Un comunicato per aiutare a comprendere le “false verità dei fatti” della Diocesi di Milano, ricostruite dal quotidiano Avvenire.
Ancora una volta, le artefatte conclusioni di alcune testate giornalistiche che tentano, in tutti i modi, di difendere il comportamento omissivo dell’Arcivescovo Delpini nel celebre caso di don Mauro Galli, sacerdote condannato in primo grado a sei anni e quattro mesi per abusi sessuali aggravati, ai danni di un minore, risultano sorprendentemente imbarazzanti.
Tali ricostruzioni e conclusioni offrono, per altro, come se non bastasse, una ulteriore occasione per dimostrare la banalità con cui cercano di liquidare la questione pensando che tutti i fedeli siano privi di intelletto, risultando per altro sfacciatamente offensive.
Analizziamo bene i termini della questione su cui si fondano le “loro” artefatte verità, costruite anche grossolanamente per darle in pasto all’opinione pubblica.
La questione in gioco è fondamentale: ne va anche della credibilità della Santa Sede, la famosa questione della “Tolleranza Zero”, i proclami tanto condivisibili di Papa Francesco.
Procediamo per Gradi:
- È ormai certo che don Mauro Galli nel 2011 portò nel suo letto un minore (lo ha testimoniato persino l’imputato);
- È un dato di fatto che allo stato attuale, su don Mauro Galli, pende una sentenza di condanna di primo grado per sei anni e quattro mesi di reclusione per aver commesso il reato di abuso sessuale aggravato ai danni di un minorenne, in quella notte del dicembre 2011 (ci sarà poi l’annunciato ricorso in Appello e la sentenza di Cassazione che, come sappiamo, potrebbero anche modificare o ribaltare la sentenza di primo grado);
Tuttavia è certo che i Giudici hanno ritenuto che non vi è alcun dubbio circa la colpevolezza:
“Ritiene il Collegio che l’effettiva verificazione dei fatti sintetizzati in rubrica e la loro riferibilità soggettiva a don Mauro Galli siano risultate provate al di là di ogni ragionevole dubbio”
- E’ un fatto certo e non contestato, anzi ammesso persino da Delpini stesso direttamente alla Procura, che il Monsignore (oggi Arcivescovo di Milano), all’epoca dei fatti Vicario di Zona, [I] ha saputo immediatamente, dal parroco don Carlo Mantegazza, della notte e dei presunti abusi sessuali, [II] ha parlato subito con il Galli che gli ha confessato di aver portato nel suo letto il quindicenne, [III] ha deciso in pochi giorni il suo trasferimento, dalla parrocchia di Rozzano alla vicina parrocchia di Legnano, ancora a contatto con i minori inserendolo nella Pastorale Giovanile.
Questi tre fatti, sono ormai certi e cristallini, sviscerati in ogni minimo dettaglio nel processo, dalle testimonianze, interrogatori, intercettazioni, registrazioni ecc.
Fatti ormai non più contestati da nessuna delle parti, persino la difesa di don Mauro, l’avvocato Mario Zanchetti ribadiva in aula, nella sua arringa finale, la gravità di tale comportamento, non una leggerezza: “aver preso nel letto un ragazzo di 15 anni e averlo abbracciato perché non cadesse dal letto non è una leggerezza, è una violazione estremamente seria della condotta che un educatore e un sacerdote deve tenere, è una cosa grave”.
Don Mauro, secondo la terna dei Giudici, presieduta dal Giudice Ambrogio Moccia, è colpevole, ha ritenuto il suo comportamento “abominevole”, come si legge nelle motivazioni della sentenza:
“la preventiva preparazione di un letto unico per quella notte altrimenti non può interpretarsi se non come preordinazione dell’iniziativa abominevole poi attuata”
E’ stato, quindi, ben altro rispetto al già grave “aver preso nel letto un ragazzo”.
Tuttavia è comunque certo che mons. Delpini sapeva della grave circostanza che il prete, quantomeno, aveva passato la notte con il minore condividendo lo stesso letto a casa del sacerdote.
Arriviamo dunque alle motivazioni della sentenza, 21 pagine per descrivere tale comportamento “abominevole” e una postilla a piè di pagina, pagina 18 per l’esattezza, come riporta il quotidiano Avvenire, per accennare al comportamento del Vescovo, e al clima mediatico intorno alle aule del processo.
Questi passaggi sono da analizzare bene, uno ad uno, nel dettaglio. Solo chi è estremamente distratto o superficiale, può essere ingannato da una banale conclusione, non a caso articolata.
Il quotidiano nell’articolo titolato: “Milano. Prete condannato per abusi, totale estraneità della Curia”
(Firmato da Davide Re, mercoledì 21 novembre 2018)
e sottotitolato:
“Le motivazioni della sentenza a carico di don Mauro Galli – condannato a 6 anni e 4 mesi per violenza sessuale su un minore – evidenziano la totale estraneità alla vicenda della Curia”,
descrive con precisione quanto affermato dai giudici omettendo però alcuni piccoli passaggi tra le righe, un bieco gioco di ritaglio finalizzato a lasciar intendere un’altra “verità”.
Già il titolo, e il relativo sottotitolo, alludono ad una totale condotta impeccabile delle autorità diocesane (anni fa lo stesso quotidiano definiva l’agire della curia “scrupoloso e coscienzioso” riportando una nota stampa della Diocesi), condotta che sappiamo essere riconducibile all’attuale Arcivescovo Mario Delpini.
Non viene tuttavia e volutamente precisato il quadro di riferimento!
Estraneità rispetto a quale sistema di riferimento? Le leggi Italiane? Il diritto canonico? La morale cristiana?
Estraneità generica, estraneità punto e basta! La gente si accontenti!
Nessuno si ponga domande dato che viene persino sancito da un autorevole Giudice.
Il Giudice, in effetti, è decisamente autorevole, si tratta del Presidente della Quinta Sezione Penale del Tribunale di Milano: imparziale, corretto e, soprattutto, conosce bene le leggi, quelle Italiane, quelle del diritto penale, e questo è garanzia ulteriore di una giusta sentenza.
Sempre l’avvocato Zanchetti in qualche modo elogiava, nella sua arringa finale, il lavoro scrupoloso della magistratura: “è stato un processo molto complicato, che ha avuto un’istruttoria completa e complessa”.
Istruttoria completa, non sono stati trascurati dettagli, molte testimonianze, indagini meticolose, intercettazioni ecc.
I Giudici nella postilla parlano di un clima di “anticlericalismo tematico” che “è parso materializzarsi nell’intorno del processo” nonostante “non sembra trovare nell’attualità alcuna legittimazione storica” visto “l’atteggiamento da tolleranza zero della massima impersonificazione della Chiesa militante, cioè il Papa, verso i casi accertati di pedofilia”.
Questo riportava il quotidiano estrapolando alcune frasi.
Il Giudice nei fatti, scrivendo anche la postilla, dimostra ulteriormente la serietà della terna giudicante, capace di non farsi assolutamente condizionare da eventi esterni ed estranei all’oggetto del processo, nell’aula del tribunale non si stava giudicando la “morale cristiana” oppure “l’etica di un Vescovo” ma il comportamento di un uomo che ha abusato di un minore.
Il clima all’intorno del processo che si è celebrato a porte aperte è riferito ai media, giornali e televisioni che hanno seguito e riportato i fatti di cronaca.
Ma perché allora i Giudici si sentono in dovere di scrivere questa nota?
Avvenire purtroppo si è dimentica di riportare qualche passaggio della stessa:
“Il Tribunale, in quanto non chiamato a pronunziarsi in merito alle condotte delle Autorità della Chiesa milanese/Istituzione, evita doverosamente di farlo”.
Dunque il Giudice non esprime nessun giudizio: né di colpevolezza né di assoluzione della Curia Milanese o delle relative autorità come mons. Delpini. L’imputato rinviato a giudizio è don Galli, non altri, il Tribunale pertanto evita doverosamente di giudicare la curia.
Dunque l’estraneità della curia rispetto allo specifico procedimento è palese essendo lo stesso processo volto ad accertare il comportamento del prete.
Tuttavia i giudici si sentono comunque in dovere di scriverlo per qualche motivo che però, non a caso, è correttamente riportano nella stessa nota, anche se viceversa anche questo omesso da Avvenire:
“…evita doverosamente di farlo. Ma – essendo l’argomento stato ripreso in sede di escussione di testi sentiti in aula, nonché in sede di arringa [e di redazione delle note di udienza] dalla Difesa – non può rinunziare a dare atto che nell’«intorno» del processo è parso materializzarsi un avvertibile clima di «anticlericarismo tematico»”
Di cosa si tratta? Quale il clima di avvertibile di “anticlericalismo tematico”? cosa avrà mai detto la Difesa nella sua arringa?
L’avvocato Zanchetti probabilmente temendo che i Giudici si potessero suggestionare o potessero essere condizionati dal “clima” derivato dal diritto di cronaca in qualche modo esprimeva la sua preoccupazione e dispiacere:
“Sappiamo benissimo, e me ne dispiace, che invece questo processo è stato già giudicato dal Tribunale dell’opinione pubblica, dalla stampa e dalla televisione che del sano esercizio del dubbio non sembra farsene niente, non sembra fondare la propria professione sul sano esercizio del dubbio”.
Ma i Giudici sono integerrimi applicano la legge con estremo rigore, nessuna forzatura, nessun condizionamento, tutto motivato e precisato per iscritto incluso la citata postilla anche se non inerente rispetto all’oggetto del processo.
Gli stessi autorevoli Giudici, per mettere a tacere qualsivoglia arbitraria interpretazione, mettono quindi nero su bianco, precisandolo con estrema chiarezza, che il Pubblico Ministero non ha ravvisato alcuna ipotesi di reato da parte delle autorità ecclesiastiche: “Il fatto che il comportamento delle Autorità ecclesiastiche milanesi non ha suscitato nel pubblico ministero alcun impulso ad esercitare l’azione penale”.
Il quotidiano, pertanto, indirizza ad una semplice deduzione logica: “E quindi non sono state trovate nella condotta di allora della Curia (che appena apprese di contatti, poi negli anni successivi diventati prima molestie e poi violenze, tra don Galli e un giovane, lo spostò di parrocchia) delle anomalie e alcuna protezione nei confronti del sacerdote”.
Apparentemente non fa una piega, si spiega perfettamente la sintesi del titolo: “prete condannato per abusi, totale estraneità della Curia”.
Quindi? I Giudici si sono sbagliati?… Impossibile contraddirli!
I giudici non si sono affatto sbagliati, come non si è sbagliato il Pubblico Ministero Lucia Minutella, dal punto di vista del codice di procedura penale: mons. Mario Delpini non ha commesso alcun reato, è un fatto! Non andrà in galera per questo!
Ma, purtroppo per il monsignore, la questione non è affatto chiusa: troppo semplice e banale, troppo ingenuo il quotidiano per sperare di aver fugato definitivamente ogni dubbio.
La questione assai seria e grave risiede da tutt’altra parte, non è competenza del Tribunale di Milano.
Il tema riguarda la Chiesa, riguarda il fatto che non si sta parlando di giudicare un Vescovo che nemmeno era chiamato in giudizio. Dal punto di vista del codice di procedura penale delle leggi Italiane, è pacifico che i giudici non hanno sbagliato, sia loro che il PM conoscono bene la legge e la applicano nella procedura e nelle sentenze.
Il Concordato tra Stato e Chiesa in Italia prevede che non ci sia l’obbligo di denuncia da parte del Vescovo in caso di presunto abuso sessuale: che piacciano oppure no, le leggi sono leggi e devono essere rispettate da tutti, in primo luogo dai Giudici.
Ma il diritto canonico prevede le stesse regole? La “Tolleranza Zero” proclamata da papa Francesco (citata anche dal Giudice nella nota della sentenza) prevede che sia accettabile, “tollerabile” che un Vescovo che certamente sa (per ammissione stessa del prete), che un sacerdote si porta a letto i minori, non avvii alcuna indagine canonica interna, detta indagine previa?
“Can. 1717 – §1. Ogni qualvolta l’Ordinario abbia notizia, almeno probabile, di un delitto, indaghi con prudenza, personalmente o tramite persona idonea, sui fatti, le circostanze e sull’imputabilità, a meno che questa investigazione non sembri assolutamente superflua”.
Il Giudice, il processo, la Magistratura, il Pubblico Ministero, la polizia, i testimoni: hanno semplicemente offerto un servizio alla Chiesa, al Santo Padre, cioè hanno accertato i fatti. Hanno scoperto che mons. Delpini sapeva perfettamente che il prete aveva portato a letto il minore e quindi, a causa di questo grave fatto, lo ha personalmente spostato da una parrocchia all’altra, ancora a contatto con i minori.
E’ un fatto certo, ormai cristallizzato nelle prove giudiziarie inconfutabili.
Non sta poi a loro (i Giudici) giudicare se questo comportamento è per la Chiesa “Tollerabile”, se risponde alla morale cristiana, al diritto canonico, se è compatibile con l’esercizio episcopale…
Ora questi fatti, il comportamento della curia milanese, dell’Arcivescovo Delpini è scolpito nero su bianco nei documenti processuali, è pubblico.
Lo stesso Pontefice ora non potrà dire, come per il Vescovo Barros in Cile, che era stato male informato: non servono nemmeno le indagini dell’Arcivescovo Scicluna, il lavoro complesso di ricerca della verità è già stato raccolto da un’autorevole Consiglio di Giudici milanesi.
Ora il supremo giudizio spetta dunque al Papa, esula dalla competenza del Giudice Moccia che, per altro, ha in qualche modo riconosciuto nella sentenza il valore della famosa “Tolleranza Zero”.
Cosa prevedono pertanto le linee guida della CEI “LINEE GUIDA PER I CASI DI ABUSO SESSUALE NEI CONFRONTI DI MINORI DA PARTE DICHIERICI”
“I. PROFILI CANONISTICI
- Notizie di condotte illecite e giudizio di verosimiglianza
Quando il Vescovo abbia notizia di possibili abusi in materia sessuale nei confronti di minori ad opera di chierici sottoposti alla sua giurisdizione, deve innanzitutto procedere ad espletare gli accertamenti di carattere strettamente preliminare di cui al can. 1717 del codice di diritto canonico relativi alla verifica della verosimiglianza della notitia criminis”
E’ un fatto che Delpini non avviò nessuna indagine previa. Delpini si limitò a spostare frettolosamente il prete da una parrocchia all’altra ancora in oratorio con i minori (l’indagine previa prevista dal diritto canonico fu avviata solo nel 2015, quattro anni dopo il fatto).
Cosa pensa il Santo Padre? La certezza che il prete si fosse portato a letto il minore, si poteva considerare una notizia “almeno probabile” di possibili abusi sessuali?
Il fatto certo, che il parroco don Carlo Mantegazza avesse telefonato a mons. Delpini due giorni dopo l’accaduto, segnalandogli testualmente “presunti abusi sessuali”, come giurato dallo stesso mons. Delpini alla Polizia, si può considerare una notizia “almeno probabile”?
Certo il Giudice Moccia e i suoi colleghi non hanno alcuna competenza in materia, non stavano svolgendo alcun processo canonico, non spetta a loro… Avvenire questo preferisce non menzionarlo ovviamente!
Cosa ha precisato proprio questo pontefice nel merito, legiferando in forma di Motu Proprio:
“Art. 1
- 1. Il Vescovo diocesano o l’Eparca, o colui che, anche se a titolo temporaneo, ha la responsabilità di una Chiesa particolare, o di un’altra comunità di fedeli ad essa equiparata ai sensi del can. 368 CIC e del can. 313 CCEO, può essere legittimamente rimosso dal suo incarico, se abbia, per negligenza, posto od omesso atti che abbiano provocato un danno grave ad altri, sia che si tratti di persone fisiche, sia che si tratti di una comunità nel suo insieme. Il danno può essere fisico, morale, spirituale o patrimoniale.
- 2. Il Vescovo diocesano o l’Eparca può essere rimosso solamente se egli abbia oggettivamente mancato in maniera molto grave alla diligenza che gli è richiesta dal suo ufficio pastorale, anche senza grave colpa morale da parte sua.
- 3. Nel caso si tratti di abusi su minori o su adulti vulnerabili è sufficiente che la mancanza di diligenza sia grave”.
Cosa diceva il Papa incontrando le vittime:
“SANTA MESSA NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE
CON ALCUNE VITTIME DI ABUSI SESSUALI DA PARTE DI ESPONENTI DEL CLERO
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO (Lunedì, 7 luglio 2014)
Davanti a Dio e al suo popolo sono profondamente addolorato per i peccati e i gravi crimini di abuso sessuale commessi da membri del clero nei vostri confronti e umilmente chiedo perdono.
Chiedo perdono anche per i PECCATI DI OMISSIONE da parte dei capi della Chiesa che non hanno risposto in maniera adeguata alle denunce di abuso presentate da familiari e da coloro che sono stati vittime di abuso. Questo, inoltre, ha recato una sofferenza ulteriore a quanti erano stati abusati e ha messo in pericolo altri minori che si trovavano in situazione di rischio.
D’altra parte, il coraggio che voi e altri avete dimostrato facendo emergere la verità è stato un servizio di amore, per aver fatto luce su una terribile oscurità nella vita della Chiesa. Non c’è posto nel ministero della Chiesa per coloro che commettono abusi sessuali; e mi impegno a non tollerare il danno recato ad un minore da parte di chiunque, indipendentemente dal suo stato clericale. Tutti i vescovi devono esercitare il loro servizio di pastori con somma cura per salvaguardare la protezione dei minori e renderanno conto di questa responsabilità…
Per tutti noi vale il consiglio che Gesù dà a coloro che danno scandalo, la macina da molino e il mare (cfr Mt 18,6)”.
Cosa diceva sempre Francesco alle vittime incontrate recentemente a Dublino:
“IL MESSAGGERO:”
“Dublino – «Shit». «Caca». «Merda». Il Papa in persona sdogana una parolaccia. Il termine insolito è affiorato durante la conversazione avuta in nunziatura con le vittime della pedofilia. Una parola decisamente inusuale e solitamente bandita dalle conversazioni o dai colloqui perché considerata volgare e poco appropriata. Eppure stavolta ha reso bene l’idea del giudizio papale su quei vescovi o quei cardinali che in Irlanda (e altrove) hanno coperto e insabbiato casi di preti pedofili, spostandoli da una parrocchia all’altra, proteggendoli invece che denunciarli alla autorità ecclesiale e provvedere di conseguenza a farli ridurre allo stato laicale”.
Cosa dice il Santo Padre nella recente lettera al popolo di Dio
“Se in passato l’omissione ha potuto diventare una forma di risposta, oggi vogliamo che la solidarietà, intesa nel suo significato più profondo ed esigente, diventi il nostro modo di fare la storia presente e futura… E’ imprescindibile che come Chiesa possiamo riconoscere e condannare con dolore e vergogna le atrocità commesse da persone consacrate, chierici, e anche da tutti coloro che avevano la missione di vigilare e proteggere i più vulnerabili.”
Si potrebbero citare molteplici interventi del Santo Padre che a parole (a suon di proclami), condanna inequivocabilmente il comportamento dei Vescovi omissivi, “mi impegno a non tollerare… Tutti i vescovi… renderanno conto di questa responsabilità…”
Francesco spiega bene che spostare i sacerdoti da una parrocchia all’altra, in caso di segnalazioni di presunti abusi, era un’antica pratica oggi non più accettabile e tollerabile (“tolleranza zero”… il discorso sull’”ermeneutica”…): non lascia spazio di interpretazione quando definisce tali vescovi “CACA”, “STERCO”…
Ora è proprio in gioco la credibilità della Chiesa, non l’ipotesi bizzarra che mons. Delpini possa essere condannato da un giudice “Civile” come, per esempio, il rigoroso dott. Ambrogio Moccia, per un reato che non esiste, almeno fino a quando la chiesa, anche in Italia (come già avvenuto in altri Stati) non rinunci al Concordato, imponendo comunque l’obbligo di denuncia da parte dei Vescovi Italiani, in caso di sospetto di abuso sessuale da parte dei sacerdoti a loro affidati.
Non basta “l’assoluzione” del PM per risolvere la questione morale…
Purtroppo “la questione” è ben più seria e profonda. Oltre al dramma delle vittime, al suicidio di talune, alla sofferenza gratuita inflitta ai familiari, in ballo c’è la credibilità del Pontefice rispetto alla sua stessa “Tolleranza Zero”, non bastano delle semplici scuse, se pur reiterate, per risolvere la questione né, tanto meno, un banale articolo come quello di Avvenire.
I fatti sono accertati e Francesco lo sa bene, ora aspettiamo solo il suo giudizio, aspettiamo solo di capire se corrisponde a quanto proclama.
Se mons. Delpini (che, per correttezza di informazione, non ha nemmeno mai pensato fosse il caso di scusarsi con la vittima bensì, attraverso il suo avvocato, – o meglio l’avvocato della Diocesi Milanese – ha invece ritenuto più corretto intimare la richiesta del maggior danno alla stessa vittima e i familiari) potrà continuare a fare il Vescovo, è una questione molto seria.
Ora la parola passa al Papa, che potrà decidere di rispondere o non rispondere, agire o far finta di nulla, tuttavia in ogni caso sarà una risposta.
Risulta alquanto evidente, e facile da comprendere a tutti, incluso al citato quotidiano che diversamente il Papa renderebbe, nei fatti, assolutamente accettabile e “Tollerabile” che un qualsiasi prete possa dormire nello stesso letto con un bambino. Risulterebbe accettabile e “Tollerabile” che il Vescovo può semplicemente spostare il prete presunto abusatore in un altro contesto di bambini (senza per altro avvisare nessuno, men che meno i genitori).
Solo qualora si scoprisse, per altre vie, che il prete non aveva portato a letto il bambino perché aveva paura del buio ma bensì per abusare di lui (“abominevole”), allora il prete sarà abbandonato al suo destino, mentre il Vescovo continuerà a gestire analogamente i successivi spostamenti a prescindere dai finti e inutili proclami.
Altro che macina da Mulino! Questa è la madre chiesa? grazie Papa Francesco.
La Redazione
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