In questi tempi di falsificazione, chiarezza e verità sono rivoluzionarie. Ma per ottenerle servono fatti empirici da analizzare, dati certi da consultare. E per quanto riguarda i casi italiani di pedofilia nella chiesa, questi due elementi mancano. Non ci sono. Nessun dato ufficiale, solo il risultato di inchieste giornalistiche fatte negli ultimi anni (in Italia, principalmente dal giornalista Federico Tulli), a cui si aggiunge l’attività della Rete L’Abuso, che dal 2010 raccoglie dati sugli abusi di minori commessi da sacerdoti.
“Ci basiamo sulle condanne emesse dai tribunali, ma i nostri dati hanno chiaramente dei difetti. Sono parziali, non tengono conto del sommerso,” mi dice Francesco Zanardi, presidente della Rete. “In questi anni abbiamo contato più di 140 casi – mi riferisco a condanne in via definitiva per abusi su minori – e altrettanti, circa 160, attualmente in attesa di giudizio.”
Mi spiega però Francesco che i dati raccolti dalla Rete L’Abuso non sono affatto in linea con le proiezioni del fenomeno. “Purtroppo lo sottostimano,” precisa.
In assenza di elementi certi, c’è chi ha stilato delle proiezioni statistiche sui possibili casi italiani di pedofilia nella chiesa, basandosi sui dati forniti dalle commissioni di inchiesta di altri paesi (Australia, Stati Uniti, Canada, Belgio, Polonia, Gran Bretagna, Germania, Irlanda), ma anche sulle dichiarazioni di Hans Zollner, psicologo membro della Pontificia commissione per la tutela dei minori che, in un’intervista, ha affermato che sarebbe stupido pensare che in Italia le cose siano andate diversamente rispetto al resto del mondo. Stando a queste proiezioni, in Italia – come negli altri paesi dove sono state istituite delle commissioni d’inchiesta – la percentuale di sacerdoti pedofili potrebbe variare dal 2 all’8%, che per l’Italia si tradurrebbe in un numero di vittime di abusi che varia da cinquantamila a un milione. “Se guardiamo a queste proiezioni statistiche,” mi dice Francesco “i dati raccolti fino ad ora dalla Rete L’Abuso non dicono niente del fenomeno reale.”
Ma nonostante questo, La Rete continua la sua attività di raccolta. “Lo facciamo perché ci interessa offrire questo servizio alla comunità. Sul nostro sito (retelabuso.org), proprio con l’obiettivo di denunciare ma anche di informare, è presente una mappa dell’Italia con segnalati tutti i casi con condanne definitive e non definitive.” Dunque basarsi solo sulle condanne emesse dai tribunali non è sufficiente per fornire un quadro completo. Anche perché, mi spiega Francesco, “molte denunce cadono nel vuoto e non portano a nessun esito. E questo succede perché nei Patti Lateranensi è scritto che la magistratura si impegna a comunicare al vescovo l’apertura di un fascicolo su un prete. E questo vuol dire che, nel momento in cui la vittima va dai carabinieri a denunciare e la denuncia arriva in procura, prima di aprire il fascicolo la procura dice al vescovo che un prete verrà indagato. E così, molto spesso, le prove spariscono.”
Per questo la Rete L’Abuso non si limita a raccogliere dati sul fenomeno della pedofilia ecclesiastica, ma assiste le vittime di abusi nella fase di denuncia tramite una rete di ventuno avvocati, sparsi sul territorio italiano. “La Rete L’Abuso è nata inizialmente come una specie di gruppo di auto-aiuto per persone che avevano subito abusi. Dopo un primo incontro a Roma, abbiamo continuato a sentirci e da lì è nata la voglia di cercare di ottenere giustizia e di far condannare i preti che hanno abusato di noi. Ci siamo confrontati sul come: come agire, come fare. Ora ci avvaliamo di procedure che abbiamo acquisito nel tempo. Perché il problema nei casi di abusi sessuali è che, dopo la denuncia, si fa fatica a trovare le prove e la chiesa è molto brava a far cadere le accuse. Purtroppo la persona che vuole denunciare si deve preparare prima, e noi l’aiutiamo a reperire prove e testimonianze. Altrimenti, se non lo fa, ha già perso in partenza.”
Le interviste – di Carlotta Pedrazzini – a Federico Tulli e Francesco Zanardi sono riprese dal numero di maggio di «A rivista anarchica».
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