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Collins: “Sono triste per Saunders, ma ho fiducia nella commissione”

Rete L'ABUSO by Rete L'ABUSO
11 Febbraio 2016
in Città del Vaticano
Reading Time: 4 mins read
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Sopravvissuta agli abusi di un sacerdote, la donna irlandese commenta su Ncr la vicenda dell’uscita del suo collega, anch’egli vittima, dall’organismo pontificio per la prevenzione della pedofilia: mi dispiace ma la commissione per la tutela dei minori è il bersaglio sbagliato.

Ex vittima di un prete pedofilo, l’irlandese Marie Collins rompe il silenzio sullauscita di un suo collega, anch’egli sopravvissuto alla pedofilia del clero, Peter Saunders, dalla pontificia commissione per la tutela dei minori (ovvero per la prevenzione della pedofilia), sabato scorso, e, in una nota scritta a titolo personale per il National Catholic Reporter, nel nome della trasparenza per la quale combatte da anni nella Chiesa, dice di essere «triste» per l’epilogo della vicenda; spiega che la questione è nata attorno alla «differenza di comprensione della missione e dei poteri» della commissione guidata dal cardinale statunitense Sean O’Malley; rivela di essere il commissario che si è astenuto dal voto che ha portato ad un congelamento della partecipazione di Saunders – non un «voto di sfiducia» –, ma di comprendere al contempo il motivo per il quale i suoi colleghi hanno votato in favore di questa decisione; precisa che il voto non era previsto all’inizio della riunione e che solo dopo i commissari hanno appreso della presenza a Roma di un’altra vittime di preti pedofili, il cileno Juan Carlos Cruz, e del suo desiderio di incontrare la commissione; e ribadisce la propria «fiducia» nei confronti della commissione e dei suoi membri: «Non ho la stessa fiducia in coloro il cui compito all’interno del Vaticano è di lavorare con noi e mettere in pratica la nostra proposte approvate dal Papa».

«La discussione sabato è nata a causa di una differenza nella comprensione della missione e dei poteri della pontificia commissione per la protezione dei minori. Se un membro non può impegnarsi a lavorare per lo sviluppo dei suoi programmi – che indubbiamente è laborioso, noioso e lento – mentre altri membri sono profondamente impegnati in esso, si raggiunge un impasse. Ogni aspettativa che la commissione possa attaccare o chiedere cose al Papa o inserirsi in casi particolari ignora il mandato effettivo al quale il lavoro del gruppo è sottoposto. Comprendo la frustrazione, l’emozione e la rabbia su ciò che sta ancora accadendo e non dovrebbe! Ma non può essere affrontato dalla commissione».

Collins fa poi riferimento alla vicenda di Juan Carlos Cruz. Si tratta, come emerso nei giorni scorsi, di un uomo vittima di abusi sessuali di un sacerdote quando era bambino, che si è recato a Roma per trasmettere, per mezzo dello stesso Saunders, una petizione al Papa rivolta da un gruppo di fedeli della diocesi di Osorno, in Cile, per chiedergli di destituire il vescovo Juan Barros, contestato da anni con l’accusa di aver insabbiato le accuse indirizzate al sacerdote pedofilo Fernando Karadima. Un’agenzia di stampa, scrive Collins, «ha riferito dopo una conferenza stampa sabato che Juan Carlos Cruz, un coraggioso sopravvissuto cileno che combatte per la giustizia, ha affermato che “la commissione è una disgrazia, pensano che violentare un bambino è qualcosa che è già alle nostre spalle”. Questo non è vero. E’ proprio perché NON è alle nostre spalle che i membri della commissione stanno lavorando duramente per cambiare le cose».

La commissione, peraltro, è guidata dal cardinale arcivescovo di Boston Sean O’Malley, cappuccino, che ha ereditato la diocesi statunitense dopo che nel 2002 l’allora arcivescovo, Bernard Francis Law, si dimise in seguito alle inchieste sulla pedofilia del Boston Globe al centro del film Il Caso Spotlight ora sugli schermi. Marie Collins, irlandese, una vita di impegno a favore delle vittime dei preti pedofili, ha raccontato la sua vicenda ad un convegno sul contrasto alla pedofilia ospitato nel 2012 dalla Pontificia università Gregoriana.

«Il voto – spiega Collins – non era stato programmato prima, non aveva nulla a che fare con qualche dipartimento vaticano. La questione è stata portata all’incontro da uno dei membri laici. Il voto è emerso dopo una discussione durata quasi due ore. Ovviamente non posso citare direttamente cosa è stato detto senza rompere la riservatezza dei membri ma le questioni trattate comprendevano: la difficoltà a condividere apertamente opinioni sincere negli incontri se quello che viene detto compare poi sui media o viene condiviso con altre persone fuori dalla commissione; la difficoltà a lavorare per il Papa mentre in pubblico lo si attacca; la preoccupazione di membri che lavorano su programmi – sensibili e bisognosi di sviluppo – che essi vengano resi pubblici o condivisi prematuramente con persone fuori dalla commissione. Questo è il contesto nel quale si è parlato del fatto che non sempre si è in grado di dire alla stampa esattamente quel che si desidera. Non perché quel che si dice sia contro la Chiesa ma perché potrebbe infrangere la fiducia di altri commissari nel loro lavoro. La questione principale è stata se c’era la volontà di essere coinvolti nel lavoro programmatico della commissione o no. Quando Peter ha spiegato di non potersi impegnare o di non poter dare una indicazione di quanto tempo avrebbe bisogno per riflettere, allora un membro laico della commissione ha proposto un voto. La proposta, per quanto chiaramente io possa ricordare, è stata che prendesse un periodo di assenza per decidere come poter contribuire alla commissione. Non è stato un voto di sfiducia. Tutti i presenti tranne me hanno votato la proposta. Mi sono astenuta ma ho capito perché i miei colleghi hanno votato in quel modo. Sono stata molto triste come molti altri che la situazione sia arrivata a questo punto. I membri hanno deciso di diramare un comunicato stampa sul periodo di assenza come atto di trasparenza. Se non lo avessimo fatto, si sarebbe potuto dire che stavamo coprendo la questione. Non so con che mezzi è stato trasmesso alla stampa ma è stato scritto dalla commissione, non da qualsiasi altra entità vaticana».

«Ho lavorato nella commissione dal suo primo inizio a maggio del 2014. Non è stata sempre una navigazione piana. Ho preoccupazioni su quello che sta accadendo nella curia vaticana relativamente al nostro lavoro. Come ho già detto ho completa fiducia nella commissione e nei suoi membri. Non ho la stessa fiducia in coloro il cui compito nel Vaticano è di lavorare con noi e mettere in pratica le nostre proposte quando sono approvate dal Papa. Sento fortemente che chi critica la commissione sta scegliendo il bersaglio sbagliato. Ci sono molte persone di buona volontà nella Curia ma sfortunatamente ci sono ancora coloro che, a livello di vertice, sono più preoccupati per il proprio feudo e per la minaccia rappresentata per loro dai cambiamenti che per il lavoro che la commissione sta cercando di fare per proteggere i bambini. Se la commissione è danneggiata dal suo interno, queste forze ne saranno beneficiate – non i sopravvissuti o i bambini del futuro».

https://www.lastampa.it/2016/02/10/vaticaninsider/ita/nel-mondo/collins-sono-triste-per-saunders-ma-ho-fiducia-nella-commissione-MkMLJRBxO15IIaU2nQ4pLI/pagina.html

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PRECISAZIONE

La Rete si è impegnata al compimento di “Spotlight on Italian survivors” coniugando il lavoro enorme occorso alla necessità di tentare di colmare un vuoto insopportabile nel nostro Paese, di cui pare non esserci realistica percezione: la pericolosità incombente sulla vita dei bambini e delle bambine commisurato alla vastità del fenomeno italiano, ma che non riguarda solo il perimetro di influenza della chiesa-istituzione.

Questo contributo ha come scopo principale quello di puntare un cono di luce, deciso e abbagliante, sulla carenza della tutela preventiva e protettiva, che deve essere concreta ed urgente verso i minori e le persone poste in posizione di vulnerabilità.

Ciò va inteso senza limitazione di genere, o inclinazione sessuale, riguarda tutti, nessuno escluso.

Senza allarmismi, riguarda i genitori che ignari delle insidie di cui sono ancora intrisi gli spazi parrocchiali e di vita comunitaria vi affidano i propri figli. Spazi da non potersi realisticamente reputare protettivi e, teniamo a sottolineare, non limitabili alle responsabilità di prevenzione e contrasto imputabile alla sola chiesa cattolica.

Tuttavia seppur convinti che i predatori sessuali, sono tutti uguali, con o senza abito talare, occorre prendere atto che lo stato delle cose non impedisce loro né di colpire, né di ripetere il crimine.

E’ altrettanto importante evidenziare che “Spotlight on Italian survivors” così come ogni attività posta in essere dall’Associazione, trattando o rimandando ad inchieste giudiziarie, a procedimenti penali non ancora conclusi, induce a ritenere innocenti tutte le persone citate a vario titolo – consacrate e non -  seppur condannate nei primi gradi di giudizio.  

Nel nostro ordinamento, infatti, la presunzione di innocenza copre l’intera vicenda processuale.

E questo principio facciamo nostro.

               Il direttivo della Rete l’Abuso