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Ora tocca al Vaticano intervenire sul caso Inzoli

Redazione Web by Redazione Web
21 Gennaio 2015
in Lombardia
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Già accusato di pedofilia il prete presente al convegno sulla famiglia in Lombardia rischia grosso

Francesco Peloso

La gaffe è stata di quelle senza rimedio: al convegno organizzato nei giorni scorsi in difesa della famiglia da alcune organizzazioni cattoliche tradizionaliste con l’appoggio della Regione Lombardia, ben visibili in prima fila i vertici politici locali del centrodestra – Maroni, Formigoni e La Russa fra gli altri – siede, subito dietro, don Mauro Inzoli, storico dirigente di Comunione e Liberazione condannato dalla Santa Sede nientemeno che per pedofilia. Non solo: il convegno – “Difendere la famiglia, difendere la comunità” tenutosi il 17 gennaio – viene preceduto da polemiche aspre perché uno degli intenti dell’evento è quello di dimostrare che l’omosessualità è una malattia da curare. Per questo fra i promotori dell’evento che c’è un’organizzazione, “Obiettivo Chaire” che è specializzata sulla materia. Insieme a loro figurano quelli di “Alleanza cattolica”, presenza ormai consolidata del tradizionalismo cattolico con agganci nella destra italiana.

Avviene pure che un giovane prova a prendere la parola per chiedere ai presenti se siano in grado di dire con certezza che i loro figli sono tutti eterosessuali. Viene sommerso dai fischi, alcuni si alzano, La Russa pure è fra i contestatori, il ragazzo viene preso e portato fuori. Nel video dell’episodio che circola sul web, però, spicca un particolare in più: s’ intravede don Inzoli seduto sorridente dietro le prime file delle autorità esattamente nel posto in cui verrà immortalato dai fotografi e quindi individuato. Il convegno ha suscitato le proteste delle organizzazioni per i diritti degli omosessuali, è stato definito “omofobo” da più parti. Il presidente Maroni aveva orgogliosamente difeso l’evento e la presenza del marchio ‘Expo’ sulle locandine nonostante le richieste pervenute dal commissario unico di Expo, Giuseppe Sala, di levarlo.

La sfida di Maroni e dei cattolici tradizionalisti è lanciata, ma accade un fatto imprevisto: viene rilevata da Sel la presenza al convegno di un prete ciellino di alto rango, vicino a don Giussani, presidente dal 1997 al 2012 del Banco Alimentare, amico della Compagnia delle Opere, sempre presente al Meeting di Rimini, personaggio pubblico in cento occasioni del Banco alimentare e di Cl. Il prete è stato condannato per abusi sui minori dalla Chiesa di Roma. Nel giugno del 2014 monsignor Oscar Cantoni, vescovo di Crema, la diocesi di don Inzoli, affermava infatti in un comunicato: «in nome della verità, in questi anni, sono state eseguite rigorose ricerche, che hanno comportato pazienti e sofferti confronti con le persone che hanno riferito i fatti. La Chiesa ha preso atto della situazione, ha condiviso le sofferenze riportate, ha aiutato le vittime a ritrovare serenità e speranza, e ha concluso che don Mauro potesse riparare responsabilmente le ferite causate dal suo comportamento attraverso “una vita di preghiera e di umile riservatezza come segni di conversione e di penitenza”».

C’è però di più. Don Inzoli era stato condannato dalla Congregazione per la dottrina della fede nel dicembre del 2012 con una pena canonica particolarmente severa: la dimissione dallo stato clericale, in pratica era stato spretato tanto erano evidenti i fatti contestati. C’era però stato l’appello dopo il quale i reati sono stati in effetti confermati, tuttavia papa Francesco applicava un criterio meno rigido, fondato, spiegava il vescovo, su due punti fermi: severità e misericordia. Così nel giugno del 2014, si arriva a questa conclusione certificata ancora una volta dalla Congregazione per la dottrina della fede: «in considerazione della gravità dei comportamenti e del conseguente scandalo, provocato da abusi su minori, don Inzoli è invitato a una vita di preghiera e di umile riservatezza, come segni di conversione e di penitenza. Gli è inoltre prescritto di sottostare ad alcune restrizioni, la cui inosservanza comporterà la dimissione dallo stato clericale». «Don Mauro – si spiegava – non potrà celebrare e concelebrare in pubblico l’eucaristia e gli altri sacramenti, né predicare, ma solo celebrare l’eucaristia privatamente. Non potrà svolgere accompagnamento spirituale nei confronti dei minori o altre attività pastorali, ricreative o culturali che li coinvolgano». Quindi «Non potrà assumere ruoli di responsabilità e operare in enti a scopo educativo. Non potrà dimorare nella diocesi di Crema, entrarvi e svolgere in essa qualsiasi atto ministeriale. Dovrà inoltre intraprendere, per almeno cinque anni, un’ adeguata psicoterapia».

C’è una questione che viene fuori con evidenza: don Inzoli ha disobbedito alla sentenza? Insomma è venuto meno a quanto deciso dalla Santa Sede? Una delle indicazioni chiare è quella di condurre una vita di “umile riservatezza”, e su questo ci sono pochi dubbi: la sua presenza tanto evidente a un convegno pubblico per altro così esposto ai media, è già un elemento concreto; mentre l’inosservanza delle restrizioni forse non emergerebbe da quel contesto ma è tutto da verificare.

Cosa deciderà il Vaticano è quanto si appurerà nei prossimi giorni. Emergono però alcuni dati di fatto dalla vicenda nel suo insieme. Don Inzoli è legato a un’organizzazione cattolica, CL, che rappresenta un pezzo importante di potere politico ed economico nel nord Italia in particolare ma non solo. È per questo che il sacerdote fa, in buona sostanza, come gli pare anche di fronte a un giudizio definitivo della congregazione per la dottrina della fede? Anche, certamente. Ma la realtà è che il caso di don Inzoli rischia di non essere isolato. E se già non sono molti in Italia i procedimenti aperti da tribunali vaticani contro sacerdoti accusati di abusi sessuali, (mentre aumentano quelli portati avanti dalla magistratura civile), per un malinteso senso ‘corporativo’ di cui la gerarchia ecclesiastica del nostro Paese non vuole liberarsi, c’è anche la difficoltà nel verificare che la pena venga rispettata e applicata.

Inoltre l’episodio rivela un più generale allontanamento dal magistero del papa da parte di ambienti cattolici conservatori che, ben lungi dal fare proprio il criterio della Chiesa ‘ospedale da campo’, dell’accoglienza cioè verso tutti pur nella salvaguardia dei principi — una Chiesa non dogana burocratica ma che rispetta la complessità umana — promuovono al contrario convegni politici in cui si vogliono “curare” i gay. Per incidente questa volta nella rete è cascato un prete riconosciuto abusatore di minori dalla Santa sede, il che dicevamo suona come un “de porfundis” per l’evento in sé. E tuttavia si registra ormai uno scisma silenzioso a destra, che non esita ad appoggiarsi al centrodestra politico in Italia, ricostruendo la vecchia alleanza ancién regime dei decenni in cui la Chiesa italiana è stata guidata dal cardinale Camillo Ruini. Non è un fenomeno di massa, sembra anzi raccogliere frange estreme che si coagulano provando a rinsaldare identitarismo religioso e nazionalismo conservatore, secondo uno schema già sperimento negli anni scorsi e collaudato in Paesi come la Francia. Però il fenomeno esiste.

C’è infine un altro aspetto della vicenda che non può essere tralasciato. E cioè una sorta di resistenza passiva della Conferenza episcopale ad ammettere la collaborazione con le autorità civili nei casi di abuso sessuale da parte del clero. Da diversi anni la Cei sta elaborando delle linee guida contro gli abusi che sono state più volte riviste e criticate dal Vaticano, il dibattito è ancora in corso.

http://www.linkiesta.it/don-mauro-inzoli-pedofilia-intervento-vaticano

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