Accogliendo una proposta elaborata dalla pontificia commissione per la Tutela dei minori, papa Francesco ha stabilito che è un reato canonico «l’abuso di ufficio episcopale», la prassi cioè, da parte dei vescovi, di non dare seguito alle denunce raccolte su presunti abusi compiuti da sacerdoti appartenenti alle loro diocesi. Al fine di rendere possibile l’individuazione e la punizione di eventuali responsabili, il papa ha quindi creato una sorta di commissione ad hoc all’interno della Congregazione per la dottrina della fede (Cdf) alla quale già spetta il compito di giudicare i sacerdoti accusati di pedofilia così come è stato stabilito nel 2010 dalle norme emanate da Benedetto XVI.
La decisione di Francesco, che colma un vuoto procedurale della Crimen sollicitationis del 1962, è stata annunciata con enfasi dalla sala stampa vaticana e presentata dalla stampa italiana come l’ennesimo segnale di svolta rispetto al passato compiuto da Bergoglio in materia di lotta alla pedofilia clericale. Indubbiamente il messaggio recapitato ai vescovi di tutto il mondo è in sintonia con l’intenzione espressa più volte dal successore di Joseph Ratzinger sin dalle prime settimane di pontificato, di estirpare la pedofilia dalle parrocchie, dagli oratori, dalle scuole e dai seminari cattolici di tutto il pianeta. Quanto però questa mossa potrà rivelarsi efficace (o «rivoluzionaria») è difficile dirlo oggi. In quanto l’obbligo per il vescovo di dare seguito a una denuncia non va inteso come obbligo di denunciare e collaborare con le autorità civili, ma solo di informare la Cdf riguardo eventuali situazioni critiche. Cosa che peraltro era già prevista, solo che in Vaticano mancava un organo giudicante ad hoc per i vescovi.
Quindi, per fare un esempio, in Italia non cambia nulla. La denuncia di un reato di questo tipo è obbligatoria solo per i pubblici ufficiali, pertanto la Conferenza episcopale italiana nelle sue linee guida ha stabilito che i vescovi non sono obbligati a informare l’autorità giudiziaria. Un eventuale abuso compiuto da un sacerdote della diocesi di Crema potrà essere denunciato dal vescovo solo in Vaticano, come del resto è accaduto nel caso di don Mauro Inzoli, ex vice presidente della Compagnia delle opere (il braccio operativo di Comunione e liberazione). Se non lo facesse scatterebbe per lui il processo canonico in Cdf. E qui c’è una seconda criticità da segnalare.
Il testo del decreto di Bergoglio non è ancora pubblico e quindi al momento si conosce solo quanto riporta dichiarato dalla sala stampa vaticana. Ma è noto che per quanto riguarda i procedimenti canonici in generale e quelli che si occupano della pedofilia in particolare, non c’è trasparenza amministrativa. Nel senso che quanto viene deciso dalla Cdf e soprattutto le motivazioni della sentenza sono coperte dal segreto. Pertantosemmai si venisse a sapere che un vescovo è stato “punito” dall’ex Sant’Uffizio, difficilmente in Italia sapremo di che natura è il “crimine” compiuto. Quindi solo accidentalmente un prelato che si dovesse rendere complice di un sacerdote pedofilo, evitando di segnalarlo alle autorità preposte, finirebbe sotto la lente della magistratura.
http://www.left.it/2015/06/14/bergoglio-e-la-pedofilia-ecco-cosa-accadra-ai-vescovi-che-insabbiano-le-denunce/
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