(ANSA) – PALERMO, 21 AGO – La Procura di Enna chiede l’archiviazione della giornalista Pierelisa Rizzo, la cronista denunciata da Giuseppe Rugolo, il sacerdote a processo per “violenza sessuale aggravata a danno di minori”, ma i legali del prelato presentano opposizione e il gup fissa l’udienza camerale il prossimo 21 marzo.
La vicenda, prende l’avvio dalla pubblicazione di alcune chat a sfondo sessuale, contenute nella prima ordinanza, tra il sacerdote e alcuni giovani. Dopo la denuncia di Rugolo per diffamazione e diffusione di atti processuali, i legali del sacerdote chiedono l’oscuramento del post e il sequestro di tutti i supporti informatici della Rizzo.
Il Gip di Enna, Michele Martino Ravelli, accoglie in parte la richiesta e decide solo per l’oscuramento del post che, però non viene mai oscurato per decisione della Cassazione dopo il ricorso della Procura.
Lo scorso giugno il Pm Stefania Leonte chiede l’archiviazione, forte anche della pronuncia della Cassazione. Lo scorso luglio, però, i legali di Rugolo depositano una richiesta di opposizione e il Gup l’udienza camerale per la decisione finale sul rinvio a giudizio della giornalista.
La vicenda di Enna è simile a quanto sta avvenendo a Savona, dove Rugolo ha denunciato il presidente di Rete l’Abuso, l’associazione che si occupa di sopravvissuti a violenze clericali, Francesco Zanardi, per diffamazione.
Anche lì la Procura di Savona aveva chiesto l’archiviazione, ma i legali del sacerdote hanno fatto opposizione e il Gup ha fissato l’udienza per il prossimo 4 ottobre.
“Per i legali di Rugolo, e per quelli che rappresentano i responsabili civili al processo, il vero problema è che le notizie non escano dall’aula di Tribunale dove si sta svolgendo, ormai da due anni, il processo a porte chiuse – dice Pierelisa Rizzo, che è assistita dagli avvocati Eleanna Parasiliti Molica del Foro di Enna e da Giovanni Di Giovanni, del Foro di Caltanissetta – ma le querele temerarie non possono e non devono fermare la stampa che ha il dovere di continuare a raccontare un fatto di tale rilevanza sociale. Il processo a porte chiuse mi impedisce di entrare in aula, ma non di raccontare quello che succede nel procedimento che ho seguito, da sola, per oltre cento ore”. (ANSA).
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