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Home NEWS e CRONACA LOCALE

Pedofili, la prudenza della Cei e la tolleranza zero del papa

Federica Tourn by Federica Tourn
17 Ottobre 2022
in NEWS e CRONACA LOCALE
Reading Time: 5 mins read
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Federica Tourn Editoriale DOMANI – Per il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei (Conferenza episcopale italiana), l’appuntamento è tra un mese esatto. Il 18 novembre è la data scelta dai vescovi per la Giornata nazionale di preghiera della chiesa italiana per le vittime e i sopravvissuti agli abusi.

La ricorrenza coincide con la Giornata europea per la protezione dei minori e, nelle intenzioni della Cei, vorrebbe rimarcare la volontà di affrontare con decisione e trasparenza la questione delle violenze sessuali clericali.

A fine maggio, appena eletto presidente dei vescovi italiani, Zuppi aveva promesso proprio per il 18 novembre la presentazione del primo report della Cei sulla realtà dei Servizi diocesani e dei Centri di ascolto, e sulla loro diffusione ed efficacia nell’azione di accoglienza delle vittime e di prevenzione degli abusi. Sarà il giorno della verità sulla reale volontà di Zuppi di voltare pagina su un fenomeno trattato sempre come interno alla chiesa, sottovalutando l’allarme sociale che genera. E di allinearsi realmente alla linea molto più netta di papa Francesco.

LA VIA ITALIANA DI ZUPPI 

Zuppi si è presentato come innovatore, promuovendo una “via italiana” alla lotta agli abusi. Un programma che è stato criticato perché la Cei, invece di avviare un’indagine indipendente, come hanno fatto i vescovi in Francia, Germania e Portogallo, ha previsto soltanto un’inchiesta interna, oltretutto limitata ai dati forniti dal Dicastero per la dottrina della fede inerenti al periodo che va dal 2000 al 2021, e a quelli emersi dal lavoro degli sportelli di ascolto fra il 2020 e il 2021. Un arco di tempo decisamente ristretto, soprattutto se si considera che questi servizi non sono nemmeno disponibili in tutte le diocesi italiane.

Non solo: la stesura del report, che ha coinvolto «16 coordinatori per i Servizi regionali, 226 referenti per quelli diocesani e 96 responsabili dei Centri di ascolto», come ha comunicato la Cei, è stata affidata a una équipe dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. Ad elaborare i dati e a valutare il lavoro dei Servizi diocesani è dunque un’istituzione privata strettamente legata alla chiesa, dato che le università cattoliche sono regolate, fra le altre cose, dal Codice di Diritto Canonico.

Dove sta quindi l’indipendenza dell’analisi? Ancora una volta, a differenza di quanto lo stesso Zuppi aveva assicurato al momento della presentazione del programma di contrasto agli abusi, è la chiesa a giudicare sé stessa e il risultato rischia di essere un’analisi molto parziale della realtà degli abusi: un fenomeno pervasivo che le istituzioni ecclesiastiche hanno sempre teso a nascondere, prima negandolo e poi minimizzandone la portata, curandosi poco delle conseguenze per le vittime.

D’altronde Zuppi aveva assunto un atteggiamento assai prudente quando, appena eletto, aveva dichiarato nella conferenza stampa di chiusura dell’assemblea dei vescovi che i sacerdoti pedofili sono pur sempre parte della chiesa, descritta come una madre che non abbandona i suoi figli in difficoltà. Lasciando il dubbio che per proteggere questi “figli che sbagliano” si mettano in pericolo i bambini che frequentano gli oratori, le parrocchie o l’ora di religione a scuola; e si tuteli il buon nome del sacerdote e della chiesa anche a costo di risarcire le vittime tramite accordi privati con vincolo di riservatezza, come abbiamo raccontato il 10 ottobre scorso nella precedente puntata dell’inchiesta sulla violenza nella chiesa, provocando la reazione della Cei di cui abbiamo dato notizia ieri.

Uno dei fenomeni più preoccupanti a questo proposito è che molti di questi sacerdoti, anche dopo sentenze di colpevolezza, una volta scontata la pena si appellano al diritto all’oblio, chiedendo a testate giornalistiche e blog online di deindicizzare il proprio nome e la storia che li riguarda su internet.

Il prete che non vuole che il suo passato di pedofilo salti fuori a una rapida ricerca su Google, si rivolge a una società specializzata che si incarica di rifargli una reputazione sul web, rendendolo non direttamente rintracciabile sui motori di ricerca. Oppure chiede direttamente la cancellazione dei contenuti da media e social network con un ricorso al Garante della privacy, secondo l’articolo 17 del Regolamento europeo 2016/679.

Ma la pretesa di essere dimenticati è sempre accettabile? «Si tratta di un attento bilanciamentro fra il diritto all’oblio e il diritto all’informazione e il pubblico interesse – spiega l’avvocato Mario Caligiuri della Rete L’Abuso – soprattutto quando parliamo di soggetti che meritano una tutela particolare, come i minori. Per essere chiari: se un prete ha avuto una sentenza di violenza sessuale su un minorenne, ritengo che sia importante che rimanga segnalata, perché è interesse della collettività proteggersi dalla possibile reiterazione del reato del pedofilo».

La preoccupazione è ancora più forte per i pedofili che non hanno dovuto rispondere alla giustizia dello Stato grazie alla prescrizione. Che cosa sappiamo, infatti, dei sacerdoti che in seguito a denunce o segnalazioni vengono dirottati in altre parrocchie o in strutture protette dalla chiesa?

Papa Francesco ha più volte richiamato la chiesa alla trasparenza e alla segnalazione dei responsabili delle violenze sui minori, a partire dal motu proprio “Vos estis lux mundi”. Ne aveva riparlato qualche mese fa quando, con la costituzione apostolica “Praedicate Evangelium”, aveva incluso la Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori nella Curia romana, e più precisamente nell’ambito del Dicastero per la dottrina della fede, che si occupa anche di giudicare gli abusi sessuali del clero.

L’URLO DI BERGOGLIO 

«L’abuso, in ogni sua forma, è inaccettabile – ha detto Bergoglio durante l’udienza del 29 aprile con i membri della Commissione – L’abuso sessuale sui bambini è particolarmente grave perché offende la vita mentre sta sbocciando in quel momento. Invece di fiorire, la persona abusata viene ferita, a volte anche indelebilmente. Le persone abusate si sentono, a volte, come intrappolate tra la vita e la morte. Sono realtà che non possiamo rimuovere, per quanto risultino dolorose». Bergoglio ha esortato non solo la Commissione pontificia ma tutti i cattolici «a far conoscere queste ferite».

«Vescovi, superiori religiosi, presbiteri, diaconi, persone consacrate, catechisti, fedeli laici: ogni membro della chiesa, secondo il proprio stato, è chiamato ad assumersi la responsabilità di prevenire gli abusi e lavorare per la giustizia e la guarigione». È un tema che ritorna spesso nelle preoccupazioni del vescovo di Roma, che in una recente intervista alla Cnn portoghese ha ripetuto che la pedofilia clericale è «una mostruosità».

«Zero tolleranza sugli abusi», ha specificato il papa, che in quell’occasione ha aggiunto: «Un sacerdote non può rimanere prete se è un molestatore». Indicazione peraltro già presente nelle “Linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili” divulgate nel 2019 dalla Cei e dalla Conferenza superiore dei religiosi maggiori (che si occupa delle congregazioni religiose), dove si legge che un prete deve essere allontanato dal ministero, qualora sia «di pericolo per i minori e di scandalo per la comunità».

I PEDOFILI INDISTURBATI 

Eppure, sono tanti i sacerdoti che, con sentenze per abuso sui minori alle spalle o che hanno scampato la condanna penale soltanto grazie alla prescrizione, continuano a frequentare le parrocchie, dire messa e – cosa ancora più grave – insegnare catechismo ai ragazzini o gestire l’oratorio.

È il caso di don Giorgio Carli della diocesi di Bolzano-Bressanone, o di don Silverio Mura, condannato dal tribunale civile di Napoli a risarcire la sua vittima ma ancora incardinato formalmente nella diocesi partenopea. I casi che stiamo raccontanto nella nostra inchiesta finanziata dai lettori, non sono certo gli unici.

Tra sacerdoti assolti dai tribunali ecclesiastici o raggiunti da denunce per pedofilia e trasferiti dai vescovi in altre diocesi, l’elenco potrebbe essere lungo. Chissà se la Cei, per onorare la giornata del 18 novembre e rispondere agli appelli del papa sulla tolleranza zero, si rassegnerà ad aprire gli archivi e a rendere noti i nomi e gli incarichi attuali dei sacerdoti pedofili.

https://www.editorialedomani.it/fatti/pedofili-la-prudenza-della-cei-e-la-tolleranza-zero-del-papa-jm4lyhk3

 

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Federica Tourn

Federica Tourn è giornalista professionista; come freelance si è occupata soprattutto di migranti, religioni, diritti umani, mafie, femminismo. Ha scritto reportage da diversi paesi, dalla Siria al Libano, dalla Bosnia all’Ucraina; ha collaborato fra gli altri con Diario, D Repubblica, Il Manifesto, Left, Rolling Stone, Vanity Fair, Marie Claire, Famiglia Cristiana, Pagina99, Eastwest, FQ Millennium, Huffington Post UK, Geographical. Insieme ad altre donne, nel 2007 ha pubblicato per l’editrice Claudiana La Parola e le pratiche. Donne protestanti e femminismi e nel 2020 per le edizioni Aut Aut ha scritto Rovesciare il mondo. I movimenti delle donne e la politica. Su Jesus cura le rubriche “Ecumene” e “Le Straniere”. Per Domani dal 2022 si occupa dell’inchiesta sulla violenza nella Chiesa cattolica. Nel 2020 ha vinto la prima edizione del  “Piazza Grande Religion Journalism Award”, organizzato dall’Iarj, l’Associazione internazionale di giornalisti religiosi, e nel 2023 la seconda edizione del Premio Mimmo Cándito-Per un giornalismo a testa alta.

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