Si è concluso da pochi giorni il sinodo voluto da papa Francesco che ha visto, in nome della “tolleranza zero”, riunirsi in Vaticano i Presidenti delle Conferenze Episcopali di tutto il mondo, per discutere di un problema pubblicamente noto da 20 anni, al quale oggi la chiesa – a danno di tutte le nuove vittime prodotte in questo arco di tempo – non ha ancora saputo trovare un punto di partenza per affrontarlo concretamente e dichiara che solo oggi, dopo il sinodo, è consapevole della gravità.
Un sinodo che ha dato ad una chiesa oramai inattendibile nelle dichiarazioni e nei fatti, un briciolo di speranza subito colta dai cattolici, immediatamente disillusi dal documento diffuso al termine del sinodo. Diciamola tutta, un sinodo finito a tarallucci e vino. Tanta visibilità per la chiesa che, pur non attuando alcun atto concreto o richieste avanzate dalle vittime e dalle associazioni che le tutelano come, per esempio, rimuovere i vescovi insabbiatori; consegnare all’autorità giudiziaria i fascicoli contenenti i nomi dei preti pedofili coperti da Segreto Pontificio; proporre piani concreti di soccorso e aiuto per chi è già stato vittima… se la cava in sostanza promettendo, per l’ennesima volta, “non lo faremo più”, chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato. Ed è lo stesso papa Francesco a ribadire il concetto “bisogna sempre perdonare”.
IL PROBABILE RAGGIRO
Questa volta, dalla stampa, apprendiamo che anche la Conferenza Episcopale Veneta sta istituendo uno sportello analogo a quello lombardo: così dichiara monsignor Giuseppe Pellegrini, segretario della Conferenza Episcopale Triveneta. «Dopo la conferenza di Roma, la Santa Sede ci ha consegnato un protocollo che prenderemo in esame con cura. Al momento ogni Diocesi agisce da sé, l’obiettivo è di organizzare un coordinamento. Nel nostro caso, appunto, Triveneto», dichiara il monsignore.
Non si esclude quindi che altre diocesi, se non tutte, attueranno questa linea, ed è qui che la riflessione si fa interessante, in quanto, tra i proclami ormai storicamente farlocchi ai quali la Santa Sede ci ha abituati, proviamo ad analizzare il quadro che ci si presenta di fronte.
Una chiesa che mantenendo interne le denunce, ha garantito storicamente l’impunità dei preti pedofili e permesso loro di produrre altre vittime, avrebbe oggi questa “novità eclatante”: le vittime (come erroneamente hanno purtroppo sempre fatto) possono rivolgersi alle diocesi (che hanno sempre insabbiato) per denunciare eventuali abusi. Queste poi, da quanto si comprende, accompagneranno la vittima nella gestione e nella segnalazione degli abusi.
Uno Stato, l’Italia, che in assenza di una commissione di inchiesta che quantifichi il fenomeno, stando alle proiezioni ottenute sulla base delle percentuali dichiarate da padre Hans Zollner, in Italia potrebbero esserci 750.000 vittime.
Non si può negare, soprattutto alla luce dei risarcimenti che la chiesa ha dovuto pagare negli anni per i “vizietti” dei suoi sacerdoti, che questa abbia un evidente interesse a far sì che i casi non arrivino mai nei tribunali civili e, se proprio devono, meglio ci arrivino prescritti.
Quindi quali garanzie avranno gli sventurati e/o incoscienti che si rivolgeranno a questi sportelli?
Chi garantirà la trasparenza delle procedure e la conseguente obbligatoria denuncia all’autorità civile?
Chi garantirà che le informazioni personali che la vittima darà in quelle sedi, non saranno utilizzate contro la vittima stessa qualora questa decida di rivolgersi autonomamente alle autorità civili?
Ahimè, ancora una volta vedo la chiesa ricadere nel solito lapsus freudiano, istituendo sportelli per acquisire informazione su nuove vittime e nuovi casi, senza dare garanzie certe che questi vengano gestiti nell’unico interesse, quello della vittima.
Chissà cosa succederebbe se a uno di questi sportelli si presentasse una vittima di un caso già noto e chiedesse aiuto? Sarebbe soccorsa o liquidata con qualche Ave Maria e un “pregheremo per te”?
Zanardi
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