Non è chiaro.
Leggendo l’articolo di Padre Hans Zollner “Detenzione nelle case della chiesa proposta per preti abusatori” Emergono subito alcune questioni che non ci sentiamo, in coscienza, di tacere.
Il riferimento a questi “luoghi” – una sorta di “carcere a vita” per i preti pedofili – risulterebbe una sorta di “obbligo”?
Il presupposto dal quale parte l’autore di questa proposta, che è il Presidente del Centro per la protezione dei minori della Pontificia Università Gregoriana (CCP), da poco trasformato in Istituto di Antropologia, studi interdisciplinari sulla dignità umana e sulla cura delle persone vulnerabili (IADC), è il fatto che il pedofilo ripete il reato, non si ferma. Ma di quale pedofilo si sta parlando?
Quello “presunto”, ovvero quello per il quale non vi è ancora stata una condanna da parte dello Stato, quello che non è ancora stato denunciato o non lo sarà mai perché la vittima non riesce a denunciare? Oppure quello che “solo la chiesa” conosce perché la vittima si è rivolta ad un organismo ecclesiastico che mette tutto a tacere? Di quale categoria di prete pedofilo parliamo?
Se non è ancora stato condannato e non ha scontato la sua pena in carcere si pongono almeno tre problemi:
- Questi luoghi sono dunque una alternativa al carcere perché i preti hanno una sorta di privilegio rispetto agli altri cittadini che commettono lo stesso reato? (oppure sarebbero un “dopo-pena”?)
- E chi stabilisce la loro colpevolezza se non subiscono un giusto processo? E se fossero, per assurdo, innocenti?
- “Carcere a vita”, ovvero senza fine pena. E se i preti volessero andarsene? In base a quale norma/obbligo/motivo sarebbero costretti a rimanervi per sempre? Non sarebbe una sorta di abuso nei loro confronti? E i preti dimessi dallo stato clericale? Loro sarebbero “liberi”?
Inoltre viene elegantemente glissato il tema delle vittime. Padre Zollner, con un doppio salto mortale, sposta l’attenzione sulla prevenzione: “Ogni volta che la Chiesa ha sottolineato che aveva anche il dovere di prendersi cura dei colpevoli, la gente l’ha subito accusata di pensare ancora una volta più ai colpevoli che alle vittime – ha detto Zollner – ma non era questa l’intenzione qui. Si trattava di impedire che più minori diventassero vittime”.
Evita così di ricordare che le vittime reali esistono. Le vittime reali sono persone che hanno subìto dei danni che li accompagneranno per tutta la vita: il disturbo post-traumatico non si cura con l’Aspirina o un antibiotico per 10 giorni. Quanti non riescono ad affrontare un malessere così atroce e si suicidano? Ogni vittima ha provato almeno una volta a farla finita, ed è una tentazione sempre in agguato.
Il danno subìto richiede un indennizzo. Padre Zollner ha abilmente scelto di non vedere l’altra faccia della medaglia, quella scomoda, quella fastidiosa, quella che mette il dito nella piaga di questa Chiesa che continua a far finta di affrontare seriamente il problema.
Unico merito di questa proposta? Riconoscere, da parte di un organismo ecclesiastico, quale l’ “Istituto di Antropologia, studi interdisciplinari sulla dignità umana e sulla cura delle persone vulnerabili (IADC)”che il prete pedofilo non smette di essere tale, e che la chiesa ha il dovere di occuparsene a vita (ovvero non basta ridurlo allo stato laicale e lavarsene le mani!).
Come Comitato Vittime & Famiglie della Rete L’ABUSO non ci accontentiamo di queste proposte che, ancora una volta, sembrano un goffo tentativo per illudere l’opinione pubblica.
Quando la Chiesa si metterà davvero a fianco delle vittime?
Cristina Balestrini
Comitato Vittime & Famiglie della Rete L’ABUSO
Scopri di più da Rete L'ABUSO
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.