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Home Il punto della Rete L'ABUSO Approfondimenti

Le distorsioni cognitive nei child abusers

Come si possono spiegare la condotta criminosa di un pedofilo, la conservazione dell’immagine di sé da parte dell’autore di violenze sessuali su bambini, la minimizzazione della responsabilità penale e delle conseguenze per la vittima?

Rete L'ABUSO by Rete L'ABUSO
13 Maggio 2020
in Approfondimenti
Reading Time: 6 mins read
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Recentemente ci siamo imbattute in un video di un’inchiesta svolta da Fanpage relativa ai casi di abuso su minori sordomuti avvenuti all’Istituto Provolo di Verona.

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Former Holy See diplomat Monsignor Carlo Alberto Capella, right, walks inside a Vatican tribunal courtroom during his trial, at the Vatican, Saturday, June 23, 2018. The Vatican tribunal on Saturday convicted Capella and sentenced him to five years in prison for possessing and distributing child pornography in the first such trial of its kind inside the Vatican. (Vatican Media/ANSA via AP)

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Guardando il video ciò che più ci ha stupito non è stata tanto la denuncia delle vittime circa le atrocità subite, bensì la tendenza che gli abusatori mostravano nel minimizzare e giustificare l’accaduto. L’abusatore durante l’intera intervista non ha mai parlato di abusi, ma si riferiva ad essi come “scherzi di mano” perché “maschio con maschio è uno scherzo, un vizio, mentre con una donna è più grave”, inoltre era normale perché “a quel tempo (inizio anni ‘60) lo facevano tutti”. Un’altra cosa che ci ha stupito è la tendenza a screditare e colpevolizzare le stesse vittime, infatti l’intervistato ci tiene a sottolineare che “i sordomuti sono tutti corrotti e l’unico scherzo che ho fatto è stato con un ragazzo che veniva nella mia camera e mi mostrava di sua iniziativa il suo membro… è stato lui!”.

Queste affermazioni a prima vista insensate per la maggior parte delle persone possono essere comprese se lette alla luce di un modello che spieghi i processi cognitivi che intervengono nella razionalizzazione di un comportamento. In letteratura sono molti gli studiosi che si sono interrogati sul meccanismo che interviene nella giustificazione e minimizzazione degli abusi sessuali e la maggioranza concorda nell’affermare che le distorsioni cognitive hanno un ruolo fondamentale nella razionalizzazione dell’abuso (Pomilla, 2018).

I primi ad utilizzare il termine distorsioni cognitive in reati di natura sessuale furono Abel e coll. (1984; 1989) i quali utilizzarono il termine “cognitive” per riferirsi ai processi interni, comprese le giustificazioni, le percezioni e i giudizi utilizzati dal molestatore sessuale per razionalizzare il suo comportamento di molestia nei confronti di minori (Abel, Gore, Holland, Camp, Becker, Rathner, 1989). Gli autori riferendosi alla teoria dell’apprendimento sociale di Bandura spiegano come in alcuni casi il “normale” percorso di sviluppo venga disatteso facendo sì che i soggetti mantengano, da adulti, ideali e pratiche sessuali inappropriate che solitamente si estinguono. Per Abel e coll. (1984; 1989) la distorsione cognitiva permette di affrontare la discrepanza tra i propri comportamenti sessuali inappropriati e le norme socialmente condivise sviluppando un insieme di credenze pro-offesa sessuale che riducano la discrepanza rendendo accettabili le loro azioni e i loro pensieri.

In un loro studio Abel, Becker e Cunningham-Rathner (1984) e Navathe Ward & Gannon (2008) hanno indicato le seguenti distorsioni cognitive:

  • la mancanza di resistenza fisica equivale al consenso;
  • gli adulti devono educare i bambini, (anche) attraverso contatti sessuali con loro;
  • i bambini non rivelano/denunciano i coinvolgimenti sessuali perché segretamente ne godono;
  • le generazioni future arriveranno ad accettare la validità dei rapporti sessuali adulto-bambino;
  • i toccamenti sessuali non sono dannosi per il bambino;
  • i bambini sono naturalmente curiosi delle attività sessuali;
  • le relazioni adulto-bambino sono valorizzate (anche) dalla sessualità.

Nonostante ad Abel e colleghi venga riconosciuto il merito di aver proposto un modello teorico che spiegasse tali comportamenti altri autori hanno mosso critiche circa i meccanismi responsabili dello sviluppo delle distorsioni cognitive.

A tal proposito Ward (2000) ha concettualizzato il modello delle teorie implicite, che permettono di comprendere i processi cognitivi attraverso cui i molestatori leggono e interpretano le informazioni del loro mondo sociale. Purtroppo il tema delle loro interpretazioni è essenzialmente orientato all’essere offensivo e poiché le teorie implicite si basano su esperienze soggettive e non hanno basi empiriche, sono relativamente radicate e resistenti al cambiamento (Ward e Keenan, 1999).

Ward e Keenan (1999) hanno revisionato una serie di studi da cui sono emerse cinque principali teorie implicite che si possono riscontrare nei child abuser:

  1. Child as a sexual being (bambini come esseri sessuali): ovvero la credenza che i bambini amano e ricercano le relazioni sessuali con gli adulti e non vengono danneggiati da questo tipo di contatto sessuale;
  2. Entitlement (diritto): secondo cui l’abusatore si sente superiore e più importante degli altri, di conseguenza si sente in diritto di fare sesso con chi vuole, quando vuole;
  3. Dangerous world (mondo pericoloso): per cui il sex offender crede che il mondo sia un posto pericoloso e ostile, le persone adulte sono essenzialmente inaffidabili, al contrario dei bambini;
  4. Uncontrollability (incontrollabilità): ovvero la credenza che il mondo, comprese le emozioni, i pensieri e gli eventi, sia incontrollabile e che quindi il comportamento accada al di fuori del controllo del soggetto;
  5. Nature of harm (natura del danno): si basa sulla credenza che il danno sia inserito all’interno di un continuum di gravità e che quindi l’attività sessuale sia innocua e non causi dolore, neanche ad un bambino.

Marziano e colleghi (2006) hanno effettuato uno studio per indentificare queste cinque teorie implicite in un campione composto da 22 maschi adulti, condannati per reati sessuali contro i bambini. I soggetti sono stati sottoposti ad un’intervista, nella prima parte venivano chieste informazioni demografiche, mentre nella seconda veniva effettuata un’intervista semi-strutturata. Ai soggetti venivano poste domande aperte relative al reato commesso e alle loro condizioni di vita prima di esso. A queste venivano poi aggiunte delle domande ricavate dai temi principali emersi nelle cinque teorie implicite, nello specifico veniva chiesto loro le credenze riguardo alla conoscenza sessuale della vittima; come hanno percepito la relazione di abuso; la loro percezione delle relazioni adulte; la loro percezione del danno commesso; e il livello di controllo che hanno esercitato durante il loro reato. Le domande sono state riferite a tre punti temporali specifici, la fase pre-reato, il momento del reato e la fase post-reato. Successivamente le risposte e le affermazioni emerse durante l’intervista sono state codificate in “unità di significato”, ovvero un’idea in grado di resistere da sola in grado di comunicare un significato nel contesto dello studio. Infine, ogni singola unità di significato è stata attribuita alla categoria della teoria implicita corrispondente.

Dai risultati di questo studio emerge che le distorsioni cognitive evidenziate all’interno del campione possono essere categorizzate all’interno delle cinque teorie implicite descritte da Ward e Keenan (1999). La categoria maggiormente legata alle distorsioni cognitive presentate dai soggetti è quella dei “bambini come esseri sessuali”. Nello specifico questa teoria implicita è più frequente negli abusatori di bambini maschi, questo potrebbe riflettere un framework di credenze e desideri che vede i bambini in grado di godere e desiderare il sesso con gli adulti.

Successivamente al modello delle teorie implicite sono stati aggiunti i concetti di credenze e valori per spiegare le condizioni che conducono il soggetto a commettere la violenza e a trovare un significato e delle giustificazioni all’azione commessa. Quindi credenze, valori ed azioni sono interconnesse tra loro e riflettono il contesto culturale, sociale e personale dell’individuo.

Howitt e Sheldon (2007) propongono una sintesi dei modelli esposti in precedenza, facendo riferimento ai concetti di distorsioni cognitive, credenze e valori connesse al reato e alla fase che precede e segue quest’ultimo. Ne risulta la seguente classificazione:

  • distorsioni cognitive quali set di credenze utilizzate per superare le inibizioni e gestire il senso di colpa: riferendosi alle distorsioni cognitive introdotte (Abel e coll.), fanno parte di questa categoria le distorsioni che portano all’azione e rappresentano una forma di negazione verso se stessi del possibile danno;
  • distorsioni cognitive quali set di razionalizzazioni utilizzate per creare scuse o giustificazioni quando gli aggressori vengono interrogati per rispondere delle proprie azioni (da agenti di polizia, psicologi, etc.): questo tipo di distorsioni invece vengono utilizzate dall’aggressore dopo il reato per giustificare a terzi la propria condotta;
  • distorsioni cognitive rivolte non alla rappresentazione degli altri e/o della propria condotta, bensì alle proprie esperienze di vita: in questa categoria rientrano le esperienze di vita, spesso avverse, che condizionano lo sviluppo del soggetto.

All’interno di questo articolo abbiamo visto come vi sono una serie di distorsioni cognitive che caratterizzano la pedofilia e che permettono di spiegare la condotta criminosa, la conservazione dell’immagine di sé da parte dell’autore, la minimizzazione della responsabilità penale e delle conseguenze per la vittima (Abel et al., 1984; Abel et al., 1989; Ward, Hudson et al., 1997). Comprendere i meccanismi utilizzati per superare le inibizioni o gestire il senso di colpa è un passo fondamentale all’interno del trattamento di questi soggetti, in quanto permette di lavorare sui processi che potrebbero portare a recidiva, date le rilevanti conseguenze psicologiche che queste condotte hanno sulle vittime.

https://www.stateofmind.it/2020/05/distorsioni-cognitive-abuso/

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