Il convento degli orrori se ne stava abbarbicato sulle colline sopra Verona, ora non è rimasto più niente, in un palazzo maestoso ed elegante, che trasudava ricchezza: è qui che un ragazzo appena maggiorenne, in fuga dal Libano martoriato dalla guerra e in Italia per studiare e costruirsi una nuova vita, è stato drogato e violentato dal padre superiore che guidava quella piccola ma potente congregazione. Stordito, abusato, legato a un letto per più di un mese e mezzo prima di riuscire a fuggire: sono passati ormai 30 anni da quei fatti raccapriccianti ed è ora che il triste protagonista di quella vicenda ha deciso di raccontare quanto accaduto in un libro. “Beirut-Verona sola andata”, pubblicato da Rossini Editore, è il volume a firma di Robert El Asmar in cui, seppure con nomi di fantasia e qualche pagina per ovvi motivi necessariamente romanzata, l’autore ripercorre quei terribili giorni, anzi quei “delitti”, come lui stesso li definisce, ma per i quali nessuno è mai stato indagato, punito o condannato.
Il protagonista del libro è il giovane Marwan: 18 anni, in fuga dal Libano e dalla guerra, dove ha già visto morire (con i propri occhi) il fratellino di pochi mesi di vita e il suo migliore amico. Il testo comincia con un viaggio in treno, direzione Verona, quello che dovrebbe essere il viaggio della speranza: Marwan viene da una famiglia cattolica molto praticante e benestante (e anche per questo assai perseguitata negli anni della guerra) ed è grazie a un cugino prete che potrà essere ospitato da una congrega cattolica a Verona, la città in cui ha intenzione di frequentare l’università dopo aver vinto, in Libano, una borsa di studio messa in palio all’epoca dal ministero degli Esteri italiano. Siamo nella prima metà degli anni ’90.
“Marwan era la parte più genuina di me, morta e sepolta dopo quell’esperienza – racconta Robert El Asmar: classe 1973, è nato e cresciuto a Beirut, oggi lavora nel settore aeronautico e dal 2011 vive sul lago di Garda -. Era quel pezzo di me che si fidava degli altri, che cercava nuove speranze e sognava una vita migliore. In Libano mi sarei dovuto arruolare, era appena arrivata la cartolina: pensavo che quella borsa di studio fosse la mia salvezza. E invece ricordo quei giorni come una guerra peggiore di quella che avevo vissuto in patria. Un’esperienza che ha stravolto il mio animo e mi ha cambiato per sempre. Ho perso la mia innocenza, ho perso la mia fede che pure mi aveva dato forza in Libano, durante il conflitto”.
In quel palazzo ecclesiale Marwan incontra il padre superiore, che ha poco più di 40 anni e un animo a prima vista gentile: lo accoglie sotto la sua protezione, insieme passano bei momenti. Lo sostiene e lo aiuta negli studi, lo porta in giro alla scoperta dell’Italia, a Venezia pure un ristorante dove un primo piatto costava 50mila lire, e un secondo almeno 100mila. “Fino a quando, nel suo studio, non ha rivelato di essersi innamorato di me – continua El Asmar -. È da quel momento, da quando l’ho rifiutato, che è cominciato il mio calvario”. Prima un bacio (tentato) sulla bocca, poi una lettera: “Amore mio, mi dispiace averti messo a disagio. Ma quello che provo per te è un sentimento importante. Ricordati che dove c’è amore c’è Dio, e Dio benedice qualsiasi forma d’amore”…
Leggi l’inchiesta integrale di Alessandro Gatta
Scopri di più da Rete L'ABUSO
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.