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Home NEWS e CRONACA LOCALE Campania

Così la chiesa assolve e copre il prete pedofilo sotto falso nome

Accusato di violenza su minore, don Silverio Mura va da Napoli a Tortona e continua a fare il catechista con un'altra identità. Condannato in sede civile, adesso non si sa se e dove stia dedicando ai bambini

Federica Tourn by Federica Tourn
6 Settembre 2022
in Campania
Reading Time: 6 mins read
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Federica Tourn – Editoriale DOMANI – Quante facce può avere un prete? Quante vite, con la tacita complicità di chi lo circonda? Sicuramente più di un’identità, come dimostra l’incredibile storia di don Silverio Mura. Il prete, pedofilo, ha viaggiato in questi anni lungo la penisola coperto e assecondato dalle autorità ecclesiastiche, avvalendosi per un periodo persino di un falso nome: una vicenda che sarebbe grottesca se non fosse innanzitutto tragica. Ancora oggi, nonostante sia sotto processo per sostituzione di persone e una sentenza del novembre 2021 certifichi gli abusi commessi a danno di un minore, è incardinato nella diocesi di Napoli ma nessuno in curia sa o vuole dire dove eserciti attualmente il ministero, se sia in ritiro spirituale o ancora una volta a contatto con dei bambini.

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Don Silverio, 63 anni, nel 2010 viene accusato da Arturo Borrelli, oggi ultraquarantenne, di averlo ripetutamente stuprato quando era ragazzino: i fatti risalgono a trent’anni fa, dunque il reato in sede penale è ormai prescritto; tuttavia nel novembre scorso il Tribunale civile di Napoli ha riconosciuto alla vittima un risarcimento di oltre 320mila euro per i danni conseguenti agli abusi sessuali  subiti  da don Silverio Mura. Con una sentenza di primo grado che riconosce attendibile il racconto di Borrelli, il tribunale ha condannato in solido don Mura e il Miur, il Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, perché l’adescamento è avvenuto nella scuola media di Ponticelli, dove all’epoca don Mura era insegnante di religione.

Artura all’epoca ha soltanto tredici anni: «Don Silverio mi portava nell’appartamento che condivideva con la sorella e la madre anziana: in una stanza con le tapparelle abbassate e la porta bloccata da una poltrona, mi ha stuprato per tre anni, all’inizio anche più volte a settimana», racconta.

Diventato adulto, Arturo comincia a soffrire di svenimenti e attacchi di panico. Nel 2009 ha un malore sul lavoro: «mi sentivo morire e ho confessato tutto a mia moglie e a mia madre», spiega. L’anno successivo inizia il calvario delle denunce: si rivolge ai carabinieri ma il reato è ormai prescritto; chiede un incontro con il cardinale Crescenzio Sepe, all’epoca arcivescovo di Napoli, ma non ottiene risposta, soltanto una bustarella con 250 euro, consegnata a mano da due emissari della Caritas. Riesce ad avere un colloquio con il vescovo ausiliare Lucio Lemmo, ma senza esito. Una prima indagine viene comunque svolta dal vicario generale e, anche se non riscontra prove di abusi, la curia concorda con il prete un periodo sabbatico in una comunità religiosa fuori dalla diocesi. In realtà don Mura continua a insegnare religione ai ragazzi: prima all’alberghiero di Cicciano, a pochi chilometri da Napoli, e poi, nel 2013, in una scuola media del capoluogo. Esasperato, Borrelli nel 2014 torna alla carica chiedendo un risarcimento alla curia di Napoli; scrive anche a papa Francesco, che gli risponde assicurandogli che si occuperà del caso. A quel punto la Congregazione per la dottrina della fede, che si occupa di sanzionare anche i delitti dei chierici contro i minori, affida all’arcidiocesi di Napoli l’incarico di svolgere l’investigatio previa su don Mura, che terminerà due anni dopo con la decisione di non procedere con un processo penale canonico per mancanza di «elementi sufficienti».

Il tempo passa e la vicenda stagna. Borrelli, sempre più frustrato, minaccia di suicidarsi con un colpo di pistola davanti alla sede della curia se non avrà una risposta sul suo caso: come unico risultato, perde il lavoro di guardia giurata. Intanto, don Silverio Mura, formalmente in ritiro in una comunità religiosa, si sta in realtà preparando alla sua seconda vita. Nel 2016 infatti si presenta con il nome di Saverio Aversano a don Simone Baggio, parroco di Montù Beccaria, un piccolo centro di 1600 anime sulle colline pavesi. È accompagnato dall’ex parroco del paese, padre Egidio Pittiglio, all’epoca superiore generale dei Missionari della Divina Redenzione, la stessa congregazione, guarda caso, a cui don Silverio era stato affidato sin dal 2010, al momento della prima accusa di Borrelli.

A don Silverio, alias Saverio Aversano (cognome di sua madre) viene assegnata la cura dell’oratorio e il catechismo dei bambini della parrocchia e nessuno a Montù forse si sarebbe accorto della sua falsa identità, se non fosse stato per una trasmissione delle Iene, che il 7 marzo 2018 manda in onda proprio un servizio sul caso di Borrelli e don Mura. Don Silverio/Saverio viene riconosciuto da una parrocchiana e in breve la notizia si sparge. Anche troppo, dato che quando le madri dei piccoli del catechismo due giorni dopo si presentano alla lezione per fronteggiare il sacerdote, questo si è già dato alla macchia. Interrogati sul fatto dai genitori, il parroco, padre Simone Baggio (anche lui appartenente alla Congregazione dei missionari della Divina Redenzione) e lo stesso monsignor Vittorio Viola, all’epoca vescovo di Tortona, alla cui diocesi appartiene la chiesa di Montù Beccaria, cadono dalle nuvole.

«Il parroco ci disse che lo aveva incaricato del catechismo perché si stava riprendendo da un esaurimento nervoso e doveva stare tranquillo», racconta Elena (nome di fantasia), madre di uno dei bambini del catechismo della parrocchia di Montù. «A fare da tramite era stato padre Pittiglio – continua Elena – non è un caso che quando il prete è stato riconosciuto, lo stesso Pittiglio si è precipitato a Montù dalla Campania». Dal canto suo, l’ex sindaco Quaroni oggi afferma di aver sempre saputo che il vero nome di don Saverio era Silverio Mura: «ho tenuto i suoi documenti per dieci giorni in Comune, ha anche votato per il referendum consultivo del 2017», dice. Niente di strano, secondo Quaroni: «non è l’unico a farsi chiamare con un nome di battesimo diverso». Ma il cognome? «Di quello non sapevo niente».

Intanto a Napoli spunta un’altra presunta vittima, Raffaele Esposito, un uomo di qualche anno più giovane di Borrelli, che sostiene di essere stato anche lui abusato da don Mura quando era bambino. Di fronte a tanto clamore, la macchina ecclesiastica si mette in moto e, come si legge in una nota della curia arcivescovile di Napoli, impone le misure cautelari al sacerdote a partire dal 15 maggio 2018. Anche la Congregazione per la dottrina della fede torna sul caso, affidando al Tribunale Ecclesiastico Metropolitano di Milano la celebrazione di un processo penale giudiziale a carico di don Mura, «per valutare eventuali responsabilità dell’accusato» in tema di violenza su minori. Processo che si concluderà il 1° marzo 2019 con l’assoluzione (e il pieno reintegro) del prete perché, si legge nel dispositivo della sentenza, non si ravvisano «elementi veramente solidi che consentano di ritenere provate le accuse mosse al reverendo sacerdote Silverio Mura». «Per la Chiesa non è colpevole ma il processo è stato fatto senza ascoltare le vittime – commenta Arturo Borrelli – Raffaele Esposito e io non siamo mai stati sentiti a Milano».

La questione viene riaperta, come abbiamo visto, dalla sentenza del Tribunale civile di Napoli, che condanna il prete al risarcimento mentre assolve il cardinale Crescenzio Sepe e il vescovo Lucio Lemmo. Ora è in corso il processo di appello, ma sono tante le domande ancora senza risposta: chi faceva recapitare le lettere a don Mura a Montù Beccaria sotto il falso nome di don Aversano? Come facevano i vescovi, a Napoli e a Tortona, a non conoscere le modalità di trasferimento di un sacerdote da una diocesi ad un’altra? Chi ha agevolato l’ennesima fuga del prete e, soprattutto, dov’è oggi il pedofilo don Silverio?

Le gerarchie ecclesiastiche, ripetutamente interpellate da Domani, non rispondono. Non risponde il cardinale Crescenzio Sepe, né l’attuale vescovo di Napoli Domenico Battaglia; in curia non è stato possibile rintracciare nemmeno uno dei tre vicari generali e padre Egidio Pittiglio, raggiunto al telefono, si è rifiutato di parlare. A Montù Beccaria, dove sono andata di persona, ho scoperto che don Simone Baggio è all’estero e il suo sostituto in parrocchia, il suo confratello Mirko Mazzoleni Ferracini, ha sostenuto di non essere al corrente dei fatti perché arrivato da poco in paese – anche se risulta al servizio della comunità da più di dieci anni.

Un muro di silenzio si oppone anche alle legittime preoccupazioni dei fedeli. Le madri dei bambini di Montù Beccaria nel maggio del 2018, dopo la sua fuga dal paese, si erano rivolte persino a Sepe e avevano ricevuto soltanto una generica rassicurazione sul proseguimento delle indagini su un prete che – scrive il cardinale in risposta alla mail di Elena del maggio 2018 – «certamente non è stato lasciato libero, allora come oggi, di girare per l’Italia e svolgere senza controllo il ministero sacerdotale». Quindi la curia, come era facile immaginare, era a conoscenza degli spostamenti del sacerdote e della sua doppia identità, così come è difficile non pensare a una complicità dei Missionari della Divina Redenzione, che da anni gestiscono la comunità parrocchiale di Montù: le responsabilità saranno comunque accertate dal procedimento penale che si è aperto lo scorso ottobre a carico di don Mura, rinviato a giudizio per il reato di sostituzione di persona davanti al Tribunale di Pavia.

«Sepe ha sempre fatto di tutto per insabbiare il caso», rincara da parte sua Arturo Borrelli, che ha provato diverse volte a farsi ricevere dal cardinale, oggi emerito e membro del Dicastero per la dottrina della fede. Nel 2016 l’aveva anche denunciato «per grave negligenza nell’esercizio del proprio ufficio» in una lettera al prefetto del Dicastero per i vescovi, il cardinale Marc Ouellet, anche lui recentemente coinvolto nella bufera degli abusi sessuali nella Chiesa. Ironia della sorte, o ennesimo ingrediente di una romanzo criminale che è ancora ben lontano dalla parola fine.

 

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Federica Tourn è giornalista professionista; come freelance si è occupata soprattutto di migranti, religioni, diritti umani, mafie, femminismo. Ha scritto reportage da diversi paesi, dalla Siria al Libano, dalla Bosnia all’Ucraina; ha collaborato fra gli altri con Diario, D Repubblica, Il Manifesto, Left, Rolling Stone, Vanity Fair, Marie Claire, Famiglia Cristiana, Pagina99, Eastwest, FQ Millennium, Huffington Post UK, Geographical. Insieme ad altre donne, nel 2007 ha pubblicato per l’editrice Claudiana La Parola e le pratiche. Donne protestanti e femminismi e nel 2020 per le edizioni Aut Aut ha scritto Rovesciare il mondo. I movimenti delle donne e la politica. Su Jesus cura le rubriche “Ecumene” e “Le Straniere”. Per Domani dal 2022 si occupa dell’inchiesta sulla violenza nella Chiesa cattolica. Nel 2020 ha vinto la prima edizione del  “Piazza Grande Religion Journalism Award”, organizzato dall’Iarj, l’Associazione internazionale di giornalisti religiosi, e nel 2023 la seconda edizione del Premio Mimmo Cándito-Per un giornalismo a testa alta.

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