Nella Chiesa italiana non abbiamo mai visto una situazione così pesante e confusa. Un sacerdote – padre Giuseppe Rugolo – era stato condannato sei mesi fa dal tribunale di Enna per violenza aggravata su minore; allo stesso tempo, i magistrati – nelle motivazioni della sentenza – hanno mosso pesanti critiche sul modo in cui il vescovo – mons. Rosario Gisana – aveva gestito il caso. Lui stesso, in un’intercettazione, affermò di averla soffocata. A sostegno di Gisana è intervenuto pubblicamente anche papa Francesco , ritenendolo perseguitato. L’ultimo episodio di questa incredibile vicenda è l’intervista di Gisana al quotidiano La Stampa, nella quale respinge le accuse mosse contro di lui dai magistrati italiani, contenute nelle motivazioni della sentenza di colpevolezza di Rugolo. “I fatti sono avvenuti prima del mio insediamento a vescovo della diocesi”. Peccato che la sua versione sia stata completamente smentita dal vescovo precedente. “Se fossi stato a conoscenza di questi fatti che per me costituiscono un reato, non avrei esitato a prendere provvedimenti”. Con questa frase lapidaria, mons. Michele Pennisi, vescovo emerito, getta altre ombre sul modo in cui la Chiesa e il Vaticano hanno affrontato un brutto capitolo fatto di insabbiamenti, omertà, trasferimenti.
Pennisi, parlando all’Ansa, sembra stupito: “Non ho mai ricevuto alcuna segnalazione riguardo Rugolo. Perché, quando sono stato informato, come nel caso di Gela, ho subito preso provvedimenti seri”.
LA PROCURA
È la prima volta, infatti, che un pubblico ministero sottolinea con forza la responsabilità di una diocesi nella gestione dei casi di abusi sui minori. Le parole sulle motivazioni della sentenza fanno riflettere: «Sembra esserci una corresponsabilità della curia nella persona del vescovo (Gisana ndr) il quale, evidentemente, aveva autorizzato padre Rugolo, come figura di riferimento della sua associazione, di operare all’interno della Chiesa, consentendole così, con la piena compiacenza della diocesi, di creare occasioni di incontro e di frequentazione dei giovani adolescenti (…) dall’istruzione sono emersi elementi chiari ed inequivocabili a sostegno di comportamenti consapevolmente illeciti sul piano parte di mons. Gisana che legittima la condanna al risarcimento dei danni da parte della curia, quale responsabile civile, per i danni cagionati dagli abusi sessuali perpetrati da padre Rugolo” .
La vicenda giudiziaria si è svolta a porte chiuse, in tribunale, anche se nelle cronache sono emersi più volte nelle cronache dettagli scabrosi, sorprendenti e un’ingiustificata omertà sostanziale, a cui si aggiunge perfino l’ostinato silenzio della CSI e del Vaticano. In tutto questo tempo non hanno mai preso posizione, né tantomeno considerato sanzioni canoniche né per il vescovo per aver insabbiato la vicenda, né per il sacerdote condannato per il momento solo dal tribunale italiano.
Monsignor Rosario Gisana, vescovo di Enna, già nel 2016 «e negli anni successivi quando padre Rugolo continuava a perpetrare abusi sessuali su Giulio e Paolo (i nomi sono fittizi ndr) era pienamente consapevole che l’imputato gli era stato denunciato per aver , nel recente passato, hanno avuto comportamenti simili con ragazzi molto piccoli”. Sempre nelle motivazioni scritte dai magistrati, si aggiunge in appendice: «Tale circostanza è stata ammessa dallo stesso Gisana nel corso del suo interrogatorio, oltre ad essere emersa dalle deposizioni di diversi testimoni».
Davanti ai giudici il vescovo ha anche ammesso di aver parlato con padre Rugolo ancor prima di incontrare i genitori della vittima e la stessa vittima. In un’intercettazione telefonica Gisana, ancora nel 2016, mentre “rideva nervosamente” dei fatti, affermava in dialetto siciliano che queste sono cose che fanno parte del viaggio. Aggiungendo che “gli omosessuali amano visceralmente o odiano visceralmente e che è una vendetta per una persona che è stata rifiutata”. In un’altra parte, ha ripetuto che non poteva abbandonare il suo sacerdote, “mi dovete scusare”. In un colloquio con l’imputato, che ha definito “la mia gioia”, si è mostrato consapevole di quanto stava accadendo: “Ora il problema non è solo tuo, il problema è anche mio perché ho nascosto questa storia.
I MINORI
Per i magistrati, il vescovo “ha evidentemente omesso ogni seria iniziativa necessaria a tutelare i minori della sua comunità e i loro genitori, nonostante la titolarità di precisi poteri conferiti nell’ambito della funzione di tutela dei fedeli, ha agevolato l’attività predatoria di un prelato già menzionato. Sarebbe stato necessario da parte dell’autorità religiosa alla guida della diocesi non solo segnalare tali denunce alle autorità religiose secondo le procedure esistenti nel diritto canonico ma anche impedire, anche in via preventiva, a Rugolo di coordinare e gestire numerosi gruppi di giovani in attività ricreative di carattere religioso. Non è stato quindi attivato alcun controllo a tutela dei giovani e Rugolo ha quindi commesso impunemente abusi sessuali “su due giovani adolescenti, consapevole di poter contare sull’appoggio di leader religiosi che, al contrario, hanno contribuito a rafforzare l’immagine esterna” dei giovani. Padre Rugolo come figura di spicco del clero locale”. La conclusione del magistrato è concisa: “L’imputato e la curia devono essere condannati a risarcire alle stesse parti civili le spese di costituzione e di difesa”.
Un precedente nella lotta alla pedofilia e agli abusi tra il clero destinato ad aprire una nuova fase in Italia, nell’immobilità generale della Chiesa italiana riluttante a imitare la strada seguita da altri Paesi europei.
IL PAPA
Il Papa, poco prima della sentenza, nel dicembre scorso, ricevendo in Vaticano un’associazione religiosa siciliana, ha voluto congratularsi con il vescovo di Piazza Armerina, mons. Gisana: “Bravo, questo vescovo, bravo. È stato perseguitato, calunniato ed è rimasto saldo, sempre giusto, un uomo giusto. Ecco perché, quel giorno in cui sono andato a Palermo, ho voluto fermarmi prima a Piazza Armerina, per salutarlo; è un buon vescovo”. Francesco non aggiunge altro ma le sue parole hanno avuto una certa risonanza proprio perché padre Rugolo era appena stato processato. Secondo le indagini, coordinate dalla Procura e svolte dalla polizia di Caltanissetta e dalla questura di Gela, avviate nel 2022, la vittima aveva informato il vescovo degli abusi subiti.
MOTU PROPRIO
Un motu proprio del 2016 di Papa Francesco afferma che i vescovi che sono stati giudicati negligenti dovrebbero essere rimossi dall’incarico. Spetta naturalmente ad un’inchiesta canonica giudicare il loro comportamento. In pratica, il provvedimento prevede che, tra le “cause gravi” che il diritto canonico già prevede per la revoca dell’ufficio ecclesiastico (di vescovi, eparchi o superiori maggiori), sia inclusa anche la negligenza riguardo ai casi di abusi sessuali. La decisione deve, però, essere sempre sottoposta all’approvazione del Pontefice.
https://www.ilmessaggero.it/fr/scandale_dans_l_eglise_italienne_un_pretre_condamne_et_un_eveque_accuse_de_dissimulation-8265991.html
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