Il processo ecclesiastico a Marko Rupnik può attendere. Le indiscrezioni che davano per oggi, 13 ottobre, la sua apertura al Dicastero per la dottrina della fede, non hanno trovato conferma e il sacerdote sloveno, accusato di abusi sessuali e spirituali nei confronti di almeno trenta suore – il dato lo ha fornito il generale dei gesuiti, Arturo Sosa Abascàl – per ora può continuare a vivere relativamente tranquillo nel convento di Montefiolo, un tempo casa delle suore benedettine di Priscilla e oggi quartier generale di Rupnik e dei suoi fedelissimi, o nella Casa Maria Consolatrice a Santa Severa, dove il Centro Aletti tiene regolarmente gli esercizi spirituali.
Dopo lunga e laboriosa ricerca, i giudici sono stati trovati – lo ha detto il prefetto del Dicastero per la dottrina della fede Victor “Tucho” Fernandez già qualche mese fa – l’inchiesta è già stata fatta nel 2021, le vittime hanno testimoniato: praticamente le carte sono tutte sul tavolo eppure, ancora una volta, non succede niente.
Non è la prima volta, infatti, che si indaga sugli abusi dell’ex gesuita nella Comunità Loyola: il Dicastero ci aveva già provato, quando era prefetto il cardinale Luis Ladaria Ferrer, ma nell’ottobre 2022 il procedimento si era fermato per la volontà di papa Francesco di non processare Rupnik e sulla denuncia delle suore era calata la mannaia della prescrizione. Nell’ottobre del 2023 Bergoglio è stato poi obbligato dalla pressione delle vittime e dei media – e dalla rissa dietro le quinte del Sinodo sulla sinodalità con Sean O’Malley, fino al luglio 2025 presidente della Pontificia commissione per la tutela dei minori – a togliere la prescrizione. È da allora, esattamente da due anni, che si attende che questo processo venga celebrato.
Francesco non ha mai avuto la volontà di processare Rupnik. Lo ha sempre protetto – in modo anche smaccato, come quando nel 2020 gli ha fatto togliere la scomunica che il prefetto Ladaria Ferrer gli aveva appena impartito – e fino all’ultimo ha tenuto nella sua stanza a Santa Marta la riproduzione di un’opera dell’ex gesuita, proprio mentre nella chiesa infuriava la discussione se i mosaici dell’abusatore andassero distinti dal suo autore o distrutti perché offensivi.
Francesco proteggeva gli amici, è cosa nota, ma Leone? Per quanto se ne sa, Prevost non ha mai nemmeno incontrato Rupnik ma con il pontificato ha ereditato anche questo processo e si trova alle prese con una gigantesca patata bollente. Da un lato le vittime non hanno intenzione di accettare l’oblio su quanto hanno subito e chiedono giustizia e risarcimenti; dall’altro Rupnik, che negli ambienti della giustizia vaticana gode della reputazione di uomo vendicativo e tutt’altro che collaborativo, ha intessuto negli anni reti di complicità, presumibilmente corroborate dalla grande quantità di denaro accumulata vendendo mosaici alle chiese di tutto il mondo, e questo contribuisce a rendere difficile per il Vaticano un soluzione limpida a questa oscura vicenda.
Sono passati oltre cinque mesi dall’elezione di Leone XIV e ancora nulla si muove per un processo che praticamente è fatto, basterebbe fissare una data. Chi vive dentro la curia ha capito che il papa non se ne vuole occupare direttamente e lascia al prefetto Fernandez (l’uomo che negli ultimi anni ha protetto Rupnik per ordine di Francesco) il compito di sbrogliare l’intricata matassa. Qualcuno parla di tempi tecnici, qualcun altro pensa che semplicemente questo processo non s’ha da fare, almeno fino a quando il papa non avrà deciso se per la sua parossistica prudenza sia più pericoloso per la Chiesa l’insabbiamento perpetuo o un verdetto di colpevolezza per decine di abusi sessuali per l’ex gesuita Marko Rupnik, il protetto di Bergoglio.
https://federicatourn.substack.com/p/papa-leone-ci-dica-per-caso-il-processo














