Per tutto il pontificato di Francesco lo slogan della “Tolleranza zero” ha nutrito speranze in tutti, soprattutto nelle vittime sopravvissute, da anni alla ricerca del riconoscimento di quanto subito e di un risarcimento umano, restituito da una chiesa impegnata non solo a riparare il danno, ma a prevenirlo.
Più di dieci anni dopo possiamo fare il punto e capire quanto effettivamente le cose siano cambiate, se effettivamente, la situazione sia rassicurante come riportano i media, così rassicurati a loro volta che oggi si fa persino fatica a reperire notizie in materia.
In 15 anni sono migliaia i dati che grazie a vittime coraggiose uscite dall’ombra sono giunti all’associazione, anche solo in forma di testimonianza, tuttavia ognuno di quei dati va ricordato rappresenta una vita alla quale corrisponde anche la personale storia di violenza sessuale, i vari dettagli e così via. Materiale accessibile solo agli operatori, che ad un certo punto abbiamo pensato data la vastità e l’importanza unica, soprattutto in Italia dove oltre il nostro, non esiste un dato governativo, a riflettere sull’importanza che poteva avere come valore sociale nonché come strumento di tutela per l’intera società. Per questo è nato iCODIS, una interfaccia filtrata nei dati sensibili che potesse essere consultata da tutti.
Ebbene iCODIS, oggi alla versione 4.2, è in grado di restituire una serie davvero notevole di dati censendo in tempo reale non solo la situazione nelle regioni e province italiane, ma addirittura quella delle Regioni ecclesiastiche e delle loro province, meglio conosciute come Diocesi.
Per una maggiore chiarezza abbiamo diviso i dati in due distinte sezioni, la prima espone i dati censiti dalla Rete L’ABUSO sulla base delle regioni italiane, la seconda invece, su una mappatura dell’Italia che ha confini territoriali differenti dai nostri.
Nel primo caso, “Database degli abusi sessuali nel clero italiano” troverete nella Home page l’annuario dei casi che
inizia a censire dal 1960, ma è molto scarno per carenza di dati fino al 2000, dove invece registrerà proprio in quell’anno già 14 casi, poco più di 1 al mese toccando l’apice nel 2016 con ben 38 casi, più di 3 al mese. Appena sotto il pannello che documenta le fonti dei casi che la Conferenza episcopale italiana ha dichiarato a partire dall’anno 2000. Subito dopo i vari database disponibili nel portale ed in fine iCODIS Live Search, un potente motore di ricerca direttamente all’interno del database.
Nella stessa sezione, ma in una seconda pagina l’approfondimento dell’Annuario storico proposto in Home page, questa volta compreso di dettagli e statistiche.
Immediatamente dopo i “Dati regionali divisi per province”, pannelli rappresentanti le regioni e i casi in ogni singola provincia italiana comprendenti quante bambine, bambini e persone vulnerabili sono vittime degli offender di quella regione, se questi sono stati abusati da sacerdoti, suore, catechisti, scout ecc. Trovate anche la situazione penale riferita a quegli offender, quelli ancora anonimi, quelli denunciati, quelli indagati, condannati in 1°, 2° o 3° grado, chi condannato in sede civile o in sede canonica ecc. Trovate anche qui un motore di ricerca, questa volta però interno alla sola area geografica.
Nell’ultima pagina di questa sezione “I dati generali di sopravvissuti e offender” il dettaglio non solo espresso con un chiaro grafico interattivo, ma anche dettagliato sempre per regione e categoria di offender, con una tabella numerica sia per gli offender, sia per le loro vittime.
Passando alla seconda sezione “Le omissioni nelle Diocesi CEI” dove ricordiamo che il dato utilizzato è quello fornito dalla Conferenza Episcopale Italiana che, per quanto poco attendibile, ci sentiamo di garantire come reale, in quanto discorda da quello censito da Rete L’ABUSO di una sessantina di casi su 1106 da noi censiti, 1049 dichiarati invece da CEI.
Per correttezza ricordiamo che il dato fornito da CEI è incredibilmente fumoso, privo di date dei crimini, luoghi dove sono avvenuti, dove la chiesa ha ricollocato l’offender e quali cure abbia affrontato prima del ricollocamento, la loro identità e quante vittime abbiano prodotto ecc. Per quanto riguarda la parte di dati raccolti da CEI tramite gli sportelli diocesani, è addirittura ignoto quali siano gli sportelli di provenienza del dato e in quali diocesi. Ma non scoraggiatevi, come vedrete siamo comunque riusciti ad esporre ugualmente la situazione.
Nella Home di questa sezione il primo pannello fotografa ampiamente quanto poi più avanti dettagliato, per nulla in linea con slogan durati più di dieci anni che dicono “Tolleranza ZERO”, a meno che non abbiamo compreso totalmente al contrario quello slogan, che dietro se portava non solo l’apertura degli archivi diocesani, ma la trasparenza della chiesa, anch’essa messa in forte dubbio dai dati CEI, come detto prima, privi persino di indicazione geografica.
Ecco il primo pannello che nel rendiconto sintetico dice; che su 1049 preti dichiarati da CEI, forse a causa della poca trasparenza, tuttavia risulta di quei casi che la chiesa italiana non ne ha denunciato neppure 1 all’autorità giudiziaria italiana. Che invece quella canonica ne ha processati presso i suoi tribunali solo 74, nessuna traccia dei restanti 975.
Riguardo le vittime invece – sempre in virtù della trasparenza – non vi è praticamente traccia, tranne quelle poche indicate negli unici tre report della CEI, anche in questo caso però manca riferimento geografico, il supporto medico e non fornito e via dicendo. Per poter quindi fare un paragone tra il dato della RETE e quello della CEI che è privo di sopravvissuti ma che nel numero di offender in abito talare è in linea con il nostro, abbiamo utilizzato a parità di offender, quello dei sopravvissuti censito dall’associazione. Parliamo anche in questo caso di un dato in grave difetto che oggi conta sole 4619 vittime sopravvissute, diciamo sole perché il dato è in pesante discordanza con il numero di vittime censite nelle commissioni d’inchiesta governative fatte negli altri stati. Tuttavia riusciamo a farci un’idea piuttosto precisa.
Risulta che su 4619 sopravvissuti da noi censiti, solo 2 abbiano ottenuto la giustizia promessa/attesa dai tribunali canonici, solamente una è stata risarcita spontaneamente dalla chiesa, mentre le altre poche che hanno ancora potuto recuperare un indennizzo prima della prescrizione maturata nel tempo intercorso in attesa dell’esito canonico, lo hanno ottenuto tutte grazie ai tribunali italiani.
Proseguendo nella pagina seguono i pannelli che rappresentano altri dati interessanti e tristemente significativi, ad esempio quanti sportelli diocesani siano realmente attivi su 226 diocesi totali, quante siano le strutture terapeutiche sparse sul territorio per le vittime, quante invece per gli offender. Come fatto nell’altra sezione, questa volta indicando però la regione ecclesiastica e la diocesi di appartenenza, anziché la provincia, il dato dei casi censiti in ogni diocesi italiana, il numero di vittime in quella diocesi pochi altri dati.
Passando al pannello successivo la storica mappa delle “Diocesi insicure” con tutti i casi sul territorio, questa volta però aggiornata in tempo reale direttamente dal database.
Le due sessioni successive raccolgono invece una “Gli “omissori” di denuncia dei casi italiani” ovvero, l’elenco dei vescovi e cardinali che hanno rinunciato ad esercitare la loro “facoltà morale” di denunciare in tutela dei minori a loro affidati, gli offender alla magistratura. Naturalmente troverete anche quei vescovi pizzicati direttamente con le braccia infilate nella marmellata nel tentativo di coprire.
Nella seconda le “Comunità di recupero per sacerdoti” con l’elenco di tutte le strutture scoperte nel tempo sul suolo italiano, adibite alla cura dei preti pedofili o in difficoltà.
L’ultima sessione “Casi denunciati alla DDF” censisce quanti sopravvissuti insoddisfatti dal processo diocesano si siano successivamente appellati alla DDF, ma noi ne censiamo solamente 14 di cui 13 non anno mai ricevuto neppure una risposta, l’unica nota invece risulta inconcludente.
Concludendo va ricordato che rimangono ancora in mano alla DDF i 613 casi di cui ci informò nel 2022 il cardinale Zuppi, che con apparente umiltà condì con la frase “Ci prenderemo le botte che dobbiamo prenderci e anche le nostre responsabilità”.
Chissà se almeno quei 613 casi poi spariti in un battibaleno dalla memoria di CEI e media , hanno avuto una sorte migliore di quelli da noi censiti.
Riguardo alle botte invece questa la sappiamo!
Quelle le abbiamo prese ancora una volta noi vittime mentre grazie a Dio, la chiesa non si è fatta un solo graffio.
Riguardo la responsabilità assunta dalla CEI, ogniuno tragga a questo punto le proprie conclusioni.
Resta ancora un ultimo dubbio.
Ma quando Papa Francesco diceva “Tolleranza zero”, a cosa si stava riferendo?