«Tutti si fidavano di lui». «No, molti sapevano e ora tacciono»
Francesco Lo Dico
Le loro vite erano separate da duecento metri. Giusto cinque minuti a piedi, tra via delle Botteghelle e via Heminghway, nel cuore del rione Incis di Ponticelli. Ma allora, nella seconda metà degli anni 80, nessuno dei due poteva immaginare che tanta vicinanza li avrebbe scagliati in un abisso trent’anni dopo. Da un parte lui, padre S. il presunto carnefice. Dall’altra Diego, presunta vittima dei suoi abusi. Cinque anni di violenze, che Diego Esposito (nome di fantasia) avrebbe subito dal sacerdote tra 1’87
e il 92, quando aveva appena undici anni. E che, denunciati a partire dal 2010 alla Curia di Napoli, sono rimasti dopo sei anni ancora inascoltati. Tanto che nell’esposto scritto al Papa lo scorso novembre, l’uomo ha accusato il cardinale Sepe di aver coperto il sacerdote. Un dolore profondo, quello di Diego, che ancora ieri ha provocato in lui un nuovo sussulto. Il comunicato emesso ieri dalla diocesi di Napoli in risposta alle sue accuse, ha riportato il suo nome autentico. Circostanza che ha spinto la rete L’Abuso, che da anni assiste Esposito nella sua battaglia, a chiedere alla Curia danni per un milione di euro.
A Ponticelli, don S. lo ricordano in molti. «Era alto, snello, sempre in completo scuro», racconta Adriana, titolare della
Pasticceria La Rocca. «Mi colpivano i suoi occhiali: una vistosa montatura dorata, tutta luccicante». Alla fine degli anni 80, insegnante di religione alla scuola media Borsi 2 di Ponticelli, padre S. amava circondarsi di giovani. «Era il mio professore di religione alle medie», racconta Michele, oggi poco più che quarantenne. «Tre di noi lo hanno avuto come insegnante. Siamo otto fratelli. Ma a noi non ha mai torto un capello, mai una parola di troppo». Michele ricorda che padre S. amava intrattenere gli studenti con un gioco. «Nominavamo a turno un qualunque Paese del mondo, e lui ci diceva qual era la Capitale. Un uomo coltissimo». Ma non tutti i quarantenni come Michele, del sacerdote custodiscono un bel ricordo. «Ero un suo chierichetto», sussurra un uomo che chiameremo Davide. Poi abbassa gli occhi, si porta il pugno alla bocca, e la sua rabbia erompe improvvisa: «Quel prete invitava i ragazzi a casa sua. È tutto vero quello che scrivono, è vero quello che ha fatto. Diego lo hanno fatto passare per pazzo. Ma io lo conosco da quand’era bambino. E se ora è pazzo c’è stato qualcuno che lo ha fatto impazzire».
Anche nel piccolo bar a pochi passi dall’abitazione del prete, non sembra esserci grande sorpresa per la denuncia di abusi sessuali lanciata da Diego Esposito. «Qui lo sanno tutti che cosa è successo, ma molti fanno finta di non sapere», spiega una donna alla cassa sui 60 anni. Ma la sorella, qualche anno più grande di lei, interviene pronta. «Don S. era un amico di famiglia, quando Diego andava a casa sua a fare i compiti, i genitori si sentivano tranquilli. Erano altri tempi». In fondo erano duecento metri, da casa di Diego a quella del parroco. Padre S. ha continuato ad abitarci fino a120l5. Ma oggi, in quella casa al primo piano all’interno di un grande stabile, le finestre sono sbarrate. Sul citofono c’è ancora il suo cognome, ma non risponde nessuno. «Padre S. ci abitava con la sorella fino a poco tempo fa», spiega un vicino. «Ma ora è vuota, è stata venduta di recente». Nell’86, Don Ciro Cocozza, ponticellese doc, era il parroco di Santa Maria delle Grazie. Ma a sentire il nome di padre S., suo vice di allora, e delle gravi accuse che gli ha mosso Esposito, sembra scosso da un fremito. «È per me una grave ferita – dice mentre si prepara a dire messa a Maria Santissima della Neve ¬comprenderà che non posso aggiungere altro». Nei dintorni della piccola chiesa di Porchiano, il nome di don S.M. evoca emozioni contrastanti. «Una brava persona, aiutava tutti», ripetono in molti. Ma nelle stradine intorno a Santa Maria delle Grazie, il signor Giuseppe (nome di fantasia) si sporge dal suo cancelletto incuriosito. Ha una settantina d’anni, tra i capelli ancora un po’ di nero. Fa segno di avvicinare i con le dita, poi inizia a parlare. «Oltre a Diego, c’è stato un altro ragazzo. Don S. lo ha cresciuto come un figlio. Da grande gli ha anche trovato lavoro in ospedale. A quel giovane voleva bene. Era buono quel sacerdote, ma aveva quel difettuccio … », dice mentre si guarda intorno. Un altro presunto caso di abusi? «Quella di padre S. era una malattia .
Una volta che si scatena, guarire è impossibile», mormora d’un fiato.
La moglie affiora come un’ombra dal portoncino di casa e tira il marito per un braccio. «Don S. era una brava persona – borbotta mentre agita le braccia. Se il Signore perdona, dobbiamo perdonare pure noi». La porta si richiude dietro di loro come uno schiaffo. A Ponticelli è calato il buio.
Da Il Mattino
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