Un dossier sulla pedofilia nella Chiesa cattolica: due interviste (a Federico Tulli e Francesco Zanardi) e la posizione di «Noi siamo Chiesa»
Le interviste – di Carlotta Pedrazzini – a Federico Tulli e Francesco Zanardi sono riprese dal numero di maggio di «A rivista anarchica».
Federico Tulli, giornalista e redattore di “Left”, racconta di come la chiesa sia da sempre impegnata a coprire il fenomeno, numericamente mostruoso, delle violenze sessuali su minori commesse dai sacerdoti. Per la chiesa, e per il suo capo Jorge Mario Bergoglio, l’abuso di un bambino è un peccato di lussuria indotto dal diavolo. Non una violenza contro un essere umano. E della responsabilità individuale dei sacerdoti (e di quella collettiva della chiesa) non c’è traccia.
Carlotta – Sei stato il primo e unico giornalista ad aver condotto un’inchiesta completa sui casi italiani di pedofilia nella chiesa. Su quest’inchiesta è uscito il libro Chiesa e pedofilia. Il caso italiano(L’asino d’oro edizioni, 2014). Ora hai firmato un nuovo libro-inchiesta che racconta cosa succede agli uomini e alle donne di chiesa che il Vaticano considera “in difficoltà”, ossia pedofili, stalker, assassini. Cosa rivela il tuo ultimo lavoro?
Federico – Questo libro, scritto con Emanuela Provera, s’intitola Giustizia divina (Chiarelettere, 2018). Si tratta di un’inchiesta sul modo in cui la chiesa esercita l’azione penale nei confronti dei sacerdoti che compiono reati, ma in realtà si tratta anche di un’inchiesta su come lo stato italiano esercita l’azione penale nei confronti dei sacerdoti.
Siamo partiti da due domande: quanti sono i sacerdoti in carcere in questo momento in Italia e che tipo di reati hanno compiuto? Queste domande ce le siamo poste nel 2015 e l’inchiesta è durata praticamente quasi tre anni. Le domande le abbiamo rivolte al DAP (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) che è l’organo del ministero di giustizia che si occupa di monitorare, anche a livello statistico, la popolazione carceraria. Ma la cosa interessante è che il DAP non ci rispondeva, nonostante avesse l’obbligo di farlo.
Alla fine, dopo due mesi dalla nostra richiesta, la risposta è arrivata e diceva che il dipartimento non aveva quel tipo di informazione. Come se il DAP non conoscesse la professione che svolgevano i detenuti prima di entrare in prigione. Abbiamo insistito per un anno e mezzo, perché sapevamo che il dato c’era. A un certo punto abbiamo ricevuto l’autorizzazione a rivolgerci direttamente ai 190 istituti di pena da noi individuati in Italia, e in un anno e mezzo siamo riusciti a ottenere una risposta da 125 amministrazioni carcerarie. In 70 non ci hanno mai risposto sebbene fossero obbligati a fornirci questo dato, richiesto in osservanza della privacy. Avremmo potuto insistere con una diffida ma abbiamo preferito non andare oltre.
Cosa emergeva dai dati?
I dati che avevamo raccolto dicevano che in carcere in Italia, tra il 2016 e il 2017, c’erano cinque sacerdoti e solo uno era rinchiuso per pedofilia. Un solo sacerdote in carcere in Italia per pedofilia ci sembrava un numero assolutamente esiguo e non rispondente alla realtà. Da fonti certe, infatti, sapevamo che ce n’erano almeno otto ed era possibile che si trovassero negli istituti che avevano preferito non risponderci. Comunque abbiamo confrontato questo dato con un altro; sapevamo che negli ultimi quindici anni in Italia sono stati denunciati per pedofilia circa trecento sacerdoti, e di questi almeno centoquaranta sono stati condannati dalla magistratura civile in via definitiva per abusi su minori. La fonte di questo dato è la Rete L’Abuso. A questo punto la domanda che ci siamo fatti è stata: dove sono tutte queste persone condannate per abusi su minori, visto che non sono in carcere? Da questo interrogativo è partita la seconda parte dell’inchiesta.
Lo stimolo ci è venuto da un film di Pablo Larrain, Il club, che si svolge interamente in una casa molto isolata dove all’interno ci sono cinque sacerdoti, uno di questi è un pedofilo, uno ha collaborato con la dittatura di Pinochet, uno ha il vizio delle scommesse, uno è cleptomane e un altro è omosessuale. Questa struttura era utilizzata dalla chiesa cilena per far espiare le pene ai sacerdoti peccatori; questi rimanevano all’interno della struttura per un tempo non definito, lontano da occhi indiscreti, non denunciati alla magistratura civile.
Vedendo quel film ci siamo chiesti: ma non sarà che quel tipo di struttura si trova anche in Italia ed è lì che vengono sistemati i sacerdoti che non abbiamo trovato in carcere? In estrema sintesi, la risposta è sì.
Quindi cosa avete fatto? Vi siete messi alla ricerca delle strutture?
Sì, con Emanuela ci siamo messi alla ricerca per tutto il paese e abbiamo realizzato il reportage che costituisce la spina dorsale del nostro libro. Anche questa, come l’inchiesta nelle carceri, è un’indagine giornalistica inedita. Abbiamo trovato diciotto strutture, ma sappiamo che ce ne sono almeno venti o ventuno. Nelle sole città di Milano e Roma ce ne sono molte.
In questi luoghi, come nel film di Larrain, la chiesa italiana sistema quelli che il Vaticano chiama “sacerdoti in difficoltà”, è questa la dizione ufficiale.
Si tratta di case di cura, spirituale e psicologica, in cui vengono sistemati anche i sacerdoti che hanno compiuto abusi sessuali su minori. Per quanto riguarda la pedofilia, abbiamo scoperto che in queste strutture transitano tre tipologie di sacerdoti che hanno compiuto abusi: quelli per cui la magistratura italiana autorizza misure alternative al carcere; quelli che sono lì perché la giustizia ecclesiastica li ha condannati per abusi e utilizza queste strutture per assisterli e curarli dal punto di vista spirituale – perché per la chiesa l’abuso è un peccato, un delitto contro la morale, un’offesa a dio e non un crimine violentissimo contro persone inermi – e poi dal punto di vista psichiatrico – perché la chiesa ha colto che un adulto che violenta un bambino è affetto da una grave patologia mentale; e poi ci sono quei sacerdoti che hanno compiuto abusi ma non sono stati denunciati né alla magistratura ecclesiastica né a quella italiana, perché magari hanno confessato o chiesto aiuto a un altro parroco e per questo sono stati mandati in quelle strutture, il tutto in gran segreto.
Si tratta di veri e propri casi di insabbiamento, una pratica piuttosto diffusa in Italia; per questo una parte dell’inchiesta l’abbiamo dedicata alla ricostruzione di queste dinamiche nascoste.
La chiesa mantiene tutto segreto perché considera l’abuso di minore un’offesa a dio e non una violenza a un essere umano, quindi ritiene di giudicarlo secondo la giustizia divina e non secondo quella terrena. Per la chiesa, la giustizia terrena viene molto dopo. Nel caso italiano non viene mai. I vescovi italiani non hanno mai collaborato e al momento continuano a non collaborare.
Come si spiega, secondo te, l’altissima incidenza di casi di pedofilia nella chiesa, un’incidenza che sappiamo essere maggiore rispetto alla pedofilia nella società civile? È possibile che sia legata anche al modo in cui la chiesa cattolica concepisce i bambini e la violenza su di loro, ossia – come hai detto prima – un peccato commesso nei confronti di dio e non un atto violento contro degli esseri umani?
La pedofilia ovviamente è un tipo di violenza che esiste anche nella società civile e spesso avviene in ambito famigliare. Consiste nell’annullamento della realtà umana del bambino e si fonda sull’idea che il bambino abbia una sessualità.
I pedofili credono che l’abbraccio o l’effusione di un bambino sia un’espressione di desiderio o una richiesta di atto sessuale. Ma noi sappiamo bene che nel periodo prepubere, in cui gli organi genitali non sono ancora completamente formati, anche l’identità sessuale non è completamente formata; per questo motivo, fino a quando questo non avviene, l’adulto che si avvicina a un bambino in un certo modo, compie una violenza di carattere psicologico e fisico.
Nel primo libro Chiesa e pedofilia (L’asino d’oro edizioni, 2010) ho parlato delle conseguenze sulla vittima di abusi sessuali, e per farlo mi sono rivolto a degli psichiatri. Quello che mi ha colpito maggiormente è stata la spiegazione che ha dato uno di loro: ciò che subisce un bambino vittima di violenza sessuale è un omicidio psichico, perché il pedofilo attacca la possibilità di realizzare la propria identità sessuale durante la pubertà e gliela distrugge. E siccome l’identità sessuale è una delle caratteristiche dell’essere umano, quando una persona se la sente distrutta, può anche arrivare al suicidio. Quindi la pedofilia, oltre ad essere omicidio psichico, può diventare anche omicidio in tutti i sensi. È come se il bambino non esistesse La pedofilia di matrice ecclesiastica ha delle sue peculiarità. Per la chiesa, infatti, l’abuso è un peccato. È un delitto contro la morale, è un’offesa a dio, è la violazione del sesto comandamento “Non commettere atti impuri”. Per cui, in sostanza, la vera vittima in un caso di abuso di minore è dio, non la persona violentata; se la violenza avviene durante la confessione, come spesso succede, è il sacramento ad essere stato violato, non l’essere umano, non il bambino. Molte violenze avvengono durante la confessione proprio perché c’è il vincolo di segretezza e tutto quello che avviene durante la confessione è sottoposto al segreto pontificio, e anche le violenze, anche gli stupri, non possono essere rivelati se non al vescovo che poi parlerà col papa. Nelle leggi vaticane e nella mentalità della chiesa è come se il bambino non esistesse. Voi l’avete scritto in uno degli scorsi numeri di “A”, che in Italia la violenza sessuale contro la donna e contro un bambino è stata considerata un delitto contro la morale fino al 1996, e quella era chiaramente una legge che veniva dal codice Rocco, che era fascista e grondava di mentalità cattolica.
Questa mentalità la riscontriamo ancora nei tribunali, dove in caso di violenza sulla donna c’è sempre l’idea che sia la donna ad aver istigato in qualche modo la violenza dell’uomo che non ha potuto trattenersi, e questo succede anche con i bambini.
Questa cosa però viene detta troppo poco. In ambito clericale, nei casi di stupro di minori, c’è l’idea che sia il bambino ad aver istigato il sant’uomo; c’è l’idea che in quell’atto sia subentrata l’azione del diavolo, una cosa che ha detto anche Bergoglio durante il sinodo sulla pedofilia.
Questo famoso papa progressista è convinto, come lo era Paolo VI, che il diavolo sia una persona che agisce per distruggere la chiesa, e che la pedofilia sia uno dei modi in cui la chiesa viene attaccata.
In questo modo di ragionare scompare completamente la lesione subita dalla vittima. Ma soprattutto c’è la giustificazione di chi ha violentato, perché ha agito spinto dall’influenza del diavolo, da una forza esterna. Così si nega ogni responsabilità personale.
Una deresponsabilizzazione che ritroviamo in varie dichiarazioni di Bergoglio. Ad esempio, in seguito al summit sulla pedofilia, tenutosi in Vaticano dal 21 al 24 febbraio 2019, il papa ha dichiarato che è giusto approfondire i casi di pedofilia, ma al contempo ha sottolineato che la pedofilia non appartiene soltanto alla chiesa. Per il momento in cui è stata fatta e per il contenuto, la dichiarazione è suonata come un tentativo della chiesa di non farsi carico di un fatto oggettivo, cioè che l’incidenza della pedofilia nella chiesa è maggiore rispetto alla pedofilia nella società civile.
È assolutamente così. Ad agosto scorso, Hans Zollner, psicologo membro della Pontificia commissione per la tutela dei minori che esiste dal 2014, ha rilasciato un’intervista all’agenzia dei vescovi (SIR) in cui dichiarava che negli Stati Uniti, dal 1950 al 2002, tra il 4 e il 6% della popolazione ecclesiastica ha compiuto almeno un abuso su minori.
E si è rivolto poi alla chiesa italiana dicendo di non pensare che da noi la situazione sia diversa, quindi è bene correre ai ripari. Questo significa che nella santa sede, a certi livelli, si ha un’idea di quale sia la diffusione del fenomeno in Italia.
Il 4-6% è una percentuale mostruosa. Nel libro abbiamo fatto un confronto e siamo andati a contare le persone che sono in carcere per reati di natura sessuale contro minori; si tratta di circa 1200 persone; 1200 su una popolazione adulta di circa 47 milioni significa circa lo 0,025%. Dallo 0,025% della società civile al 4-6% della chiesa cattolica significa circa 200 volte in più, uno scarto gigantesco. Comunque in Italia non esistono dati ufficiali sulla diffusione del fenomeno della pedofilia, anche nella società civile, e quindi ci si chiede come si possa fare prevenzione se non si ha nemmeno la percezione corretta del fenomeno. E questo vale per la società laica e per quella ecclesiastica. Quello che ha dichiarato Zollner mi è sembrato d’importanza fondamentale.
Prima hai accennato alla questione del diavolo. Hai detto che con Bergoglio c’è stato un ritorno al passato, un ritorno all’antropomorfizzazione della figura del diavolo, che si incarna per rovinare la chiesa. Voi come avete affrontato la questione del ritorno del diavolo, un argomento che sembra essere utile alla chiesa per risolvere e spiegare tutta una serie di problemi?
Il capo dell’Associazione internazionale esorcisti, ad un certo punto, ha dichiarato che mai nessuno come papa Francesco ha nominato il diavolo nel corso del suo magistero. E in effetti, andando a rivedere i documenti ufficiali, già dalla prima settimana, Bergoglio ha cominciato a riportare, nel linguaggio comune delle sue omelie, allusioni continue all’esistenza del diavolo come persona. L’ha nominato decine e decine di volte. Quello che ci ha colpito, lo raccontiamo nel terzo capitolo del libro-inchiesta – e anche questa è un’indagine mai fatta prima da qualcuno e che abbiamo svolto sul “campo” a viso aperto, senza cioè nascondere la nostra identità e le nostre intenzioni – è che lui non l’ha fatto solo in quanto capo della chiesa cattolica; ad Assisi, davanti a una platea di cinquecento capi di stato e di presidenti del consiglio di tutto il mondo, ha parlato del diavolo come responsabile di guerre e carestie. In quell’occasione parlava nella veste di capo di stato, quindi anche da capo politico Bergoglio ha introdotto questo tipo di discorso. Questo è il modo in cui lui decifra certe questioni, che all’interno della chiesa sono molto critiche.
È stato sempre Bergoglio a riconoscere e dare un bollino di qualità all’Associazione internazionale degli esorcisti, e questo è un altro segnale molto interessante.
Nel 2014 l’ha riconosciuta come organo ufficiale all’interno della chiesa. Quest’associazione, a livello mondiale, si compone di circa 300-400 esorcisti, di cui 240 si trovano in Italia. In Spagna ce ne sono circa 12, in Lombardia circa 20. E in Lombardia c’è anche un numero verde per posseduti, con un call center che risponde dal lunedì al venerdì.
Per scrivere la terza parte della nostra inchiesta, dedicata appunto al diavolo, siamo andati a frequentare un master di esorcismo che si tiene a Roma ogni primavera. Nel frattempo, da quando è uscito il libro, il MIUR ha proposto agli insegnanti un corso di esorcismo dal costo di 400 euro, per individuare e distinguere eventuali ragazzini problematici dai ragazzini posseduti.
Qual è il senso, secondo te, di far frequentare un corso di esorcismo agli insegnanti?
La partecipazione degli insegnanti al corso di esorcismo fa il paio con un’altra cosa inquietante che riguarda i cosiddetti bambini iperattivi. Se un bambino è particolarmente vivace, adesso si tende ad inquadrarlo all’interno di una fantomatica sindrome di iperattività che può anche comportare una cura a livello farmacologico. Il corso di esorcismo vuole mettere l’insegnante in condizione di distinguere quando c’è un sintomo di disagio psichico e quando c’è la presenza del demonio. La chiesa infatti, molto abilmente, fa una distinzione. Non parla sempre di possessione demoniaca. Fino a un certo punto parla di disagio psichico, poi se la persona presenta determinate caratteristiche, allora parla di possessione demoniaca.
Le caratteristiche della possessione demoniaca secondo la chiesa sono proprio quelle dei film: il posseduto parla una lingua a lui sconosciuta, è in possesso di una forza sovrumana e riesce a fare cose, a livello fisico, che normalmente non potrebbe fare.
“I bambini abusati sono strumento del demonio”
Perché avete seguito il master di esorcismo?
Perché tra i docenti di quel corso ci sono magistrati, docenti universitari, avvocati, anche una poliziotta della squadra anti-sette sataniche. Siamo andati a quel corso proprio per capire come mai tra i docenti ci fossero magistrati, avvocati e poliziotti, e più di tutti ci hanno colpito due persone. Uno è un magistrato, che un paio di mesi fa è stato arrestato per corruzione, e che al corso ha esordito dicendo di sentirsi uno strumento della giustizia nelle mani di dio. La sua presenza al master, ha dichiarato, aveva lo scopo di aiutare i futuri esorcisti a evitare denunce da parte delle persone esorcizzate. Lo stesso faceva un’avvocatessa che aveva preparato una manleva per gli esorcisti da far firmare alla persona posseduta prima dell’esorcismo, praticamente per sollevare da qualunque responsabilità l’esorcista e i suoi aiutanti in caso di denunce per violenze e costrizioni fisiche.
Nella nostra inchiesta ci siamo occupati di esorcismo anche per un altro motivo, per l’idea e la mentalità della chiesa di ritenere il bambino abusato come strumento del demonio; quindi, se il sacerdote compie quello che per la chiesa è un atto sessuale e non una violenza, quella violenza viene considerata un peccato di lussuria determinato dall’azione del demonio attraverso il bambino.
Frequentando il master di esorcismo abbiamo anche scoperto che la stragrande maggioranza delle persone esorcizzate sono donne. Un dato scontato se si considera che tipo di società sia quella ecclesiastica.
La ripresa del diavolo serve chiaramente a sollevare i sacerdoti da ogni responsabilità. Inoltre, da quello che racconti – cioè dal fatto che siano le donne ad essere maggiormente vittime di esorcismi e dal fatto che, per la chiesa, i bambini necessitino di essere controllati perché è possibile che siano posseduti – si capisce come il diavolo venga utilizzato anche come mezzo di repressione e punizione.
Nel documentario Liberami c’è una scena in cui due genitori portano il figlio dall’esorcista perché a scuola fa casino, è troppo agitato e non è bravo. Il sacerdote mette la mano sulla testa del bambino, poi si gira di scatto verso la madre e dice: è colpa tua, non sei una donna di fede e in chiesa non ci vai. In un secondo il sacerdote ha distrutto al bambino l’immagine della madre e ha detto alla donna che il diavolo è dentro di lei. E questa è proprio l’idea che la chiesa ha della donna.
La stampa e lo stato sono complici
Alla luce di tutto questo, com’è possibile che Bergoglio riesca comunque a essere considerato un papa progressista?
La stampa italiana riporta in maniera assolutamente acritica quello che esce dai bollettini Vaticani.
Non c’è mai una verifica di quello che dice il papa. E così non si scoprirà mai che Bergoglio parla di “tolleranza zero” per i pedofili, ma in realtà ritiene che il sacerdote pedofilo abbia solo compiuto un peccato; che se il peccato è grave e non c’è possibilità di espiazione, allora quel sacerdote viene espulso dalla chiesa, ma siccome tutto avviene in gran segreto, la chiesa espelle dal proprio organismo una metastasi che viene immessa nella società civile senza che si sappia che quel signore lì è un pedofilo. La chiesa lo sa, ma non lo dice a nessuno. E quel signore lì, che ora non è più sacerdote, rimane comunque pedofilo anche dopo essere uscito dalla chiesa e ora si aggira per la società.
In questo c’è proprio la complicità dello stato, perché il Concordato tutela tutto questo, questa modalità di agire. L’articolo 4 del Concordato dice che l’autorità ecclesiastica non è tenuta a informare quella civile quando viene a sapere di eventuali reati compiuti da sacerdoti.
Quindi lo stato è complice della chiesa. Idem la stampa italiana, che si accontenta di sentir dire da Bergoglio “tolleranza zero” senza farsi domande e presentandolo come paladino della lotta contro la pedofilia. Ma per essere paladini, si deve anche fare qualcosa e Bergoglio non lo sta facendo.
Federico Tulli è redattore del settimanale “Left”. Già condirettore di “Cronache laiche”, collabora con “MicroMega”, per cui firma anche un blog, con “Critica liberale” e con “Globalist”. Con L’Asino d’oro edizioni ha pubblicato i libri: Chiesa e pedofilia (2010), Chiesa e pedofilia, il caso italiano (2014) e Figli rubati. L’Italia, la Chiesa e i desaparecidos (2015). Nel 2018 per Chiarelettere, insieme a Emanuela Provera, ha pubblicato Giustizia divina.
Di Federico Tulli abbiamo pubblicato un’intervista fatta da Francesca Palazzi Arduini (“A” 409, estate 2016) e un articolo sulla comunicazione vaticana (“A” 416, maggio 2017).
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