Vaticano e magistratura italiana, con tutte le conseguenze del caso sotto il profilo politico. Le accuse più gravi di Pietro Orlandi non riguardano solo quelle lanciate contro i prelati, ma anche contro gli inquirenti, accusati di fare gli interessi del Vaticano, insinuando una loro eventuale corruzione.
Uno di questi inquirenti è il magistrato Giancarlo Capaldo, tacciato da Pietro Orlandi di aver intavolato una trattativa segreta con due capi della gendarmeria vaticana per la restituzione del corpo di Emanuela Orlandi. Come hanno fatto notare alcuni commissari parlamentari di professione avvocati, se davvero ci fosse stata una trattativa sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, Capaldo avrebbe dovuto far arrestare i gendarmi per omicidio e occultamento di cadavere. E se non lo avesse fatto, lui stesso sarebbe finito nei guai per complicità in un omicidio.
Del resto, lo stesso Capaldo, interrogato dalla Commissione, ha negato qualsiasi trattativa con il Vaticano. Ha dichiarato che due capi della gendarmeria si erano recati da lui per chiedere che la tomba di Enrico De Pedis venisse spostata dal cimitero di Sant’Apollinare-cimitero per altro situato su terra sconsacrata-per porre fine a voci che volevano che un criminale, seppur morto incensurato e assolto in tutti i processi che lo hanno riguardato, fosse stato seppellito lì per aver fatto chissà quale favore al cardinale Ugo Poletti. Al che Capaldo avrebbe risposto in modo sarcastico: “E voi in cambio che mi date? Mi fate sapere la verità su Emanuela Orlandi?”. E i due gendarmi, per nulla offesi dalle insinuazioni del magistrato, avrebbero risposto in modo altrettanto sarcastico: “Si, poi vedremo”. Un semplice scambio di battute fatto passare per chissà quale oscura trattativa. Insomma, ci sono abbastanza elementi da aver sollevato il presentimento, da parte della Commissione Parlamentare, che prima o poi qualcuno perda davvero la pazienza e trascini Pietro Orlandi in tribunale, sommergendolo di querele.
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