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Home Il punto della Rete L'ABUSO Storie - Lettere di vittime e lettori

Fuori dall’ombra

Fate attenzione alle loro storie: parlano di sofferenza e di rabbia ma anche di riscatto. Della testarda volontà di ricominciare a vivere. E guardate bene i loro volti, perché è la prima volta che una rivista ha il coraggio di mostrarli. Tutto è cominciato il giorno in cui i sordomuti hanno deciso di parlare.

1 Novembre 2010
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    Federica Tourn Federica Tourn
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    È il 2006 quando gli ex allievi del Provolo di Verona, un istituto cattolico per non udenti, si rivolgono al vescovo per informarlo degli abusi sessuali subiti da parte dei religiosi per più di trent’anni. La Curia, in grande imbarazzo, prima smentisce, poi minimizza. È la più importante denuncia pubblica della pedofilia all’interno della Chiesa cattolica italiana: all’estero è uno choc, ne parla anche il New York Times; da noi, la stampa sembra quasi non accorgersene.

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    Silvia Amodio, che da anni ritrae con sensibilità il dolore degli altri, ha voluto unirsi a questa lotta. Ne è nato un progetto fotografico senza precedenti che porterà a una mostra 
itinerante e a un libro. «Ho allestito, un po’ alla buona, il set che mi sono trasportata in treno da Milano, nella speranza che qualcuno accettasse di farsi fotografare. Non sapevo che cosa ne avrei fatto, anche perché una delle vittime mi aveva avvertita: “nessun giornale pubblicherà le foto”. Ma sono andata avanti. Ritrarli per me significava farli finalmente uscire dall’ombra.Da parte loro, voleva dire avere il coraggio di affrontare la luce».

    Per posare si sono vestiti di nero, in segno di lutto per l’infanzia negata. «Chi è uscito allo scoperto si è liberato di un peso e può finalmente riprendere in mano la propria esistenza. Mi piaceva l’idea che uno scatto segnasse queste due fasi della vita». Silvia è stata incaricata di seguire ufficialmente tutti i ritrovi di Survivors Voice: il prossimo appuntamento è per il 25 giugno 2011 a Washington. L’Italia se ne accorgerà, questa volta?

    Francesco Zanardi, Italia
    Si chiama come l’eroe negativo di Andrea Pazienza, ma è l’opposto: non sta fermo un attimo, scambia sorrisi e battute con tutti, il telefono in una mano e una tazza di caffè nell’altra. «Ho bisogno di zuccheri, altrimenti non reggo», dice, quasi scusandosi, e intanto dispensa carezze al suo fidanzato, che lo segue timido a qualche passo di distanza. Sta facendo lo sciopero della fame perché tutti i preti pedofili vengano processati e ridotti allo stato laicale; da quando ha preso coscienza del trauma subito da bambino, ha contattato altre vittime e si è messo sulle tracce dei sacerdoti responsabili: li cerca ovunque, con tenacia, senza scoraggiarsi. A Savona, la sua città, lo conoscono tutti: «Mi sono trasformato in una specie di investigatore dell’abuso», scherza. Grazie alle sue segnalazioni, è stata aperta un’inchiesta sulla diocesi. «L’ambiente lo conosco bene, dato che ho lavorato dodici anni in Curia. Anche se, quando ho denunciato alle autorità ecclesiastiche di essere stato violentato per sei anni dal mio parroco, mi hanno licenziato». Perché fai tutto questo? «Per evitare che succeda ad altri quel che ho dovuto subire io. Oggi sono contento, comincio a vedere dei risultati». Qual è il tuo più grande desiderio? «Una vita normale. L’abuso ti toglie l’innocenza anche nelle piccole cose. Quando la sorellina del mio compagno mi si siede sulle ginocchia non vedo l’ora che si alzi». La cosa più importante? «L’amore. Ho avuto relazioni complicate ma adesso sto con un ragazzo che ha bisogno di me. E sono felice».

    Margaret Kennedy, Irlanda
    «Quando vieni stuprata da un prete, è con Dio che te la prendi. La prima cosa che pensi è: perché lo ha permesso? In qualche modo è lo stesso sacerdote a suggerirti che è proprio Dio a volerlo». A Margaret Kennedy è capitato quando aveva 25 anni; alle spalle aveva già una violenza subita da bambina, da parte del fratello, e messa a tacere dalla famiglia. Ha sofferto di problemi neurologici che l’hanno costretta ad assumere farmaci per anni. Nonostante questo, si è laureata e la sua è stata una delle prime tesi in Europa sugli abusi sessuali in ambito religioso. Hai avuto giustizia? «Non mi hanno presa sul serio perché ero già adulta, quindi ai loro occhi dovevo essermela cercata. Il primo prete a cui l’ho raccontato mi ha chiesto se ero vergine. Mi sono poi rivolta a un gesuita, ero in lacrime e lui mi ha detto: sei depressa, vai da uno psicologo». Come hai reagito? «Quando ho capito che da loro non avrei avuto nessun aiuto, ho contattato altre vittime e insieme abbiamo fondato un gruppo per elaborare quello che è successo e sostenerci a vicenda». Cosa ti fa più arrabbiare? «L’atteggiamento profondamente misogino della Chiesa cattolica: non c’è un dialogo alla pari, gli uomini pretendono di imporsi e io non posso più accettare che un uomo mi dica cosa fare». Cosa pensi della posizione assunta sugli abusi? «Il papa chiede scusa ma non agisce per cambiare davvero la situazione. Ne è una prova il fatto che siamo venuti fino a Roma per incontrarlo e non ha voluto riceverci». Come vivi la sessualità oggi? «Non ho più potuto concepire di farmi toccare da un uomo. Quello che mi è successo è direttamente responsabile del fatto che sono e resterò single».


    Sue Cox, Inghilterra

    «Venivo da una famiglia molto cattolica, dove avevo paura anche di respirare» ricorda Sue, che oggi ti accoglie con un sorriso luminoso e uno sguardo tutt’altro che remissivo. La prima volta è successo durante la confessione, una bambina di dieci anni inginocchiata davanti al suo sacerdote per arrivare pura il giorno della prima comunione. Il prete cambia parrocchia, sembra la fine di un incubo: «Invece dopo quattro anni è tornato e, dato che frequentava casa nostra, un giorno me lo sono trovato in camera mia. Mi è piombato addosso e non riuscivo a fermarlo, puzzava, cercava di baciarmi, ricordo ancora l’odore tremendo del suo alito. Quando mia madre finalmente è arrivata e si è resa conto di quello che era successo, mi ha lavata e poi mi ha chiesto di pregare per lui». Pregare per il prete? «Sì. Diceva che questo era nei piani di Dio. È anche rimasto a dormire da noi e lei gli serviva tè e biscotti». Da quel giorno Sue ha smesso di mangiare e ha cominciato a bere. A 17 anni si è sposata con un uomo violento – «Affogavo nel senso di colpa, ero convinta di non meritarmi di meglio» – e, da brava cattolica, ha messo al mondo sei figli. La vita è cambiata «quando il mio bambino più piccolo aveva tre mesi: mi sono guardata intorno e ho capito che se non la smettevo avrei rovinato lui e tutti i fratelli. L’ho fatta finita con farmaci e alcol, ho ripreso a studiare. I miei figli mi hanno sempre sostenuta, mio marito invece mi ha mollata: mi preferiva prima, quando ero succube e malleabile». Sue oggi ha 63 anni e un nuovo compagno, è buddista e si occupa di medicina orientale. Solo da poco ha trovato la forza di raccontare; ha scritto una lettera all’arcivescovo di Canterbury. Risposta: perdonali, perché non sanno quello che fanno.

    Bernie McDaid, Stati Uniti
    «Dove sono i panini? Posso avere un’aragosta?». Scherza, Bernie Mc Daid, quando si siede davanti a me per l’intervista. Energico, caloroso, si racconta volentieri: «Sono decoratore e nel tempo libero scrivo la storia della mia vita, è diventata una passione che mi mantiene sano di mente». Un libro difficile, che parla di un ragazzino timido che va bene a scuola e fa il chierichetto in parrocchia. Il prete porta i bambini in gita al mare, i genitori li pensano al sicuro. «Ci caricava in macchina e, una volta dentro, allungava le mani. Mi rivedo camminare sul vialetto, mia madre sulla soglia di casa e il prete che mi aspetta in fondo alla strada: dentro di me grido “mamma, salvami!”, ma la voce non esce. Ero inchiodato dalla vergogna». Lo stesso sacerdote è insegnante di religione e, per aiutare i ragazzi nell’età della crescita, si inventa dei particolari colloqui educativi. «Ci chiamava uno ad uno e ci assediava con domande imbarazzanti. “Ti masturbi? Quanto ce l’hai lungo?”, mi chiedeva, e intanto spingeva il ginocchio fra le mie gambe. Avevo undici anni e stavo appena cominciando a scoprire il mio corpo, quei contatti erano terribilmente umilianti. “Pensi ogni tanto ai maschi?”, insinuava. “A me piacciono le ragazze!”, mi ribellavo. E lui: “Magari un giorno cambi idea”». L’adolescenza, fra alcol e droga, è una discesa verso l’autodistruzione, ma Bernie non si arrende: si trova un lavoro e mette su famiglia. «Ma col passato ho chiuso a 46 anni, quando mi hanno chiesto di testimoniare contro padre B. Finalmente non ho più provato rabbia e mi sono sentito liberato». Dopo un divorzio, si è risposato con una brasiliana. «Andiamo a ballare, ridiamo. Non mi interessano ricchezza o successo, voglio solo riuscire a respirare lentamente e godermi ogni singolo giorno».

    Alda Franchetto, ex istituto Provolo, Italia
    «Al Provolo sono entrata che avevo solo quattro anni, mi chiamavano Marcellino pane e vino per la mia vitalità, ero la più piccola. All’inizio è stato il freddo dell’inverno a mettermi nei guai: non c’era riscaldamento e noi portavamo delle calze di lana spesse, che pungevano la pelle, e io mi grattavo sempre le gambe per il fastidio. “Che fai?” mi ha detto un giorno la suora, “non lo sai che è peccato?”. Mi ha dettato un biglietto e mi ha spedita dal prete per la confessione. “Mi sono toccata”, c’era scritto. Il prete l’ha letto e mi ha toccata lui, sotto quelle dannate calze. Da quel giorno io e le mie compagne siamo state palpeggiate regolarmente una volta alla settimana, era la nostra personale versione del sacramento. A 21 anni, quando sono finalmente potuta uscire dall’Istituto, il segretario dell’ente internazionale sordomuti di Verona, proprio quello che avrebbe dovuto darmi una mano per inserirmi nella società, mi ha violentata. Sono rimasta incinta e i miei mi hanno buttata fuori di casa; dicevano che non ero in grado di occuparmi di un bambino. Invece ho tirato su lui e anche i due figli del mio convivente, morto alcolizzato. Degli abusi non ho mai parlato. Ma mio figlio era tossicodipendente, entrava e usciva dalle comunità, non sapevo più come aiutarlo e allora poco tempo fa gli ho raccontato tutto. Lui ascoltava e mi stringeva forte il ginocchio. Ora sta bene. E io mi sono resa conto di quanto sono riuscita a dare agli altri senza pensare a me».

    Gianni Bisoli, ex istituto Provolo, Italia
    La sua determinazione l’ha portato a diventare uno dei principali accusatori nello scandalo che ha coinvolto l’Istituto Provolo per sordomuti di Verona. L’hanno minacciato per dissuaderlo, hanno provato a blandirlo, ma lui ha tenuto duro. Amabile con tutti, dinamico, ancora oggi a più di sessant’anni fa il maestro di sci, in montagna e sul lago di Garda. Una resistenza fisica e psicologica che gli ha permesso di sopravvivere: dai nove ai quindici anni, durante la sua permanenza al Provolo, viene infatti ripetutamente violentato da ben sedici fra sacerdoti e fratelli laici. Lo accompagnano anche negli appartamenti del vescovo di Verona, che a sua volta abusa di lui. Per due volte scappa dal collegio e si fa tutta la strada a piedi fino a casa sua, a Sirmione, ma è costretto a tornare dentro: alla fine degli anni Cinquanta un bambino sordomuto non ha molte scelte. Anche se i reati sono ormai caduti in prescrizione, Gianni non dimentica. Soprattutto i sette responsabili ancora in vita.

    Shelly Winemiller, Stati Uniti
    Qual era il tuo sogno da bambina? «Cantare: volevo che la mia voce arrivasse in cima alle montagne e facesse il giro del mondo». Sei riuscita a perdonare? «Ho perdonato il prete, perché forse a sua volta aveva subito violenza, ma non posso fare lo stesso con la Chiesa, che ignora il problema e non fa nulla per aiutare i pedofili e le loro vittime». Shelly ha 42 anni, è sposata e ha tre figli. Cantare le ha salvato la vita, permettendole di resistere nei momenti più duri: oggi dirige un coro di 65 ragazze. Lui chi era? «Un prete amico di famiglia. Ha abusato di me dai quattro ai quattordici anni». L’hai denunciato? «Ho parlato con tre vescovi ma nessuno mi ha dato retta». Sei ancora credente? «Sì, ma non sono più cattolica». Che cosa significa rinascere? «Ridare voce alla bambina che ero, rivendicando la verità a dispetto di quello che possono pensare gli altri». Un viaggio che vorresti fare? «Andare in Sudafrica e fare un concerto con Oprah Winfrey». Qual è la via d’uscita dal dolore? «Cercare di reprimere i ricordi negativi mi ha portato a soffrire di depressione e attacchi di panico per anni. Quando ho riconosciuto il mio dramma, sono rinata. Se la chiesa facesse lo stesso, tutti potrebbero guarire».

    *PAG*

    Ton Leerschool, Olanda
    Quando è successo? «Avevo 13 anni, ero in collegio dai preti, sono stato abusato dal mio educatore». Se ne sono accorti? «Un giorno è venuto il preside a dirmi che dovevo smetterla di adescarlo, altrimenti avrebbe avvisato la polizia». Come ti sei sentito? «Cattivo». Come hai reagito? «Non ho più accettato nessuna regola, sono andato via di casa e ho cominciato a farmi». La svolta? «A 22 anni, quando sono andato in Svezia lontano da tutto, mi sono buttato sui libri e sono diventato consulente finanziario». Come gestivi il trauma? «Non lo realizzavo nemmeno io. Solo alla morte di uno zio, quando tra le sue cose abbiamo trovato materiale pedopornografico, sono stato costretto a confrontarmi con il mio passato». Hai denunciato l’aggressore? «Non ancora. Ho intentato una causa contro la chiesa in Olanda ed è stato condannato da un tribunale civile». L’abuso influisce sulla tua vita? «Quando i miei figli erano piccoli non riuscivo a cambiarli, a fargli il bagno; mi sentivo terribilmente a disagio ad avere un contatto fisico con loro. Anche con mia moglie l’intimità a volte è ancora un problema ma il nostro rapporto è diventato molto più solido». Sei cambiato? «Le avversità mi hanno reso più forte e più furbo». Il tuo desiderio più grande? «Poter incrociare un prete per strada senza sentirmi spaventato. Un’angoscia che avrà fine solo quando la Chiesa smetterà di coprire i sacerdoti». Cos’è l’amore per te? Ton abbandona il tono sicuro con cui ha risposto fino a ora e gli vengono le lacrime agli occhi. Mi scuso, spengo il registratore.

    Salvatore Domolo, Italia
    Cosa ti ha salvato? «La mia testardaggine, non ho mai accettato la sofferenza in modo passivo». Come si affronta il dolore? «La ferita di un abuso è insanabile, ma si può imparare a conviverci, superando la vergogna e consolando il bimbo che è in noi». Cos’è la fede? «Una ricerca di sé, della propria interiorità». Il peggior difetto di un uomo? «La vigliaccheria». Il tuo concetto di coppia? «Donarsi, cercare valori comuni. Io ho incontrato una persona che crede in un progetto di condivisione totale». Con chi vorresti andare a cena? «Margherita Hack». Con chi non andresti mai? «Berlusconi e papa Ratzinger». Cosa ti fa più paura? «L’attacco alla mia integrità. Ora che l’ho raggiunta non sono più disposto a metterla in discussione». Fino al 2005 Salvatore era prete; oggi è floral designer. Si è fatto sbattezzare.

    scritto da Federica Tourn
    http://www.marieclaire.it/Attualita/news-appuntamenti/Fuori-dall-ombra2#3

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    Federica Tourn è giornalista professionista; come freelance si è occupata soprattutto di migranti, religioni, diritti umani, mafie, femminismo. Ha scritto reportage da diversi paesi, dalla Siria al Libano, dalla Bosnia all’Ucraina; ha collaborato fra gli altri con Diario, D Repubblica, Il Manifesto, Left, Rolling Stone, Vanity Fair, Marie Claire, Famiglia Cristiana, Pagina99, Eastwest, FQ Millennium, Huffington Post UK, Geographical. Insieme ad altre donne, nel 2007 ha pubblicato per l’editrice Claudiana La Parola e le pratiche. Donne protestanti e femminismi e nel 2020 per le edizioni Aut Aut ha scritto Rovesciare il mondo. I movimenti delle donne e la politica. Su Jesus cura le rubriche “Ecumene” e “Le Straniere”. Per Domani dal 2022 si occupa dell’inchiesta sulla violenza nella Chiesa cattolica. Nel 2020 ha vinto la prima edizione del  “Piazza Grande Religion Journalism Award”, organizzato dall’Iarj, l’Associazione internazionale di giornalisti religiosi, e nel 2023 la seconda edizione del Premio Mimmo Cándito-Per un giornalismo a testa alta.

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