<p style="text-align: justify;"><strong>Mauro Galli, sacerdote condannato dalla giustizia italiana a oltre 6 anni per reati sessuali su un quindicenne, è stato scagionato dal tribunale ecclesiastico. Nell’era della tolleranza zero di Francesco, dovrebbe essere uno scandalo. Invece cala il silenzio</strong></p> di GIORGIO GANDOLA <p style="text-align: justify;">“C’erano fatti di rilevanza canonica ma non di rilevanza penale. C’erano fatti di rilevanza etica, morale, reputazionale”. L’avvocato <strong>Mario Zanchetti </strong>era nel pieno dell’arringa, due anni fa in Corte d’assise a Milano. Aveva come obiettivo l’assoluzione del suo assistito, don <strong>Mauro Galli, </strong>imputato di abusi sessuali su un minore. E su quella era concentrato, quindi davanti al giudice laico sottolineava comunque la gravità del comportamento del sacerdote, che aveva invitato quel ragazzo a dormire nel lettone del suo appartamento a Rozzano. “Non sto bagatellizzando la situazione, sto dicendo che ciò che ha fatto don Mauro è stato profondamente sbagliato e che le conseguenze non saranno piacevoli”.</p> <p style="text-align: justify;">Se si riferiva al procedimento canonico, quel giorno non ci ha preso neppure lui, l’esimio professore, membro della commissione diocesana per la tutela dei minori e storico legale dell’arcidiocesi di Milano. Nel processo vaticano don <strong>Galli</strong> è stato assolto. Etica e morale evaporano, si perdono nei meandri oscuri dove annaspa la verità, scompaiono dai sacri fascicoli dove tutto si annacqua. Assolto in prima istanza (quella regionale) nel silenzio generale. Dovremmo perfino scriverlo con il condizionale perché non ci sono comunicati ufficiali e neppure la famiglia di <strong>Alessandro Battaglia</strong>, la vittima che allora aveva 15 anni, ha in mano la sentenza. Eppure nel 2016 aveva partecipato al procedimento come parte lesa, aveva testimoniato in buona fede chiedendo di essere informata sull’evoluzione del caso.</p> <p style="text-align: justify;">Quattro anni dopo solo conferme verbali, voci nella nebbia, nel segno di una trasparenza ancora da imparare in barba allo smantellamento solo formale, ad uso dei media, del segreto pontificio. La notizia è avvalorata dal sito Rete l’abuso, che attraverso il suo portavoce <strong>Francesco Zanardi</strong> segue con grande puntualità queste vicende. Un lavoro da rabdomanti, una discesa agli inferi senza pila. Così don <strong>Galli</strong>, condannato a sei anni e quattro mesi da un tribunale italiano per abusi sessuali, è stato assolto dal tribunale della Chiesa lombarda (ora il caso verrà trasferito in Vaticano).</p> <p style="text-align: justify;">Non è la prima volta, non è l’unico. Si aggiunge alla lunga lista di storie analoghe come quelle di <strong>Luciano Massaferro, Vincenzo Calà Improtta, Felix Cini, Paolo Turturro.</strong></p> <p style="text-align: justify;">Il caso di Rozzano e della violenza sessuale nella notte del 19 dicembre 2011 è particolarmente grave perché coinvolge la diocesi di Milano, solo sfiorata nel procedimento penale in virtù di un risarcimento pecuniario della vittima. Pur essendo a conoscenza dell’accaduto, l’allora vicario episcopale, <strong>Mario Delpini</strong>, e l’allora responsabile dei giovani sacerdoti, <strong>Pier Augusto Tremolada, </strong>non aprirono alcun procedimento ecclesiastico (tecnicamente l’Indagine previa) e si limitarono a trasferire il sacerdote a Legnano, teoricamente sempre a contatto con adolescenti. Lo stesso arcivescovo di quel tempo, <strong>Angelo Scola</strong>, in una lettera di scuse alla famiglia stigmatizzò il “comportamento maldestro” dei suoi collaboratori. Oggi <strong>Delpini </strong>è numero uno della Chiesa di Milano e <strong>Tremolada </strong>numero uno di quella di Brescia. Quando papa <strong>Francesco</strong>, nel motu proprio <em>Voi siete la luce del mondo</em> sulla pedofilia in tonaca, sottolinea le responsabilità non solo dei sacerdoti ma anche dei “superiori religiosi con azioni ed omissioni diretto a interferire o a eludere le indagini” sembra si riferisca a casi come questo.</p> <p style="text-align: justify;">Condannato da un giudice, assolto (per ora) dalla Chiesa. La discrepanza ha un senso perché i parametri di giudizio sono differenti. Mentre per il tribunale italiano il crimine è contro la persona (la vittima), per quello ecclesiastico il crimine è di entrambi, un atto impuro contro Dio. E paradossalmente la vittima viene equiparata al reo perché lo avrebbe indotto a prescindere a peccare. Lo sconfinamento nella morale è automatico, quella morale che l’avvocato <strong>Zanchetti</strong> sottolineava nella nota arringa. Allora aggiunse: “Sono 15 anni che seguo la diocesi di Milano e sono 15 anni che a tutti i sacerdoti, anche a quelli che escono dai seminari, dico che queste cose sono di una gravità inaudita. Un sacerdote non deve neanche dormire nella stessa stanza con un ragazzo, figurarsi nello stesso letto”.</p> <p style="text-align: justify;">Allora il giudice si convinse, sulla base delle testimonianze, non solo del sonno ristoratore ma dell’abuso sessuale. Con pesanti implicazioni per la vittima che fu costretta a seguire un lungo percorso medico e psicologico, con più di uno sguardo sull’abisso dal quale non si torna. E fu condanna.</p> <p style="text-align: justify;">Anche per quel processo, complice la lunga stagione di paralisi dei tribunali a causa del Covid, c’è un rischio all’orizzonte: a fine 2021 scatta la prescrizione. Così don <strong>Galli</strong>, corroborato dall’assoluzione canonica, pur con una condanna a sei anni e quattro mesi in primo grado verrà considerato innocente. E la vittima rimarrà senza giustizia. Uno scenario surreale. Non proprio ciò che vuole papa <strong>Francesco. </strong>O che, negli innumerevoli interventi sul tema, dice di volere.</p> (Trascrizione da <em>La Verità </em>del 26 novembre 2020)