da Adista Notizie n. 31 del 08/09/2012
CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Ogni anno la Libreria Editrice Vaticana pubblica un volume, intitolato L’attività della Santa Sede, che riepiloga tutti gli atti compiuti dal papa, dalla Curia romana e dagli altri organismi vaticani. Pur essendo compilata a cura della Segreteria di Stato, si tratta (lo chiarisce lo stesso frontespizio del volume) di una «pubblicazione non ufficiale», ma contiene una notevole mole di informazioni, statistiche e dati. Solitamente destinato agli “addetti ai lavori”, quest’anno il volume è stato invece lanciato in grande stile dal Vaticano, desideroso di dare un’immagine positiva di sé, legata alla “trasparenza” con cui rende note le informazioni circa la propria attività, ma anche alla fermezza con cui starebbe perseguendo i crimini commessi dal clero, specie quelli legati alla pedofilia.
Ed in effetti esattamente in questa direzione va il “lancio” fatto dall’Ansa il 28 agosto: «La linea della trasparenza avviata da Benedetto XVI sul tema della pedofilia ha portato a un “considerevole’’ aumento delle denunce dei casi di abusi su minori», scrive la più autorevole agenzia di stampa italiana. La notizia, pubblicata in questa stessa prospettiva anche da diversi quotidiani e siti internet (il blog di Sandro Magister e Vatican Insider su tutti), ha avuto così una certa eco.
In sostanza, dalle circa 1.300 pagine di testo emerge che nell’anno trascorso l’ufficio disciplinare della Congregazione per la Dottrina della Fede, diretto dal promotore di giustizia mons. Charles J. Scicluna, ha aperto 599 nuove pratiche, 440 delle quali riguardanti i «delicta graviora», e che tra quessti la stragrande maggioranza (404) sono casi di abusi perpetrati da chierici a danno di minori. Anche se, come afferma il volume, «nell’anno 2011, rispetto all’anno 2010, sono pervenute all’ufficio disciplinare meno segnalazioni», «rispetto agli anni precedenti (ad esempio il quinquennio 2005-2009) il numero dei casi è aumentato considerevolmente».
Insomma meno denunce, ma più indagini aperte. E più provvedimenti disciplinari: nel 2011 la Congregazione per la Dottrina della Fede ha sottoposto al papa la richiesta di laicizzazione «ex officio» di 125 soggetti e per altri 135 la richiesta di dispensa dagli obblighi sacerdotali. Un segno di efficienza e di ferma volontà di attuare il motu proprio promulgato dal papa il 21 maggio 2010 che integrava il De delictis gravioribus del 2001, lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede che dava indicazione agli episcopati mondiali su come trattare i «delitti più gravi commessi contro la morale e nella celebrazione dei sacramenti», e quindi anche la pedofilia tra il clero, prevedendo la dimissione dallo stato clericale dei preti colpevoli, quando non vi sono margini di dubbio sulle loro responsabilità. I dati pubblicati nel volume edito dalla Santa Sede, hanno detto un po’ tutti gli organi di stampa, sarebbero quindi un segno evidente che la “cura” contro la pedofilia avviata da papa Benedetto XVI sta ottenendo i suoi effetti.
Verrebbe però da chiedersi come mai tanta solerzia da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede si sia manifestata solo nel 2011, quando lo scandalo mondiale seguito alle clamorose rivelazioni sugli abusi perpetrati da esponenti del clero in Paesi come Stati Uniti, Irlanda, Germania, Belgio stava gettando ombre e discredito anche sul Vaticano, e non invece negli anni precedenti, dal momento che i primi casi eclatanti di pedofilia emersero già nel 2001, negli Stati Uniti, e che Benedetto XVI, il papa che il mantra della stampa main stream descrive come quello che si è battuto con più vigore per debellare questa piaga, è in carica ormai da più di 7 anni.
Inoltre, nel De Delictis Gravioribus voluto nel 2001 proprio da Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’ex Sant’Uffizio avocava a sé il controllo sui “crimini più gravi”, compresi gli abusi sui minori. Come a dire che l’attuale papa possedeva tutti i dossier sui preti pedofili in ogni parte del mondo. Nonostante ciò, fino ad anni recenti il dicastero che Ratzinger ha diretto fino al 2005 non ha agito con grande tempestività e rigore nei confronti di questi ecclesiastici. Quel documento (all’art. 11) ribadiva inoltre l’importanza del vincolo della segretezza. Tutti coloro, vittime, testimoni, ordinario diocesano, personale del tribunale ecclesiastico, che erano implicati in una vicenda di abusi sessuali da parte di un ecclesiastico erano «tenuti al più stretto segreto (il cosiddetto ‘segreto del Sant’Uffizio’), su ogni cosa appresa e con chiunque, pena la scomunica latae sententiae, per il fatto stesso di aver violato il segreto».
Un modo con cui oggettivamente l’autorità ecclesiastica ha impedito che i casi di pedofilia tra il clero fossero conosciuti dall’opinione pubblica. E denunciati all’autorità civile. Tanto che per i contenuti di questa lettera riservata, Ratzinger fu denunciato per «intralcio alla giustizia» dall’avvocato Daniel Shea di Houston (il 20 settembre 2005 il Dipartimento di Stato statunitense concesse al papa l’immunità diplomatica, in quanto capo in carica di uno Stato sovrano).
Ancora una chiosa sulla pretesa “severità” con cui la Chiesa starebbe fronteggiando i casi di pedofilia tra il clero. La condanna massima da parte della giustizia ecclesiastica nei confronti di un prete pedofilo resta, anche dopo la “riforma” di Ratzinger, la dimissione dallo stato clericale. Una circostanza che stride fortemente con il fatto che altri tra “i più gravi delitti” sottoposti al giudizio della CdF come l’eresia, l’apostasia e lo scisma, i reati contro l’eucaristia, l’attentata ordinazione sacra della donna prevedano invece la pena della scomunica. (valerio gigante)
Articolo tratto da
ADISTA
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